DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI BRASILIANI
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»
Lunedì, 16 settembre 1985
Signori Cardinali, e venerabili e amati Fratelli nell’Episcopato.
1. Benvenuti a quest’incontro, momento culminante della vostra visita “ad limina Apostolorum”, che avete preparato con impegno e che state realizzando con spirito di fede e di comunione ecclesiale, come ho potuto constatare dai colloqui individuali. Riuniti nel nome del Signore e fiduciosi che egli è in mezzo a noi (cf. Mt 18, 20), io vi accolgo oggi collegialmente con viva benevolenza, vedendo in voi, più che rappresentate, realmente presenti le amate popolazioni delle vostre diocesi, delle “regioni” Nordest-1 e Nordest-4 della CNBB, che comprendono gli Stati del Ceará del Piauí e del Maranhao. Si tratta delle regioni tra le più povere dell’immenso Brasile. Perciò in questo gruppo di fratelli vescovi, vedo pastori sacrificati che assumono nel quotidiano le angustie e le speranze del loro popolo, le cui condizioni di vita, già ben note, dopo il nostro contatto personale, hanno ravvivato nel mio animo sentimenti di invocazioni, espliciti quando ebbi la gioia di incontrarmi con questo popolo a Teresina e a Fortaleza nel 1980.
Ebbi il desiderio allora di portare all’uomo del Nordest una parola affettuosa di conforto e di speranza, nello spirito delle beatitudini: in suo favore lanciavo un appello di aiuto, a tutto il Brasile e a tutti gli uomini di buona volontà, in nome del Signore Gesù Cristo; egli, mentre proclamava le “beatitudini per i poveri di spirito” (Mt 5, 3), diceva pure: “Voi siete tutti fratelli” (Mt 23, 8; cf. Giovanni Paolo II, Allocutio in aeronavium portu urbis “Teresina” habita, 8 luglio 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III/2 [1980] 187 ss.). Da quella visita pastorale ho riportato più chiaro nel cuore il motivo dell’amore divino, presente nella parola dello stesso Cristo, quando si volle identificare con i “più piccoli”, colpiti dalla fame, dalla sete, dalla necessità di peregrinare, dalla nudità, dalla malattia e dal carcere (cf. Mt 25, 35-40).
2. Vengono da lontano, si potrebbero quasi definire endemici, i problemi e le sfide che si presentano all’attività pastorale del Nordest brasiliano, ponendo ai pastori della Chiesa l’inquietante interrogativo: come evangelizzare così immense e povere popolazioni e condividere le angustie nate dalla loro povertà che riveste, nella vita reale, aspetti concretissimi, nei quali dovremmo riconoscere le sembianze sofferenti di Cristo? Come edificare la Chiesa, con la caratteristica che la distingue di “segnale e salvaguardia della dimensione trascendente della persona umana” e promotrice della sua dignità integrale, con queste “pietre vive”, quando la loro povertà non è, molte volte, solamente una tappa casuale di situazioni ineluttabili di fattori naturali, ma anche prodotto di determinate strutture economiche, sociali e politiche?
3. Non si può non ricordare con gratitudine in questa circostanza, per lo meno globalmente le pleiadi di missionari e pastori abnegati, virtuosi e devoti che vi hanno preceduto e che debbono essere considerati come i fondatori della Chiesa di Dio (cf. Ef 2, 20) nelle vostre attuali diocesi, o, per usare l’espressione patristica, “hanno lì generato” Chiese e non senza sofferenza. A loro tempo, essi si saranno sicuramente chiesti quale fosse il piano di Dio sulla vocazione di ciascun uomo nella costruzione della società, per renderla sempre più umana, giusta e fraterna, e come si potesse attuare la priorità delle priorità nell’evangelizzazione: cercare innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia.
