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VIAGGIO APOSTOLICO IN CANADA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA COMUNITÀ POLACCA NEL CANADA

Varsity Stadium (Toronto)
Venerdì, 14 settembre 1984

 

1. Permettetemi di salutare - come uno di voi - i nostri ospiti qui presenti: i cardinali, prima di tutto l’arcivescovo di Toronto, il cardinal Emmett Carter, e, certamente anche il nostro compatriota americano il cardinal John Krol, arcivescovo di Philadelphia, monsignor Edmund Szoka di Detroit, e tutti i nostri ospiti-amici vescovi che sono oggi fra noi! Carissimi fratelli e sorelle, miei compatrioti in terra canadese.

Sia lodato Gesù Cristo! Sono venuto per questo incontro con sentimenti di commozione e di gioia. Infatti nella mia memoria è profondamente impressa l’ospitalità e la cordialità con cui gli ambienti parrocchiali e le comunità dei polacchi in Canada mi hanno accolto quindici anni fa, nell’anno 1969, in cui per la prima volta ho visitato questo Paese quale delegato del primate e dell’episcopato polacco, invitato dall’episcopato canadese e dal congresso dei polacchi in Canada in occasione del suo 25° anniversario.

Il nostro incontro di oggi segue e completa in un certo senso la mia visita precedente. Con le parole di san Paolo: “Ringrazio sempre Dio per tutti voi e vi ricordo nelle mie preghiere. Quando sto di fronte a Dio, nostro Padre, penso continuamente alla vostra fede molto attiva, al vostro amore molto impegnato, alla vostra speranza fermamente rivolta verso Gesù Cristo, nostro Signore” (cf. 1 Ts 1, 2-4).

2. Saluto di cuore tutti e ciascuno. In voi e tramite voi saluto tutti i carissimi compatrioti i quali vivono nella terra canadese dalle rive dell’Atlantico fino al Pacifico, che per vari motivi non possono essere presenti qui. Il mio saluto va a tutte le comunità parrocchiali polacche, alle organizzazioni cattoliche, sociali e giovanili, ai centri scientifici e assistenziali, a tutte le famiglie polacche del Canada. Un saluto particolare rivolgo ai sacerdoti insieme al vescovo, monsignor Szczepan Wesoly, alle famiglie religiose, a tutti i lavoratori, alle persone provate dalla vita che portano la croce della sofferenza; ai giovani e ai bambini: a tutti. Tutti abbraccio con il cuore e a tutti mando un bacio di pace come fratello e come Papa.

Il mio saluto va pure a quei compatrioti che una volta facevano strada ai polacchi che arrivavano qui, e ora giacciono in pace, chiamati dal Padre della luce.

3. Carissimi fratelli e sorelle!

La Provvidenza divina ha voluto che voi, che provenite dalla Polonia, realizzaste la vostra vocazione umana e allo stesso tempo cristiana qui, in Canada. Come polacchi, per i quali - per vari motivi - il Canada è diventato la seconda patria; voi costituite parte integrante della Chiesa in questo Paese e, in un certo senso, scrivete le pagine successive di quella storia di salvezza di cui le pagine precedenti sono state scritte nella Chiesa in terra polacca.

In base all’insegnamento dell’ultimo Concilio, la vostra posizione spirituale si potrebbe definire come “un dono singolare” della Chiesa polacca al Canada, alla Chiesa e alla nazione canadese.

4. Per questo motivo, quindici anni fa, visitando i centri e le Chiese polacche in Canada vi ho lasciato le reliquie dei santi polacchi. Volevo che fossero un segno visibile e un’espressione dell’unione spirituale tra la Chiesa polacca e quella canadese, e che mostrassero a tutti i compatrioti quel legame con la Chiesa al livello del mistero della comunione dei santi che costituisce la parte essenziale della nostra fede cattolica, e che per noi polacchi costituisce anche la parte essenziale di tutto il nostro patrimonio spirituale (cf. Lettera ai sacerdoti, 15 settembre 1969).

