PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN INDIA
INCONTRO
DI GIOVANNI PAOLO IIDelhi (India) - Sabato, 1° febbraio 1986
Cari confratelli nell’episcopato, “Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (1 Cor 1, 3).
1. Con grande gioia saluto voi, miei confratelli nell’episcopato, in questo primo giorno della mia visita all’India. Sono venuto come un pellegrino al santuario del popolo di Dio in questo grande Paese. Come apostolo di Gesù Cristo sono venuto per parlare dell’amore, a dare testimonianza del Vangelo dell’amore, il Vangelo di colui che si è dimostrato pastore amorevole, “il Buon Pastore”. Il mio messaggio è il messaggio dell’amore di Dio: “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché noi avessimo la vita per lui” (1 Gv 4, 9). E sulla base di questo amore, sono venuto qui per proclamare per la Chiesa in India quella unità che Cristo vuole per tutti i suoi seguaci, un’unità che si rifà all’unità di vita e amore esistente nella santissima Trinità.
Sono venuto da Roma per poter trascorrere questi giorni in unità e amore con voi, vescovi dell’India, con tutti voi che insieme a me avete la cura pastorale del gregge di Cristo. Questa è dunque un’ora di comunione ecclesiale, comunione nell’amore di Cristo, nell’unità della sua Chiesa e nell’unicità della nostra missione pastorale.
Come Pastore della Chiesa universale debbo adempiere al dovere che mi è proprio nel servizio dell’unità della Chiesa. Per questo motivo desidero assistervi nella vostra responsabilità di pastori delle Chiese locali. Inoltre, il nostro impegno comune è quello di rendere operante il mistero della collegialità nella sua dimensione universale. Come successore di Pietro sono venuto a confermare nella fede voi e le vostre Chiese locali. Sono qui per confermarvi in tutti gli aspetti del vostro difficile ministero apostolico. Cari confratelli vescovi: sono venuto per trarre giovamento dal vostro contributo spirituale alla vita della Chiesa allo scopo di riportarlo alla Chiesa universale.
2. Il vostro ministero episcopale, così come viene esercitato oggi in India, comporta un grande privilegio e un grande compito. Perché siete chiamati all’impegno apostolico di dare testimonianza del Vangelo di Cristo fra la vostra gente. Siete chiamati a proclamare la salvezza, la misericordia e la compassione nel nome di Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16).
Avete una compartecipazione diretta con Cristo nel portare la buona novella ai poveri. Voi siete i servitori dell’umanità, i messaggeri dell’amore di Dio. E tutto ciò si incentra attorno a quel mistero secondo cui Gesù Cristo “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8, 9). Voi date testimonianza della realtà dell’Incarnazione, nella quale Dio si identifica con la povertà dell’umanità, allo scopo di innalzare l’umanità a lui.
Giorno dopo giorno il vostro ministero si esercita nel proclamare la rivelazione di Dio: l’amore di Dio per l’uomo, la sollecitudine di Dio per il benessere dell’uomo, la preoccupazione di Dio per tutto l’uomo fatto di corpo e anima. Tutto ciò che fate è fatto in nome di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Tutto ciò che fate è fatto per Dio, per la sua gloria; e tutto ciò che fate è fatto per l’uomo, per il benessere e la salvezza dell’uomo. La vostra predicazione significa necessariamente dare testimonianza del “nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio” (Pauli VI Evangelii Nuntiandi, 22). Allo stesso tempo significa presentare al mondo l’amore sollecito di Cristo per l’uomo, uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, uomo elevato nel mistero dell’Incarnazione e condotto a una più intima unione con Dio, uomo destinato alla vita eterna.
3. La vostra proclamazione dell’amore di Dio per l’uomo tiene anche conto dei bisogni temporali dell’uomo. Mentre la Chiesa proclama il carattere transitorio di questo mondo, essa allo stesso modo proclama la volontà di Dio di trasformare il mondo sotto ogni aspetto, così che possa essere un degno presagio del successivo. La Chiesa insegna che “benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza per il regno di Dio” (Gaudium et Spes, 39).
