DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA CONFERENZA EPISCOPALE
Yaoundé (Camerun) - Martedì, 13 agosto 1985
Cari Fratelli nell’episcopato.
1. Da tre giorni a questa parte sto percorrendo - o perlomeno sorvolando - i vostri quattro distretti ecclesiastici, nella loro ricca diversità. Conserverò un ricordo profondo e commosso dei nostri raduni popolari, nei quali ho potuto misurare il gioioso fervore del vostro popolo cristiano e la disponibilità delle altre popolazioni. Battezzati, cresimati, comunicandi, catechisti, sposi e genitori, giovani e universitari, religiosi e religiose, diaconi e sacerdoti mi hanno reso una bella testimonianza; sono stato felice di pregare con loro e di esortare ciascuno nel proprio apostolato. Tuttavia sono felice che questi incontri siano coronati da uno scambio con voi, fratelli miei, poiché il Signore m’ha affidato l’incarico dell’apostolo Pietro innanzitutto per aiutare l’unità, la costanza e lo slancio missionario dei pastori, successori degli apostoli.
Si è così realizzato l’auspicio che come presidente della Conferenza mi aveva espresso con insistenza, in occasione della vostra visita “ad limina” nel novembre 1982, Monsignor Jean Zoa: incontrare la Chiesa del Camerun nella sua sede, come avevo fatto per alcuni Paesi africani. Abbiamo già intessuto dei legami personali tra di noi. Avevo già avuto un incontro con la maggior parte di voi, a Roma, e ho conferito l’ordinazione episcopale a Monsignor Christian Tumi, che assume ora la presidenza della Conferenza. A ciascuno di voi sono lieto di ripetere il mio affetto e il mio augurio.
2. Questa sera, in questa cappella, dopo tante grazie ricevute, volete che iniziamo col rivolgerci al Signore per ringraziarlo e meglio prendere coscienza che tutta la nostra opera è opera sua?
Risalendo ai primi apostoli, faccio mio l’indirizzo di saluto di San Paolo ai Tessalonicesi: “Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo” (1 Ts 1, 2-3).
Sì, Dio sia benedetto! Ho visto da voi una Chiesa in pieno sviluppo. Sono riandato col pensiero ai gruppi di missionari che si sono succeduti nelle varie tappe, nel 1890, nel 1916, nel 1922 e nel 1946. Per questi pionieri, si può parlare di “costanza della speranza”, quando si conoscono le difficoltà e la dedita collaborazione sulle quali, del resto, hanno potuto subito appoggiarsi in questo Paese. La crescita della comunità è stata rapida, e altrettanto lo è stato il passaggio a una conduzione africana. Lodiamo con altrettanto trasporto i vescovi che hanno gettato le basi e che continuano a essere presenti nell’opera dei loro successori - Monsignor Plumey, Monsignor Loucheur, Monsignor Mongo - e tutti coloro che, oggi, consolidano la casa. È il Signore che vi ha chiamati, scelti, santificati, per compiere attraverso di voi la sua opera di salvazione. E mentre voi lavoravate, cari fratelli, al massimo delle vostre forze, lo Spirito Santo suscitava quell’adesione alla fede e quel dinamismo della carità che caratterizzano i cristiani. È a lui che rendiamo gloria. E vorrei che tutti coloro che collaborano con voi si sentano anch’essi strumenti prescelti dal Signore. Auspico che, senza trascurare l’organizzazione dell’apostolato, essi assegnino sempre un posto primario alla preghiera, si appoggino allo Spirito Santo che agisce in essi secondo la loro disponibilità, che provino una grande gioia nel servire così il Signore. Tale è lo spirito della missione che deve prevalere.
3. Quanto agli orientamenti da adottare, alle azioni concrete da compiere, ai settori prioritari da considerare, in questa circostanza non ho nulla da dire a questo proposito. Li avevamo passati in rassegna a Roma nel novembre 1982, e nel corso di questi ultimi tre giorni abbiamo impartito sul posto, a ciascuno dei gruppi o all’insieme del popolo cristiano, le esortazioni e i consigli che sembravano opportuni. Mi limiterò a sottolineare alcuni aspetti che mi hanno colpito, affinché sappiate quanto io condivida le vostre preoccupazioni pastorali. Da voi si può dire che l’evangelizzazione va iniziata, oppure approfondita, oppure ancora rinnovata.
