INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON GLI AMMALATI NELLA CATTEDRALE DI ATRI
Teramo - Domenica, 30 giugno 1985
Carissimi fratelli e sorelle!
1. Nell’itinerario pastorale di questa Domenica, che mi porterà nel pomeriggio alla Città di Teramo, per la chiusura del Congresso Eucaristico, l’incontro con voi, cari ammalati, e con coloro che vi amano, nella vetusta e gloriosa Basilica Cattedrale di Atri, è un momento particolarmente caro al mio cuore.
Ringrazio sentitamente Monsignor Vescovo e i Dirigenti dell’UNITALSI per aver voluto questa solenne assemblea di fede e di fraternità, e ringrazio tutti voi, per la vostra partecipazione.
Con grande affetto porgo il mio saluto a voi, malati, che in vario modo sentite maggiormente il peso della croce e implorate la grazia della guarigione o almeno del sollievo. Saluto voi, parenti, amici, volontari, medici, infermieri, che li assistete con amore e generosità e rivolgo il mio pensiero beneaugurante anche ai Sacerdoti, ai Religiosi e alle Religiose, tra cui le Suore Clarisse contemplative, che si sono uniti a questo significativo incontro.
La mia presenza in mezzo a voi vuol essere espressione di amicizia e anche dono di conforto e di incoraggiamento, per assicurarvi che il Signore è vicino nella sua Provvidenza specialmente a coloro che soffrono, e che la Chiesa si china con volto materno sul dolore degli uomini.
Carissimi fratelli e sorelle, penso a voi, uno per uno, singolarmente, nelle vostre pene, nelle vostre speranze, nei vostri sforzi per accettare e per superare la malattia, e invoco dal Signore per tutti la consolazione della sua grazia, il coraggio nell’affrontare le situazioni difficili, la rassegnazione nei momenti dell’incertezza e dell’angoscia, l’intima letizia spirituale di sapersi e sentirsi amati e seguiti in tutte le circostanze della vita da Colui, che - come scrisse Alessandro Manzoni del quale quest’anno ricordiamo il bicentenario della nascita - “non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande” (Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, cap. VIII).
La mia visita purtroppo e la mia permanenza con voi sono necessariamente brevi. Ma sono qui per confermarvi nella fede in Cristo e per assicurarvi la sua predilezione e la sua presenza: Egli rimane! Egli ripete continuamente: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò!” (Mt 11, 28).
2. Cari amici! L’odierno incontro in questo luogo sacro mi dà l’opportunità di meditare con voi e con quanti vi attorniano su alcune verità di fede e su alcune direttive pratiche, che possono essere di aiuto per una sempre più convinta e sentita vita spirituale:
a) La malattia, di qualunque genere essa sia e qualunque origine abbia, è sempre un momento della “storia della salvezza”, che la dottrina cristiana lega strettamente al dramma del “peccato originale” e all’avvenimento salvifico dell’incarnazione del Verbo Divino e della Redenzione. Essa è un richiamo alla visione soprannaturale dell’esistenza e un invito ad accogliere il Signore, che passa più vicino all’anima, per farle sentire la sua presenza, per donarle la sua grazia, per elevarla alla contemplazione delle verità supreme ed eterne. Generalmente nella malattia si desidera con ansia la guarigione e ci si affida con fiducia agli esperti, ai loro studi e alle loro tecniche: è logico ed è giusto; ma quella stessa esperienza fa comprendere anche quanto sono labili i progetti dell’uomo, desideroso di soddisfazioni e di realizzazioni; quanto effimero il dinamismo dell’esistenza; quanto incerto il programma dei propri impegni personali, familiari e sociali.
La malattia è una tappa di riflessione e talvolta anche di conversione, che la Provvidenza vuole o permette per il bene soprannaturale dell’anima. San Paolo, meditando sul fatto che l’uomo esteriore si va disfacendo di giorno in giorno, mentre quello interiore si rinnova, scriveva: “Il momentaneo leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne” (2 Cor 4, 17-18). Per questo motivo, così vero anche se talvolta così difficile da percepire, vi esorto alla preghiera, alla pazienza e alla confidenza!
b) La malattia è anche una misteriosa ma reale partecipazione all’opera redentrice, che Cristo ha compiuto con la sua passione e morte in Croce. “Nella Croce di Cristo - ho scritto nell’Enciclica Salvifici doloris - non solo si è compiuta la redenzione mediante la sofferenza, ma è stata redenta la sofferenza umana stessa” (Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, V, 19).
Questa verità ci introduce veramente nel mistero della salvezza: “Cristo è morto a causa dei nostri peccati - dice San Paolo - ed è risorto per la nostra giustificazione” (Rm 4, 25). “Io sono venuto perché abbiano la vita - affermava Gesù stesso - e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10). La salvezza, la vita soprannaturale, la santità passano attraverso la passione di Cristo e di coloro che in lui credono e lo amano! È la realtà mistica dell’espiazione, della compensazione, dell’unione alle sofferenze di Cristo, che ottiene misericordia e perdono per tanti peccatori, che applica alle anime le grazie della Redenzione, che purifica e mantiene salda la Chiesa nella sua missione nel mondo. Vedremo in Paradiso l’efficacia di tante nascoste immolazioni!
c) Infine la malattia è anche un mezzo per richiamare ogni persona ai suoi doveri di carità, di fratellanza, di aiuto reciproco. Nella società moderna, sempre più stimolata dalla ricerca di soddisfazioni individualistiche, è necessario ad ogni costo vincere la tentazione dell’egoismo. Perciò non si raccomanderà mai abbastanza la cura amorevole e premurosa dei malati, anche per uscire dal cerchio ristretto dei propri interessi. Che essi non siano lasciati nella solitudine, nella desolazione, nell’abbandono! Siate tutti dei “buoni samaritani”! Ricordate le parole del Divin Giudice: “Ero malato e mi avete visitato!”.
3. Desidero ora rivolgere una parola anche a voi qui presenti con i cari malati, e a tutte le altre persone appartenenti a questa Città e Diocesi di Atri, così ricca di vicende storiche, civili e religiose. Questa vostra Chiesa locale, come l’intera Regione d’Abruzzo, parla di fede cristiana, profondamente sentita e attuata nella vita quotidiana; tutto qui invita a pensare alla schiera innumerevole di credenti che hanno camminato per queste strade e hanno fatto parte di questa Comunità. E quindi tutto spinge logicamente anche voi a impegnarvi con sereno coraggio e con perseveranza nelle tradizioni ricevute, testimoniando e tramandando il messaggio di Cristo nella società moderna. Voi dovete vivere il Vangelo, in modo integro e salvifico, in mezzo alle vicende di questi tempi. Il Signore vi faccia sentire e godere quanto è grande e bello servire Lui solo, totalmente e lietamente.
4. Carissimi! Dovendo lasciarvi per raggiungere il Santuario di San Gabriele dell’Addolorata, mi piace ricordare che - come scrivono i testimoni - tutti ammiravano nel caro giovane la sua viva devozione a Gesù Sacramentato, alla Passione di Cristo e in modo speciale alla Vergine Addolorata. Imitate anche voi San Gabriele, che in pochi anni di vita raggiunse le vette della santità; amate Maria Santissima, invocatela con affetto e fiducia nelle vostre pene: Ella, che fu “addolorata” e conobbe il pianto, è la nostra grande, vera Consolatrice!
Mentre assicuro il ricordo nella preghiera, in pegno della mia benevolenza vi imparto di gran cuore la Benedizione Apostolica.
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