Giorno per giorno nel vostro ministero di servizio siete consapevoli della profonda realtà che Paolo VI ha descritto quando scrisse: “Tra evangelizzazione e promozione umana - sviluppo, liberazione - ci sono infatti dei legami profondi” (Pauli IV Evangelii Nuntiandi, 31). Egli parlò delle necessità dei popoli “impegnati con tutta la loro energia, nello sforzo e nella lotta di superare tutto ciò che li condanna a restare ai margini della vita: carestie, malattie croniche, analfabetismo, pauperismo, ingiustizia nei rapporti internazionali e specialmente negli scambi commerciali” (Pauli IV Evangelii Nuntiandi, 30). In tutti questi sforzi, nel nome del dare testimonianza del Vangelo, la Chiesa cerca di assicurare lo sviluppo e la liberazione autentici di milioni di esseri umani. Incessantemente la Chiesa proclama la sua convinzione che il nucleo del Vangelo è l’amore fraterno che scaturisce dall’amore di Dio. La proclamazione del nuovo comandamento dell’amore non può mai essere disgiunta dagli sforzi per promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo nella giustizia e nella pace. Come vostro fratello in Cristo desidero assicurarvi che vi sono vicino in tutti gli sforzi che state compiendo in questo importante aspetto del vostro ministero.
4. Un’altra questione che impegna il vostro zelo è il dialogo inter-religioso. Anche questa è una parte importante del vostro ministero apostolico. Il Signore vi chiama, soprattutto nelle particolari circostanze in cui vi trovate, a fare tutto il possibile per promuovere questo dialogo, conformemente all’impegno della Chiesa.
Fu Paolo VI che dedicò gran parte della sua prima enciclica all’argomento del dialogo. Egli mise in evidenza la necessità del dialogo, delle sue condizioni, dei suoi contenuti, delle sue caratteristiche e del suo spirito. A proposito del dialogo Paolo VI affermò: “Bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell’uomo . . . Il clima del dialogo è l’amicizia. Anzi il servizio” (Pauli IV Ecclesiam Suam, 87).
Come vescovi, voi personificate la Chiesa amorevole di Cristo, che vuole essere aperta al mondo intero, per ascoltare e offrire amicizia e servizio. Il dialogo a cui siete chiamati è un dialogo di cortese rispetto, mansuetudine e fiducia, dal quale sono escluse tutte le rivalità e le polemiche. È un dialogo che scaturisce dalla fede e viene condotto con amore umile. Allo stesso tempo “la Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio” (Pauli VI Ecclesiam Suam, 65). Essa desidera veramente parlare del destino trascendente dell’uomo, della verità, della giustizia, della libertà, del progresso, dell’armonia, della pace e della civiltà. E questo dialogo per sua natura è diretto alla collaborazione nell’interesse dell’uomo e del suo benessere spirituale e materiale. Come ministri del Vangelo qui in India, avete il compito di esprimere il rispetto e la stima della Chiesa per tutti i vostri fratelli e per i valori spirituali, morali e culturali contenuti nelle loro diverse tradizioni religiose. Nel far ciò dovete dare testimonianza delle vostre convinzioni di fede, e offrire il Vangelo dell’amore e della pace di Cristo e il suo spirito di servizio alla considerazione di coloro che liberamente desiderano meditare su di esso, così come voi stessi liberamente meditate sui valori di altre tradizioni religiose. In questo dialogo inter-religioso, che per sua natura implica collaborazione, il criterio supremo è la carità e la verità. Voi stessi avrete sempre presente l’esortazione di san Paolo: “Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo” (Ef 4, 15).