Sì, la prima evangelizzazione va proseguita, e vorremmo che il Vangelo venga presentato senza indugi al gran numero di camerunesi che ancora conoscono solo le religioni tradizionali. La cosa colpisce nel Nord del Camerun, ma esiste in ciascuna diocesi. Nella vostra “radiografia delle diocesi”, realizzata con precisione nel corso del vostro seminario tenuto lo scorso gennaio a Maroua, ho notato che taluni distretti confinanti con la Nigeria erano ancora pochissimo toccati dal Vangelo; e che altrove alcune parrocchie con azione di catecumenato sembravano insediarsi e poi perdere il loro slancio missionario. Non credete che sia necessario stimolare in tutti i vostri fedeli e catechisti, e innanzitutto nei vostri sacerdoti, il desiderio che tutti i loro fratelli del Camerun beneficino del primo annuncio della fede? Forse bisognerebbe accentuare non solo l’apporto sempre benvenuto delle congregazioni religiose, ma anche l’aiuto che le altre province potrebbero anch’esse dare al Nord. Vi affido le parole spesso dette agli africani da Paolo VI in poi: “Siete voi i vostri missionari”.
4. L’evangelizzazione va soprattutto approfondita nei vostri battezzati. La formazione alla fede - come riconoscono molti adulti, soprattutto gli intellettuali - è troppo spesso rimasta allo stadio embrionale, e le sette traggono facilmente profitto da questa ignoranza. Tuttavia so quanto ciò sia vostra preoccupazione, e lodo le iniziative che cercate di prendere per porvi rimedio: catechesi, manuali di catechismo, incontri e soprattutto apostolato della Bibbia. Ciò che è in gioco, non è solo un accrescimento di nozioni religiose, sempre necessarie, è il fatto di impregnare le mentalità, i costumi.
“Le religioni tradizionali”, diceva uno dei vostri documenti, “controllano il subcosciente della massa e l’immenso patrimonio della cultura tradizionale” (Commissione per l’apostolato dei laici). Da qui il posto che a ragione assegnate al radicamento del Vangelo nella cultura, e al dialogo delle religioni, il che suppone, come ho spiegato oggi pomeriggio ai vostri intellettuali, una formazione cristiana nonché teologica, per arrivare a risultati fruttuosi senza perdere l’identità cattolica.
5. Per finire, oggi l’evangelizzazione è da rinnovare, nel senso che l’evoluzione rapida della società fa sorgere sfide nuove, un po’ quali le conobbero certe Chiese dell’antichità, in particolare coi fenomeni di sradicamento familiare, di urbanizzazione, di disoccupazione, con le seduzioni materialiste d’ogni sorta, una certa secolarizzazione e uno sbandamento intellettuale accentuato dalla valanga d’idee insufficientemente poste a critica e dall’influenza dei mezzi di comunicazione sociale. Dovete dunque, con mezzi spesso molto ridotti, condurre risolutamente una pastorale consona a questo nuovo tipo di problemi.
In questo campo, gli ambienti che necessitano di aiuto accresciuto e specializzato sono senza dubbio quelli degli intellettuali, dei funzionari e degli universitari, dei giovani delle scuole secondarie tecniche. È un terreno difficile, ma molto importante, nel quale la vitalità non dovrebbe mancare. È in gioco il futuro, poiché si tratta di formare i responsabili, coloro che domani saranno considerati l’élite. Sono stato felice di poter dedicare loro gli incontri di oggi. La mia lettera ai giovani della primavera scorsa, e i frequenti scambi che ho con essi in ogni parte del mondo vi dicono a sufficienza l’importanza che vi attribuisco personalmente. Vi sprono nelle iniziative che prendete: tra le altre, ho preso conoscenza con interesse della lettera pastorale dei vescovi delle quattro diocesi del Nord indirizzata ai giovani cristiani. È utile che sacerdoti e religiose vi si consacrino maggiormente, e soprattutto sostengano i movimenti apostolici dei laici, che garantiranno la presenza, la preghiera, la riflessione cristiana e la testimonianza dei cristiani in questi ambienti.
6. Un ambito di vita che giustamente rimane prioritario ai vostri occhi è quello della famiglia. Avete dedicato molte assemblee a questo tema, e ho visto, nella provincia di Bamenda, cosa vi sforzate di fare per preparare al matrimonio, per far conoscere la bellezza dell’amore coniugale e della sua stabilità secondo il disegno di Dio, affinché la testimonianza dei focolari cristiani ne faccia nascere altri. Conosco i numerosi ostacoli contro i quali vi scontrate in questo campo: provengono da talune usanze, da anguste esigenze manifestate da altre comunità, e anche dal “lasciar andare” odierno. Tuttavia si tratta di una realtà d’importanza capitale, sia per gli sposi e per i figli, sia per l’opera di evangelizzazione tutta. Le donne ricoprono un ruolo importante in questo bell’apostolato; e lo stesso vale per l’influenza delle religiose presso le giovani e le madri.