Avete ricevuto l’eredità di questa problematica, resa acuta dalla vertiginosa corrente di mutamenti culturali, sociali, economici, politici e tecnici del vostro tempo che si ripercuotono anche nel vostro Paese-continente; resa acuta anche dal fatto che, insieme alla libertà della persona, è cresciuto il suo senso critico che non considera più sacro - nella famiglia, nella scuola, in vari ambienti - ciò che viene comunicato in Chiesa, a titolo di insegnamento religioso. Una volta il peso di una certa tradizione, nonostante tutto, aiutava l’annuncio del Vangelo.
Per dimostrarvi l’attenzione affettuosa e la presenza spirituale con la quale accompagno la vostra non facile attività pastorale, mi permetto di far mia la parola dell’apostolo, dicendovi “Ringrazio sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo (1 Ts 1, 2-3).
4. Non è mia intenzione e non sarebbe possibile presentare qui un quadro completo delle situazioni che interrogano il vostro zelo pastorale, né soffermarmi a specificare i compiti che vi spettano. La vostra esperienza e la vostra chiarezza di vedute, che condividete in ciclici incontri regionali, già fanno tutto ciò e mi esonerano dal correre il rischio di interferire. Un unico desiderio mi pervade: contribuire affinché “la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, affinché possiate distinguere sempre il meglio . . . ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio” (cf. Fil 1, 10-11).
Mi limiterò quindi ad alcuni topici che mi sono stati suggeriti dalle relazioni e dal dialogo con voi, nella condivisione al vostro impegno nel “portare ai poveri” il Dio di nostro Signore Gesù Cristo. Si tratta di un lavoro sempre più ripreso, approfondito e rinnovato, perché “i poveri li avremo sempre con noi” (cf. Gv 12, 8), secondo la parola del buon pastore e maestro, che inquadra, in certo qual modo, la priorità delle priorità pastorali: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia” (Mt 6, 33).
5. I popoli e i gruppi umani, in generale, per poter progredire, gradualmente ed efficacemente e non solo soddisfare le immediate necessità vitali, hanno bisogno di solidarietà, per giungere all’indispensabile e permanente trasformazione delle strutture della vita economica. Ma non si presenta facile procedere lungo lo scosceso sentiero di questa trasformazione, se non interviene una vera conversione delle menti, della volontà e dei cuori, che faccia scomparire la confusione della libertà con l’istinto dell’interesse individuale e collettivo, o ancora con l’istinto di lotta e di predominio, qualunque siano i colori ideologici di cui essi si rivestono (cf. Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 16).
Se vogliamo contribuire a migliorare la convivenza umana, suscitando tra gli uomini questa solidarietà, dobbiamo indicar loro l’amore con serenità e pazienza, misericordia e compassione, come fonte di questa solidarietà, alla luce della paternità di Dio, o meglio, dell’Amore che è Dio, rivelato nel nostro Signore Gesù Cristo.
6. Dalle vostre relazioni ho potuto rendermi conto di come i vostri diocesani vi cercano per qualsiasi motivo, per trovare una soluzione ai problemi più vari: aiuto materiale ed economico, lavoro, trasferimenti, miglioramenti di situazione e di salario, ricoveri in ospedale, iscrizione nelle scuole, figli disorientati, persone anziane che diventano di peso, richiesta di interventi, problemi burocratici pendenti, eccetera. Vogliono sopravvivere a livello personale, familiare e sociale. Nel leggere e nell’ascoltare tutto ciò mi viene in mente la compassione di Cristo per il popolo, riferita da Marco (Mc 6, 31).
Nell’accogliere il povero, per servirlo, nel limite delle possibilità, facciamo ciò che Cristo ci ha insegnato, quando è diventato nostro fratello: il servizio al povero è misura privilegiata, nonostante non sia esclusiva, della nostra sequela a Cristo. Nel frattempo, il miglior servizio da rendere ai poveri è sempre l’evangelizzazione: “Testimoniare in maniera semplice e diretta, Dio rivelato da Gesù Cristo, nello Spirito Santo” (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 26). Ciò predispone il povero a realizzarsi come figlio di Dio e lo promuove integralmente.
Chi vive immerso nel mistero pasquale di Cristo sa che solo il Vangelo testimoniato e proclamato, come egli lo fece, porta l’autentica e totale liberazione dell’umanità: “E in nessun altro c’è la salvezza, non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12; cf. Puebla, 1309).