5. Il vostro impegno pastorale di dare testimonianza del Vangelo di Cristo deve implicare “una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, morto e risuscitato, la salvezza è offerta ad ogni uomo, come dono di grazia e misericordia di Dio stesso” (Pauli VI Evangelii Nuntiandi, 27). Ciò deve essere fatto nel debito rispetto per la grande sfida dell’“inculturazione”. La rivelazione di Dio ha avuto luogo in una cultura specifica, ma sin dall’inizio era destinata a tutte le culture. È compito della Chiesa portare la buona novella della salvezza a tutte le culture e presentarla in modo che sia in sintonia con lo spirito di ogni popolo. Il compito che ci aspetta è il compito di tradurre il tesoro della fede, nell’originalità del suo contenuto, nella legittima varietà di espressioni di tutti i popoli del mondo. Il nucleo della sfida è stato espresso nel Sinodo dei vescovi del 1974, e venne successivamente così formulato: “Le chiese particolari profondamente amalgamate non solo con le persone, ma anche con le aspirazioni, le ricchezze e i limiti, i modi di pregare, di amare, di considerare la vita e il mondo . . . hanno il compito di assimilare l’essenziale del messaggio evangelico, di trasfonderlo, senza la minima alterazione della sua verità fondamentale” (Pauli VI Evangelii Nuntiandi, 63).
Nel compito di assicurare un genuino e fedele adattamento, i vescovi delle Chiese locali hanno una responsabilità specifica. Questa è esercitata in stretta collaborazione con la Santa Sede e in comunione con tutta la Chiesa. Implica discernimento, che a sua volta richiede preghiera, studio e consultazione: un discernimento sorretto da un carisma pastorale. I vescovi hanno una responsabilità particolare nei confronti dell’inculturazione liturgica, che ha lo scopo di offrire “le imperscrutabili ricchezze di Cristo” (Ef 3, 8) con efficacia sempre maggiore nella vita della pratica della Chiesa.
Qui sono necessari ulteriore riflessione e studio. Qui è anche importante che la verifica dottrinale e la preparazione pastorale dei fedeli debbano sempre precedere l’applicazione di norme liturgiche. Questa applicazione deve mostrare il dovuto rispetto per le differenti sensibilità religiose delle persone all’interno della comunità ecclesiale, mentre la preferenza di individui e gruppi deve essere subordinata ai requisiti di unità ecclesiale nel culto. Inoltre, tutta l’inculturazione liturgica deve essere effettuata con carità e comprensione pastorali.
6. Gli argomenti summenzionati - la proclamazione del Vangelo, dialogo inter-religioso e inculturazione - sono veramente materie che riguardano il benessere di tutta la Chiesa e per questo motivo richiedono la collaborazione di tutti i settori della comunità ecclesiale. Comunque, è importante sottolineare lo specifico contributo del clero a questi aspetti della vita, sotto la guida dei vescovi. Il ministero sacerdotale è al servizio diretto della parola di Dio. Il sacerdote è un araldo e servitore del Vangelo, chiamato al dialogo di salvezza con i suoi fratelli.
L’efficacia del ministero sacerdotale dipenderà in larga misura dalla loro preparazione. Questa preparazione, sia nella sua dimensione spirituale che intellettuale, è legata alla parola di Dio, alla comprensione, accettazione e applicazione della parola di Dio. I sacerdoti sono chiamati a comunicare ai fedeli la parola di Dio in tutta la sua purezza e integrità. La Chiesa, per poter essere in grado di trasmettere fedelmente la Parola di Dio e viverla pienamente, gode di un particolare carisma apostolico e pastorale che va a beneficio dell’intera comunità dei fedeli. Questo carisma è il magistero della Chiesa, un dono dello Spirito Santo e un dono che è totalmente al servizio della Parola di Dio. La fedeltà completa a questo magistero è una caratteristica essenziale di tutta la formazione effettiva dei seminaristi e di tutti i programmi di formazione permanente del clero. Questa fedeltà è una garanzia dell’efficacia soprannaturale della vita e del ministero sacerdotale. Viene coltivata attraverso l’umiltà del cuore e nella preghiera.