Abbiamo già avuto occasione di ricordare altri campi importanti: la formazione degli aspiranti al sacerdozio, per la quale avete creato strutture adeguate, la pastorale delle vocazioni maschili o femminili, la formazione dei catechisti e dei laici impegnati, il sostegno e la qualità delle scuole cattoliche.
7. A tutti i vostri diocesani ripeterete le mie esortazioni, secondo la vocazione di ciascuno, come ho cercato di fare la prima sera, nella cattedrale di Yaoundé. Che tutti siano felici di operare in modo complementare e insostituibile nel regno di Dio che si costruisce nel Camerun! Che siano di stimolo gli uni agli altri, e sempre nella carità, sotto la vostra vigilanza pastorale!
Un certo numero di vostri fedeli avrebbe desiderato incontrare il Papa, nell’occasione irripetibile della sua visita nel loro Paese, e non hanno potuto farlo. Volete trasmettere loro la mia benedizione, assicurarli della mia preghiera a loro intenzione, dire loro che anch’io conto sulla loro preghiera? Vorrei soprattutto che esprimiate il mio affetto agli ammalati, agli handicappati, ai lebbrosi, ai vecchi, ai carcerati, che mi è dispiaciuto non incontrare più a lungo.
8. Esprimete anche la mia fiducia particolare ai vostri collaboratori diretti che sono i sacerdoti. L’indagine che avete svolto sembra aver mostrato che hanno un buon concetto della grazia sacerdotale ricevuta, e delle esigenze di preghiera e di zelo apostolico ch’essa comporta. So che la loro situazione materiale è spesso difficile, è un po’ il destino di tutti i discepoli di Cristo; spero che voi stessi e i fedeli vi troviate una soluzione giusta, che permetta loro di consacrarsi interamente alle opere del ministero sacerdotale del quale il vostro popolo ha tanto bisogno. E sono sicuro che tutti, sacerdoti nati in Camerun e sacerdoti venuti dall’estero, sapranno lavorare in feconda e fraterna collaborazione, col sentimento di trarre vantaggio da questo mutuo scambio.
Vi esorto a proseguire le iniziative che avete prese per risvegliare e sostenere le vocazioni sacerdotali e religiose nelle quattro province. Garantite così le basi della Chiesa di domani! Continuate a sensibilizzare i vostri fedeli, invitateli a pregare a questa intenzione.
9. Questo pomeriggio ho fatto accenno all’interesse alla fondazione di un Istituto cattolico di studi superiori del Camerun, in cui si approfondissero le questioni teologiche e la dottrina sociale. Non voglio anticipare possibilità e modalità che vengono studiate in questo momento nell’ambito più vasto dell’Africa centrale. Tuttavia so che nutrite questo desiderio, per i vostri sacerdoti e laici e per tutti gli operatori apostolici della regione. Spero insieme a voi.
Più in generale, specie per la complessa e necessaria opera di radicamento culturale africano del cristianesimo, sarà bene agire in coordinamento con gli altri vescovi di questa parte dell’Africa, o dell’insieme del continente, nonché, vi è ben evidente, in fiduciosa comunione col dicastero della Sede apostolica.
10. Non era mia intenzione fare un quadro completo dei compiti da effettuare. Questo rischierebbe del resto d’essere scoraggiante se si trattasse di un’opera unicamente umana, che appare necessariamente complessa e troppo vasta, vista la povertà dei vostri mezzi d’apostolato. Ma è all’opera di Dio, come dicevo inizialmente, che noi cooperiamo. Il Signore ci chiede di seminare, di seminare instancabilmente, d’innaffiare; di mettere in ciò coraggio, tenacia, lungimiranza, immaginazione, vigilanza e senso di corresponsabilità. Ma il seme potrà germogliare e portare frutto solo se sarà buono (cf. Mc 4, 26-29), e se affideremo la nostra opera a Dio.
Da parte mia, non smetto d’ammirare la fiducia dell’apostolo Paolo: egli ha fondato, in poco tempo, un gran numero di comunità cristiane, laddove nessuno ancora aveva mai seminato. E non gli era possibile stare con loro a lungo. Era come minimo audace! Ma egli sapeva a chi le affidava: al Signore e agli anziani. Era certo che sarebbero cresciute con lo Spirito Santo. Continuava a sostenerle con la preghiera e con le sue lettere.
Dal canto mio, il mio ruolo è più modesto. Non ho fondato io le vostre comunità. Mi rallegro nel visitarle, nel “cresimarle”. Non smetterò di portarle nel mio ricordo e nella mia preghiera. Chiedo al Signore di colmarvi della sua luce e della sua forza, e in suo nome vi benedico.
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