Bisogna sempre ritornare a queste radici, radici cristiane, da cui sia voi che io proveniamo e da esse, in un certo senso, crescere sempre di nuovo. Lo sapevano bene i vostri antenati i quali hanno iniziato il flusso di emigrazione. Come scrive Sienkiewicz nella novella “Za chlebem”: “Essi sentivano che il loro albero natale non erano i luoghi dove andavano, sebbene il vento ve li spingesse come misere foglie, ma quelli da cui erano partiti: la terra polacca, quella piena di grano che ondeggia nei campi . . . terra nobile, madre piena di dolcezza, così bonaria e la più amata di tutte le altre al mondo”.

Mettendo le radici nella nuova terra i vostri antenati hanno tuttavia mantenuto un legame profondo con la patria e la consapevolezza di far parte della fede, della cultura e della tradizione dei loro padri, pur rimanendo allo stesso tempo nella grande comunità della Chiesa universale. Costruivano templi cattolici: come non ricordare, a questo punto, la prima chiesa polacca, costruita in onore della Madonna di Czestochowa nel secolo scorso dai coloni polacchi, chiesa che esiste ancora nel paese di nome Wilno, così interessante: Wilno in Kaszuby; e poi, quella consacrata a san Massimiliano Kolbe, che avete eretto nell’arcidiocesi di Toronto. Gli emigrati costruivano anche scuole cattoliche, fondavano organizzazioni polacche e giovanili, come ad esempio l’Unione nazionale polacca, il congresso dei polacchi in Canada o l’Unione degli scout polacchi; fondavano centri polacchi di studio e di ricerca, biblioteche, musei; pubblicavano libri, giornali e periodici. Questi centri e istituzioni sorgevano in vari periodi e svolgevano diverse funzioni, ma tutte quante sono emerse dal senso dell’unità spirituale e della comunione con la nazione polacca e con la Chiesa.

5. Un ruolo importante nel mantenere il legame con la nazione, nel mantenere la fede dei padri, la tradizione e la cultura polacca, ha svolto e svolge tuttora la famiglia cattolica, sostenuta in tale impegno dalle parrocchie e dalle scuole. Bisogna apprezzare la famiglia che vive all’estero perché essendosi trovata in un ambiente nuovo non si è mai persa d’animo, ha conservato la sua identità e ha saputo educare le nuove generazioni nello spirito degli ideali più elevati e delle più nobili virtù cristiane.

Nel mondo di oggi, pieno di materialismo, la famiglia deve affrontare molte difficoltà. La situazione in cui vive crea talvolta grande confusione nella comprensione dell’autorità dei genitori e della posizione dei figli, nonché nella trasmissione di essenziali valori umani e cristiani. Cari compatrioti, la famiglia sia l’oggetto delle vostre particolari sollecitudini, quella famiglia che si forma in base all’unione sacramentale di un uomo e di una donna che hanno scoperto in sé la vocazione comune alla vita matrimoniale e familiare.

Proteggere la famiglia dai pericoli del mondo contemporaneo è un grande compito di tutta la Chiesa, grande compito del lavoro pastorale per i polacchi all’estero, grande compito di tutti i polacchi all’estero e di ogni compatriota. Quale sarà la famiglia, tale sarà l’immagine di tutta la comunità polacca in Canada, tale sarà l’uomo che cresce in Canada dall’“albero polacco”.

6. Durante questo incontro odierno penso in modo particolare ai giovani, alle generazioni dei miei compatrioti in Canada che fra qualche anno sarà responsabile della vita delle comunità religiose e polacche.

Carissimi amici miei, mi rivolgo a voi perché ne sento il bisogno nel cuore.

