DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AD UN GRUPPO DI VESCOVI FRANCESI DELLA
REGIONE APOSTOLICA «PROVENCE-MÉDITERRANÉE»
Lunedì, 14 dicembre 1987
Cari fratelli nell’episcopato.
1. Il presidente della vostra regione apostolica Provenza-Mediterranea, mons. Jean Cadilhac, ha appena espresso il senso della vostra visita “ad limina” evocando la vita delle vostre diocesi; lo ringrazio vivamente. Sono felice di accogliervi insieme al termine dei nostri colloqui particolari. Siete venuti alle tombe di Pietro e Paolo: che essi sostengano la vostra opera di pastori per mezzo della loro intercessione! Spero che i nostri incontri, così come gli scambi che avete nei diversi Dicasteri della Curia, vi incoraggeranno a portare il vostro fardello spirituale con un ardore rinnovato, in unione fraterna con il successore di Pietro e con la Chiesa universale.
Avete sottolineato ciò che è fonte di azione di grazia nel vostro ministero, senza minimizzare le difficoltà che bisogna affrontare. Con voi rendo grazie per la vitalità delle comunità di cui siete pastori. In questo spirito vi chiedo di portare ai vostri immediati collaboratori e all’insieme dei sacerdoti delle vostre diocesi e ai diaconi permanenti il mio cordiale saluto e i miei incoraggiamenti nel continuare il loro compito, che so essere molto pesante. Direte ai religiosi e alle religiose, contemplativi e apostolici, la stima affettuosa del Papa per la loro fedeltà alla consacrazione al Signore e a molte forme di servizio dei loro fratelli. Tramite voi vorrei esprimere particolarmente la gratitudine della Chiesa ai laici che accettano delle responsabilità e dei servizi essenziali; e auguro a tutti i battezzati delle vostre diocesi di rinnovare la loro adesione alla buona novella della salvezza e di prendere sempre più attivamente il loro posto, per quanto umile sia, tra le membra viventi del corpo di Cristo.
2. La visita “ad limina” è per voi l’occasione di un bilancio. Nelle vostre relazioni mostrate l’attenzione che portano i pastori a tutta la vita di una vasta regione, a una popolazione numerosa e diversificata. Una situazione geografica e un ambiente naturale eccezionali in un’atmosfera calorosa attirano molti nuovi residenti, senza contare i milioni di turisti e di ospiti temporanei. Malgrado un rinnovamento sensibile delle attività rimangono considerevoli i problemi di ordine economico e sociale. Queste difficoltà di un mondo in parte destabilizzato, sono per le comunità cristiane nuove sfide.
Le vostre numerose preoccupazioni si aggiungono a quelle espresse dai vostri confratelli delle altre regioni della Francia. Con loro ho sviluppato molti temi che toccano direttamente la vitalità della Chiesa presente nella società, le parrocchie, i movimenti, le famiglie. Ho ricordato l’importanza della pastorale dei sacramenti, a cominciare dall’assemblea eucaristica domenicale, quella della formazione cristiana dei giovani e degli adulti particolarmente nel campo etico, quella dell’accoglienza e dell’evangelizzazione dei battezzati non praticanti. Vi ricordate anche la nostra meditazione sul sacerdozio e la vocazione all’epoca del mio pellegrinaggio ad Ars, così come altri punti affrontati durante questo viaggio pastorale. Senza ritornare su tutto ciò, vi propongo una riflessione sulle differenti forme della missione che Cristo affida a tutta la sua Chiesa.
3. Quando analizzate la situazione degli uomini e delle donne presso i quali il Signore vi manda a portare il suo messaggio di salvezza, constatate la crisi intellettuale, spirituale e morale che attraversa una società disorientata: il senso della vita e della dignità della persona è ricercata nel mezzo di una confusione di valori che può portare fino alla disperazione. A causa dell’incertezza che segna più o meno fortemente i nostri contemporanei, è urgente rispondere alle loro attese spesso non formulate.