7. Il nucleo di tutta la vostra sollecitudine pastorale, cari confratelli, è l’unità della Chiesa. Nella sua unità riconosciamo la più grande delle benedizioni, il desiderio del Cuore di Gesù, l’espressione di fedeltà al Signore, il segno della credibilità della sua Chiesa e il segno della credibilità della missione stessa di Cristo. Nell’unità della Chiesa vediamo la ragione per cui Cristo è morto: “per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11, 52).
Il Concilio Vaticano II ha sottolineato non soltanto l’unità della Chiesa, ma anche la sua vocazione ad essere un segno dell’unità dell’umanità, così spesso divisa da rivalità etniche, politiche, culturali e linguistiche e oppressa da ogni genere di tensioni. Chiamata ad adempiere alla propria missione nel mondo moderno, sa che deve vivere in se stessa il mistero dell’unità. Questa vocazione che le è propria porta con sé una necessità di riconciliazione dove l’unità è stata indebolita, danneggiata o distrutta.
Sappiamo che l’unità è la volontà di Dio. La Chiesa è chiamata a vivere dalla grazia nell’unità della santissima Trinità. La preghiera di Cristo per l’unità si applica ad ogni situazione nella Chiesa. “Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te” (Gv 17, 21). Le Chiese locali sono chiamate a riflettere questa unità in tutte le loro relazioni interne: fra i vescovi, il clero, i religiosi e i laici. In ciascuna Chiesa locale sussiste l’unità della Chiesa cattolica. Anche la comunione fra le Chiese locali è un’espressione del mistero dell’unità che la Chiesa universale riceve dallo Spirito Santo. La comunione con il Vescovo di Roma garantisce la cattolicità delle Chiese individuali e fa sì che i vescovi siano compartecipi del mistero della collegialità episcopale. Il singolo vescovo è il principio visibile e il fondamento di unità nella sua Chiesa particolare, così come il successore di Pietro è la sorgente e il fondamento di unità perpetuo e visibile per i vescovi e tutti i fedeli (cf. Lumen Gentium, 23).
Quando meditiamo sul mistero dell’unità ecclesiale e della comunione fra le Chiese, riusciamo a comprendere l’immensa importanza che tutta la tradizione patristica attribuiva a questo elemento della vita della Chiesa. Riusciamo a comprendere quanto sia importante risolvere tutti i problemi che sorgono all’interno della Chiesa, così come i problemi con le Chiese separate e le Comunioni ecclesiali. A questo proposito è anche necessario incoraggiare l’intima comunione e collaborazione fra i differenti riti della Chiesa, così che, nei rapporti fra loro le Chiese possano vivere l’unità secondo la volontà di Cristo.
So che qui in India si stanno compiendo sforzi sinceri per arrivare a questo. Per quanto riguarda i problemi inter-rituali ancora irrisolti, la Santa Sede si sta sforzando di essere di aiuto. La questione è da lungo tempo allo studio. I diversi punti di vista sono stati presentati con sincerità e profonda convinzione. La fase finale di questo studio verrà portata a termine quanto prima. Siate certi che farò il possibile per garantire un giusto ed equo accomodamento della questione, che terrà conto di tutte le esigenze pastorali di unità e verità. Ho una grande fiducia che la decisione della Santa Sede riceverà il pieno sostegno di tutti i vescovi.