Sì, con immense diocesi e pochi presbiteri, comprendo ciò che sentirete quando vi domina la compassione per le moltitudini, poiché si tratta di gente che cerca strade di salvezza, che ha fiducia nella “vera religione”, pura e senza macchia davanti a Dio” (Gc 1, 27) e che spera di incontrare nel pastore l’autentica “sapienza che viene dall’alto”, anch’essa pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia” (Gc 3, 17); gente, dunque, che desidera incontrarsi con qualcuno che vive e che “cerca soprattutto il regno di Dio e la sua giustizia” e che lo testimonia e lo indica agli altri, con semplicità.
7. In quella porzione di mondo segnata dallo sforzo, dalle sconfitte e dalle vittorie dell’uomo del Nordest del Brasile, parte del grande mondo “creato e conservato dall’amore di Dio che, caduto nella schiavitù del peccato, venne liberato dal potere del maligno per mezzo di Cristo crocifisso e risuscitato, affinché, trasformato secondo i disegni divini, raggiungesse il suo fine” (cf. Gaudium et spes, 2), vive la moltitudine delle persone che costituiscono le vostre comunità ecclesiali. La ricchezza di cui dispone il vostro impegno con Cristo, buon pastore, è ciò che voi volete soddisfare con generosità e totale dedizione. Ed è soprattutto una moltitudine di poveri: poveri, perché realmente in condizioni bisognose che suscitano spontanea compassione (cf. Mc 6, 34); poveri, perché non sono ascoltati da nessuno e si vedono costretti ad ascoltare sempre gli altri (cf. Qo 9, 16; Dt 1, 17); poveri, perché soli, senza nessuno che li aiuti ad incontrare la salvezza per la paralisi (cf. Gv 5, 7 ss.); poveri, perché giovani, senza esperienza e carenti di orientamento e di prospettive per il loro desiderio forte e generoso di affermarsi nella vita, di vincere e servire (cf. Mt 19, 16 ss.); poveri, perché dominati dalla mancanza d’amore e dall’odio, e non c’è dominatore che schiavizzi ed umili maggiormente (cf. 1 Gv 3, 7 ss.); poveri, infine, perché lontani da Dio che è Amore (cf. 1 Gv 4, 8), lontani dalla Verità che li rende liberi (cf. Gv 8, 32).
Tutti questi sono i poveri da evangelizzare, da aiutare a divenire i poveri delle beatitudini, anche per loro il Signore ha tracciato un cammino di felicità, di fraternità e di pace: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia”. Spetta a noi aiutarli a proseguire in questa ricerca, anche quando ci fanno soffrire, diventano ingiusti nei nostri confronti, ci offendono e ci interpretano male, sollevando contro di noi l’“odio del mondo”, conducendoci al Calvario, alla ricerca del balsamo e del coraggio per pregare con Cristo: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 24).
Sulla fedeltà a Dio si poggiano le basi del Regno, la vostra credibilità nell’annuncio e la ricerca principale della sua giustizia. I poveri vogliono la certezza della speranza che non disilluda. Non si può mai lasciare loro il dubbio sul fatto che Dio è l’unico bene assoluto. È qui il fondamento della solidarietà che i poveri sperano da noi e, allo stesso tempo, della differenza che il mondo che essi attendono di vedere in noi.
8. In questo contesto e dato l’ambiente concreto delle vostre ragioni pastorali, viene spontanea la domanda: Cristo facendo sempre ciò che a Dio piaceva, ha moltiplicato i pani miracolosamente e ha annientato la fame della folla che lo circondava . . . Ma le vostre opere assistenziali e caritatevoli non sono che una goccia nell’oceano delle necessità e, inoltre, oggi vengono messe in discussione. Cosa fare?