Che le comunità cristiane prendano coscienza della loro missione! E che riscoprano più vivamente la forza della speranza che porta il Vangelo! Nel momento in cui sulle strade della vita gli uomini brancolano, soffrono e cadono bisogna che la Parola di verità sia loro trasmessa. I discepoli di Cristo uniti e motivati da un amore fraterno, devono ascoltare le domande, gli appelli che sorgono intorno a loro. E poiché sono ricchi di ciò che hanno ricevuto, hanno l’audacia d’interrogare a loro volta tutti coloro che si perdono o traviano i loro simili sulle vie senza uscita di un individualismo chiuso o dell’indifferenza a valori essenziali.
Sì, si tratta di evangelizzare dapprima il mondo nel quale si vive. Sembra che i cristiani non si sentano troppo spesso responsabili personalmente di questa grande missione, lasciandone la responsabilità al clero o ad alcuni “apostoli” laici che sono ammirati senza essere seguiti. Un atteggiamento simile va contro la natura stessa della Chiesa nella quale tutte le membra del corpo devono manifestare, con la vitalità del loro gruppo, il dinamismo del Vangelo e la presenza di Cristo nella nostra storia. I movimenti ecclesiali hanno intuito che la missione dei cristiani si esercita nella famiglia, nell’educazione, negli ambienti professionali, nei luoghi nei cui si risiede. Le vostre relazioni sottolineano la loro attività e anche la necessità di stimolare i cristiani a partecipare più numerosi e in modo più determinato, più coraggioso, oserei dire, alla testimonianza della fede. È vostro compito, lo sapete bene, accogliere e approvare le nuove iniziative, favorire i mezzi di formazione continua dei cristiani e la più ampia diffusione di una parola cristiana anche attraverso i mezzi di comunicazione sociale dei quali potete disporre. È necessaria l’opera dei responsabili a tutti i livelli, ma bisogna ripeterlo, ogni cristiano deve sentirsi chiamato a rendere conto della speranza che è in lui (cf. 1 Pt 3, 15), in comunione con i fratelli.
4. Affrontare le molteplice cure dell’evangelizzazione nella propria regione, rappresenta già un compito pesante. Tuttavia, una Chiesa particolare non può conservare il suo dinamismo senza partecipare concretamente alla missione in tutte le parti del mondo. Voi appartenete a un paese che ha una grande tradizione missionaria. La generosità apostolica della Francia si è manifestata con intensità nel corso dei secoli con la partenza di numerosi missionari verso tutti i continenti e la fondazione di Istituti la cui diffusione si è estesa ampiamente. Non bisognerebbe che i cristiani di Francia ignorassero questa grande tradizione e non la facessero conoscere alle generazioni più giovani. Ma soprattutto è necessario che la Chiesa in Francia conservi la sua generosità nelle condizioni ora differenti dell’attività missionaria.
So che attualmente i vescovi francesi impiegano molti sforzi per mantenere i numerosi legami stabiliti con le giovani Chiese per mezzo di coloro che hanno portato il Vangelo. Da voi, gli Istituti missionari hanno spesso delle comunità che possono informare i fedeli della loro esperienza. Nelle giovani Chiese, il loro ruolo si è evoluto, tenuto conto del trasferimento di responsabilità alle gerarchie locali. Sono condotti a una privazione spirituale esigente, per servire una pastorale di cui non hanno più l’intera iniziativa. Conservano tuttavia la loro primaria vocazione, quella di fondare la Chiesa, là dove il Cristo non è conosciuto, quella di allargare le frontiere e di permettere alle nuove Chiese di vivere tutta l’ampiezza della missione universale grazie alla vocazione dei giovani che accettano tutti i rischi di un impegno totale alla sequela del Signore.