Più di dieci anni orsono, a conclusione della mia visita pastorale in questo Paese, ho scritto una speciale lettera a quelli che a quei tempi costituivano la gioventù polacca in Canada. Credo che il pensiero di fondo contenuto in quella lettera non abbia perso la sua attualità. Accoglietelo oggi quale pensiero del papa. Esso è concentrato sull’interrogativo: chi siete?

Essere se stessi! Quanto è importante per l’uomo, l’uomo contemporaneo e soprattutto per la gioventù contemporanea, che talvolta fa molta fatica cercando di confermarsi ed esprimersi in modo autentico. Vi auguro pertanto, giovani di oggi, di rimanere sempre voi stessi, innanzitutto sapendo anche voi scoprire ed esprimere il vostro spirito polacco: quel patrimonio particolare della vostra nazionalità trasmessovi dai vostri genitori. A voi, giovani, auguro anche di cercare con ardore Dio e di vivere in comunione con lui mediante la preghiera scoprendo la vera bellezza del mondo e il significato ultimo della vostra umanità. Sappiate leggere la vocazione della vostra vita, che Dio ha iscritto nei vostri cuori, e grazie a ciò portate maggior contributo alla vita del paese che con tanta ospitalità ha accolto i vostri genitori, i vostri nonni. Cercate di non impoverire quel patrimonio che le generazioni precedenti hanno conservato con tanta fatica. Non deludete, giovani, le speranze deposte in voi.

7. Voi che siete venuti in Canada recentemente, con l’intenzione di rimanervi per sempre o per un periodo limitato, entrate nella vita della società che può impressionare con il suo sviluppo materiale, l’organizzazione della vita, la ricchezza, lo slancio, la civilizzazione. Succede così spesso: lo straniero si trova di fronte a tutte queste conquiste come il “più debole” che dipende da tutti, come il più povero. Tale situazione può condurre facilmente a uno stato di frustrazione.

Cari compatrioti, sappiate valutare in giusta maniera quello che è dentro di voi e intorno a voi! Sappiate qualificare, discernere e scegliere! Sappiate apprezzare quel bene che c’è dentro di voi e non cancellate le vie che conducono al Paese natale. Sappiate anche sfruttare la ricca esperienza degli altri. Sappiate inserirvi in modo creativo, costruttivo nella vita di questa nuova società con la quale si è legato il vostro destino. Ma, innanzitutto, mantenete il dono della fede e la viva unione con la grande comunità del popolo di Dio qual è la Chiesa di Cristo in tutta la terra: sia in Polonia, sia in Canada.

8. Quando sono venuto qui, quindici anni fa, avevo molto più tempo da dedicare agli emigrati polacchi in Canada. Se ricordo bene sono state due settimane, o anche di più. Abbiamo potuto incontrarci, parlare, viaggiare, visitare sempre nuovi centri polacchi. Oggi, tutto questo, si deve ridurre all’incontro a Toronto. Ripenso a quegli incontri, che mi hanno dato moltissimo. Ricordo di essermi incontrato soprattutto con la nuova ondata di immigrati, approdata dopo la Seconda guerra mondiale, trovando qui, non senza fatica, incarichi sempre più importanti nella società canadese. La Seconda guerra mondiale è un grande capitolo nella storia dell’Europa e nella storia dell’umanità. È un grande capitolo nella storia della nostra patria.

Sappiamo quante vittime ci sia costata questa Seconda guerra mondiale, quanto sia stato pesante il prezzo dell’indipendenza che la Polonia ha riacquistato dopo la Prima guerra mondiale, nel 1918. Sei milioni di vittime. E una grande testimonianza, un grande contributo: contemporaneamente il contributo all’opera di ricostruzione del mondo, di rinnovamento della famiglia umana.

Alla fine della Seconda guerra mondiale, le nazioni - soprattutto quelle che hanno conosciuto meglio delle altre crudeltà, violenza, campi di concentramento, odio dell’uomo verso l’altro uomo, disprezzo dell’uomo - hanno considerato loro dovere fare una dichiarazione comune dei diritti dell’uomo.