Nel mondo d’oggi, come sempre, le organizzazioni caritatevoli della Chiesa, sorte da iniziative generose e autonome, continuano ad avere un ampio spazio e un posto insostituibile, come sussidio e coordinamento con le opere di assistenza ufficiali. Il popolo cristiano sarebbe infedele all’esempio e alla dottrina di Cristo se non cercasse di offrire tutto l’aiuto possibile a coloro che soffrono di ogni genere di povertà. Il capitolo 25 di Matteo, sempre inquietante, continua a essere attuale per quanti ne fanno una lettura obiettiva. La stessa Chiesa rinnegherebbe qualcosa della sua storia e spezzerebbe una tradizione ininterrotta, se smettesse di esercitare la carità e l’assistenza in modo concreto: disdirebbe la gloria di molte delle sue istituzioni e l’eroicità di molti suoi santi.
Queste opere della Chiesa, inoltre, se espressione di genuina carità, come la descrive San Paolo nella Lettera ai Corinzi (cf. 1 Cor 13), non cesseranno mai di mostrarsi adatte e di contribuire efficacemente alla promozione e all’educazione delle sensibilità degli uomini sempre più interdipendenti gli uni dagli altri (cf. Gaudium et spes, 25): possono servire a riconciliarli e a convergere gli uomini di buona volontà nella partecipazione e nella comunione per l’impegno a ristabilire la giustizia per tutti, la dignità di tutti e la fraternità fra tutti, come una sola famiglia umana.
Ciò sarà raggiunto tanto più facilmente, quanto più in queste opere della Chiesa - un tempo nella vostra patria rappresentate dalle “misericordie” - si cerchi innanzitutto il regno di Dio, che “non è giustizia di cibo o di bevande, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose, è ben accetto da Dio e dagli uomini” (Rm 14, 17-18).
9. È con queste prospettive - ne sono certo - nell’unità della fede e della carità nello “stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano” (cf. Rm 10, 12) e nella comunione della dottrina e disciplina della Chiesa universale che si palesa il nostro impegno nell’evangelizzazione dei poveri dominato dalla comune e condivisa preoccupazione di avere “persone da inviare” (cf. Rm 10, 14 ss.): mancano sacerdoti, in numero e all’altezza del momento e della crescente popolazione. Coraggio, amati fratelli! Il compito è arduo, ma non impossibile. Vi sono vicino nella comune implorazione “al Signore della messe”.
Il nostro lavoro di pastori, come “collaboratori di Dio” nel suo “campo” e nel suo “edificio” (cf. 1 Cor 3, 9), deve verificare l’apologia del servo del Vangelo: in tutte le vostre iniziative per il regno di Dio e per la sua giustizia, che trascende le dimensioni temporali e terrene dell’uguaglianza tra gli uomini, “una volta fatto ciò che ci è stato ordinato “consci della fedeltà totale al Signore Gesù Cristo e all’uomo da lui redento, sappiamo riposarci nel “porto” della pace con Dio, con noi stessi e con i nostri fratelli: “Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (cf. Lc 17, 7 ss.).
Centrato sulla beatitudine dei “poveri” e degli “operatori di pace” il lavoro pastorale saprà incontrare e suscitare ampie espressioni di servizio ai fratelli, all’interno di “quell’opzione preferenziale per i poveri” sigillata a Puebla con un “impegno” dei pastori nell’America Latina, senza celare le esigenze del corpo mistico: “Chi nella sua evangelizzazione escludesse un solo uomo dal suo cuore, non possiede lo Spirito di Cristo” (Puebla, 205).
Concludo con l’espressione di voti e fiducia: che l’unione della Chiesa che vive nel Nordest del Brasile continui a risplendere nell’unità della Chiesa universale, oggi qui da noi celebrata. Di ciò faccio preghiera nel salutare, attraverso voi, i vostri presbiteri, le comunità religiose, le altre comunità cristiane, le famiglie i giovani e i fanciulli, gli anziani, quanti soffrono e tutti i vostri diocesani. Portate loro la certezza del mio affetto e del mio incoraggiamento a vivere la loro vocazione cristiana nell’edificazione della Chiesa, cercando innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, con l’ampia benedizione apostolica, che vi impartisco di tutto cuore.
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