VISITA PASTORALE A VITERBO
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI DETENUTI NEL CARCERE DI VITERBO
Domenica, 27 maggio 1984
1. La mia prima parola, appena giunto in questa amata città di Viterbo, è per voi, cari fratelli e sorelle. Ho accolto volentieri l’invito rivoltomi e sono lieto di questo mio incontro con voi.
Resteremo insieme solo per pochi minuti. Lo dico con un po’ di amarezza, perché desidererei avere più tempo per fermarmi, per salutarvi singolarmente, per ascoltare anche la storia di ognuno di voi.
Mi sia consentito, almeno, rivolgere a tutti un saluto pieno di affetto, nel desiderio che esso giunga all’animo di ognuno, insieme col mio ringraziamento per avermi manifestato, con il vostro entusiasmo, che siete contenti della mia presenza. Ho ascoltato con viva emozione le sentite parole che uno di voi, a nome di tutti, mi ha rivolto: siate certi che mi resteranno scolpite nell’animo.
Che cosa posso dirvi, figli carissimi? Sono venuto con le mani vuote, ma con il cuore pieno.
2. Le mie mani, purtroppo, sono vuote. Infatti, come vedete, non ho nulla di ciò che pur avrei desiderato portarvi in questo momento e a cui il vostro pensiero corre con maggiore frequenza. Come ben sapete, non vi posso donare la libertà: sono dolente di non poter fare nulla in questo senso.
Ma se le mie mani sono vuote, il mio cuore è pieno. Pieno di affetto, pieno di sentimenti di amicizia e di cordialità, soprattutto carico di tutta la carità del Signore. Sì, fratelli, la mia ricchezza è questa, ed è dolcissima e sconvolgente insieme. Sono venuto nel nome di Dio e intendo rivolgermi a voi come lui in persona vi parlerebbe. Accogliete quindi questa mia parola come un dono del Signore stesso.
3. Innanzitutto una parola di speranza. Certo, sembra a prima vista una parola fuori posto. Quest’ambiente e l’esperienza sofferta che vivete sembrano parlarvi tutt’altro linguaggio. Eppure io sento l’audacia di dirvi che dovete, che potete sperare. Parlo della speranza cristiana, quella che nasce dalla certezza che Dio ama noi creature, che è Padre di misericordia, che ha inviato suo Figlio Gesù perché noi tutti fossimo salvati. Voi sapete che Gesù è stato vicino soprattutto ai sofferenti e ai tribolati; ricordate che non ha esitato a identificarsi con un prigioniero: “Ero in prigione e siete venuti a trovarmi” (Mt 26, 36).
Ed io sono qui per esortarvi a sperare, a credere che il Signore ha un messaggio per ognuno; a guardare alla vita con occhi nuovi, a pensare anche che qualcuno vi vuol bene e vi attende,
Con la speranza, ecco il dono della fiducia. Fiducia in Dio, innanzitutto; e, grazie a lui, fiducia in voi stessi e negli altri uomini. Come vorrei convincervi che il Signore per primo crede e ha fiducia in voi! Insieme con lui, anch’io ho fiducia nelle vostre possibilità di bene, che sono tante e forse più grandi di quanto voi stessi pensate; sono certo che saprete sviluppare tutte le potenzialità e le disposizioni buone che conservate nel cuore. Qualunque sia il passato e per quanto si preannunci difficile il futuro, sappiate che il Signore non vi abbandonerà, ma vi sta accanto e vi sostiene.
E, infine, una parola di liberazione. Se non mi è possibile donarvi la libertà fisica, vi posso annunciare il segreto della liberazione spirituale e morale. Anche questa libertà, che tocca il profondo del cuore umano, si trova in Gesù, il nostro liberatore. Egli si presentò proprio come colui che proclamava “la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri” (Is 61, 1). Con tale missione, non intese soppiantare gli ordinamenti costituiti. Egli mirava ad una liberazione più profonda e più vera, quella interiore. Voleva, e vuole, condurre l’uomo dalla schiavitù di se stesso, dell’egoismo, della cattiveria e dell’ingiustizia, alla liberazione autentica, cioè alla capacità di cambiare, di rinnovarsi interiormente, di “rinascere”, di diventare persona nuova. Questo è possibile, può avvenire in qualsiasi circostanza, potrebbe essere il miracolo dell’attuale vostra permanenza in questa casa.
Sono certo, figli cari, che accoglierete con cuore aperto questo mio augurio.
Con esso vi lascio, mentre saluto le autorità carcerarie, i cappellani, tutto il personale e mentre esprimo la mia gratitudine a quanti hanno collaborato a rendere possibile questo incontro.
A tutti la mia benedizione.
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