Ciò è stato un grande avvenimento. Tutti hanno capito che se l’umanità e le nazioni dovevano difendersi in futuro da cataclismi simili alla Seconda guerra mondiale dovevano porre al centro dell’attenzione la questione dell’uomo. Ne abbiamo parlato molto quindici anni fa con gli organizzatori della mia visita ai polacchi emigrati in Canada.

Ora, che da qualche giorno viaggio attraverso varie città di questo Paese, incontro molti striscioni con l’iscrizione “Solidarnosc”. È per questo che penso, soprattutto dopo ciò che ha detto all’inizio il presidente del congresso dei polacchi in Canada, che io debba dire qual è il significato di queste iscrizioni, di questi striscioni incontrati nelle varie città del Canada, sulle varie strade delle visite del Papa.

Miei cari fratelli e sorelle, miei cari connazionali, essi significano che i polacchi hanno sempre cercato di aggiungere un contenuto coerente a quella dichiarazione dei diritti dell’uomo, nel corso di questi quarant’anni e soprattutto negli anni Ottanta. L’iscrizione “Solidarnosc” costituisce il simbolo di un ordine dove l’uomo è posto al centro. La dignità dell’uomo e i diritti dell’uomo sono criteri per la costruzione dell’organizzazione del lavoro e della cultura, della vita sociale, della vita della comunità nazionale. Perciò noi onoriamo questa parola, questo simbolo, questa realtà. Penso che sulla strada della storia che sta percorrendo la nostra nazione, che non è una strada facile, specie per le ultime generazioni, questa parola aggiunge un qualche coerente contenuto, costituisce una tappa che è il risultato delle stesse premesse, che è al servizio delle stesse aspirazioni, le quali vivificano la nostra storia. Perché noi vogliamo essere noi stessi e vivere la nostra propria vita.

9. Cari compatrioti, il nostro incontro di oggi coincide con la festa liturgica dell’Esaltazione della santa croce. Nella croce, che una volta era segno di disonore per l’uomo, il più “esaltato” è stato proprio l’uomo. L’uomo di tutti i tempi e generazioni, di tutte le nazioni, lingue e culture e razze. Ogni uomo, ognuno di noi. Chiedo a Dio che la croce sia per voi e per le vostre future generazioni il segno della salvezza e dell’elevazione dell’uomo, ossia che l’uomo non si smarrisca, preso completamente dal “mondo”, ma che abbia la vita eterna in Dio. Ciò significa la croce. Per questo essa è il simbolo della salvezza.

L’eterno amore del Padre, espresso nella storia dell’umanità mediante la croce, mediante il sacrificio del Figlio, si è avvicinato ad ognuno di noi, attraverso Maria, Madre di Cristo che fino alla fine è rimasta ai piedi della croce. E anche per questo ella sa introdurci pienamente nella dimensione umana e divina, la dimensione del mistero della redenzione compiuta mediante la croce.

Nessuno, infatti, come Maria è stato introdotto nella profondità di questo mistero da Dio stesso. Oggi, festa dell’Esaltazione della croce e alla vigilia della festa di Maria Addolorata, i nostri pensieri e i nostri cuori, così come ha detto il poeta, vanno a lei che “difende la santa montagna di Czestochowa e regna a Wilno sulla Porta Ostra” (A. Mickiewicz). Ci mettiamo di fronte a lei e ripetiamo nello spirito le parole che ci ha insegnato il grande primate della Polonia, cardinale Stefan Wyszynski: “Nel millennio del Battesimo: Maria, Regina della Polonia, sono vicino a te, ricordo, veglio”.

Cari fratelli e sorelle, la croce è segno della nostra fede, della nostra speranza, del nostro amore. Mettiamo ai piedi della croce le nostre preghiere, che vengono dal cuore, confidando che saranno ascoltate.

 

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