8. Cari fratelli vescovi: vi sono molti aspetti del vostro sacro ministero sui quali vorrei riflettere con voi, ma è impossibile considerarli tutti. Tuttavia vorrei sottolineare ancora una volta l’estrema importanza del sacramento della Penitenza per attuare quel rinnovamento della Chiesa voluto dal Concilio Vaticano II. La Chiesa ha sempre proclamato la necessità della penitenza e del pentimento per una piena partecipazione all’efficacia redentrice dell’Eucaristia, che è centro e vertice di tutta la vita sacramentale. Dall’inizio del mio pontificato ho sottolineato la necessità di insistere sull’importanza della confessione individuale. Nella mia prima enciclica ho affermato: “Osservando fedelmente la plurisecolare prassi del sacramento della Penitenza - la pratica della confessione individuale, unita all’atto personale di dolore e al proposito di correggersi e di soddisfare - difende il diritto particolare dell’anima umana. È il diritto a un più personale incontro dell’uomo con Cristo crocifisso, che perdona” (Ioannis Pauli PP. II Redemptor Hominis, 20). Sono felice di notare la grande fedeltà della Chiesa in India a questo proposito e sono certo che, con il vostro continuo incoraggiamento, il clero, i religiosi e i laici approfitteranno sempre di più del grande tesoro di amore, perdono e riconciliazione che Cristo ha lasciato alla sua Chiesa nel sacramento della Penitenza.
9. In modo particolare i laici sono chiamati a collaborare negli aspetti della vita della Chiesa che riguardano l’ordine temporale. I loro campi di attività comprendono la politica, i problemi sociali, l’economia, la cultura, le scienze, le arti, la vita internazionale ed i mezzi di comunicazione sociale (cf. Pauli VI Evangelii Nuntiandi, 70). La Chiesa, nel suo servizio al mondo, deve fare sempre più affidamento sul contributo dei laici. I laici, per quanto riguarda l’assistenza ai poveri, la lotta contro la fame e la promozione dello sviluppo umano, le riforme sociali e la pace, sono in una posizione particolare che permette loro di assumere ruoli di servizio e di guida. La piena applicazione del Concilio Vaticano II richiede una sempre maggiore consapevolezza del ruolo dei laici nel rinnovare l’ordine temporale nella giustizia e nella carità. “Dovunque c’è chi manca di cibo e bevanda, di vestito, di casa, di medicine, di lavoro, di istruzione, dei mezzi necessari per condurre una vita veramente umana, chi è afflitto da tribolazioni o da malferma salute, chi soffre l’esilio o il carcere, ivi la carità cristiana deve cercarli e trovarli, consolarli con premurosa cura e sollevarli porgendo aiuto” (Apostolicam Actuositatem, 8). È inutile sottolineare che vanno adempiuti innanzitutto “gli obblighi di giustizia perché non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia” (Apostolicam Actuositatem, 8). Nel percorrere questa via di carità e di giustizia ad ogni livello, la Chiesa cerca unicamente di essere fedele alla propria vocazione di rendere un servizio amorevole al mondo nel nome di Gesù.
10. In occasione di questo mio pellegrinaggio in India, desidero esprimere la profonda ammirazione della Chiesa per tutti coloro che hanno dato testimonianza del Vangelo in questo Paese, per tutti coloro che vi hanno preceduto “segnati dal marchio della fede”. Con sentimenti di profonda gratitudine la Chiesa rende omaggio alle generazioni di missionari che hanno compiuto sacrifici eroici per venire in questo vostro Paese. Hanno offerto generosamente le loro vite per il Vangelo e in altruistico servizio ai poveri e ai bisognosi. La Chiesa rende lode e adorazione alla santissima Trinità per le meraviglie compiute dalla parola rivelata di Dio nei cuori di milioni di vostri connazionali.
La mia ultima parola di gratitudine è rivolta a voi, i pastori del gregge. Nel nome di Gesù, “il Supremo Pastore” (1 Pt 5, 14) e “guardiano delle vostre anime” (1 Pt 2, 25), vi ringrazio per la vostra proclamazione dell’amore salvifico di Dio. Ringrazio anche tutti i vostri collaboratori nel proclamare il Vangelo: coloro che sono araldi insieme a voi della buona novella della salvezza, servi dei poveri, messaggeri di pace, testimoni di amore, artefici di unità e discepoli di Gesù Cristo, il Figlio di Dio e il Salvatore del mondo.
Raccomando voi e il vostro ministero all’amorevole sollecitudine di Maria, la Madre della Chiesa, e prego che ella sostenga voi tutti nella gioia fino al giorno di Cristo Gesù.
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