All’azione originale degli Istituti e alla vocazione missionaria in senso stretto, si è aggiunta una cooperazione dalle forme molteplici. Le Pontificie Opere Missionarie, di cui a Lione ho ricordato la fondazione, sono un mezzo essenziale, non solo di ripartizione dei doni indispensabili alla sopravvivenza del bene delle comunità più sfortunate, ma anche di risveglio e di animazione della cooperazione missionaria. Il vostro paese ha saputo ricevere anche la chiamata del “Fidei donum”, la maggior parte delle diocesi e delle congregazioni diocesane hanno compreso che malgrado la loro povertà reale la partenza di alcuni dei loro membri non ha portato loro dei pregiudizi, ma ha aggiunto una nuova dimensione alla loro azione. La chiamata del “Fidei donum” è stata ampiamente sentita anche dai laici. Essi portano, anche se per una durata limitata, una competenza tecnica, ma più ancora la testimonianza di uomini e di donne la cui fede è molto forte e umile per percepire ciò che i cristiani del luogo vivono. Arrivano a condividere ciò che lo Spirito ha permesso loro di conoscere e di vivere. Tali scambi sono benefici e ci rinviano direttamente alle lettere di san Paolo, che insisteva sull’indispensabile relazione tra le Chiese, e l’unità del corpo di Cristo.
Altre iniziative contribuiscono felicemente a mantenere aperto lo spirito missionario. Penso ai vostri incontri con i vescovi delle giovani Chiese, e auguro che ne rendiate conto ai cristiani delle vostre diocesi affinché i vostri scambi diventino il bene di tutti. Dall’altra parte le vostre comunità conservano vivi legami con i missionari che ne sono originari. Accolgono anche i cristiani venuti dai paesi lontani, per i loro studi o per il loro lavoro: è bene non lasciare isolati questi stranieri che sono dei fratelli che a loro volta hanno molto da dare al vecchio continente.
Ricorderei ancora la presenza nelle vostre diocesi di gruppi di emigrati non cristiani tra i quali molti hanno una viva fede religiosa. È importante invitare coloro che vivono accanto a loro giornalmente a conoscere meglio le loro tradizioni e, ov’è possibile, aprire un dialogo interreligioso nella chiarezza necessaria per evitare ogni equivoco, nella libertà spirituale degli uni e degli altri, nel reciproco rispetto della libertà delle persone.
5. Nel caso della vostra recente assemblea plenaria a Lourdes, avete a giusto titolo messo in relazione le diverse forme della solidarietà alla quale i cristiani sono chiamati. L’annuncio del Vangelo, l’aiuto allo sviluppo, la condivisione con i poveri rappresentano livelli distinti di un’unica opera. I vostri diocesani saranno utilmente incoraggiati nella loro generosità spirituale, apostolica e materiale, partecipando alle riflessioni che preparano un piano di solidarietà per la Chiesa in Francia.
Le vostre relazioni sottolineano il persistere e l’aggravarsi della povertà al centro di una società relativamente agiata e anche ricca. L’emarginazione di un gran numero di uomini e donne sui quali si abbattono i flagelli della disoccupazione della mancanza di formazione della precarietà degli alloggi non può esser guardata da alcun cristiano come un male inevitabile che conduce quasi fatalmente a tutte le perversioni. Un elementare senso di fraternità impone di agire: l’azione individuale conserva il suo valore insostituibile, ma molto deve essere ancora fatto per riunire i mezzi e le competenze, ciò che fanno i vostri organismi specializzati. So che la loro preoccupazione dell’efficacia pratica va di pari passo con una concezione molto umana di coloro che hanno bisogno di essere aiutati.
Come ho detto a proposito dell’evangelizzazione, le responsabilità della solidarietà con il prossimo immediato non fanno dimenticare un’apertura universale ai bisogni di miliardi di esseri umani meno favoriti. A vent’anni dall’enciclica Populorum Progressio è una soddisfazione vedere molti cristiani delle vostre diocesi portare un contributo generoso allo sviluppo integrale dell’uomo. Vivendo in “una civiltà della solidarietà”, seguendo la parola di Paolo VI, la responsabilità morale non può fermarsi alle frontiere poiché è sempre l’uomo ad esserne il soggetto.
Continuate lo sforzo di concertazione e di organizzazione; è infatti auspicabile che l’amore preferenziale dei poveri, qui e altrove, si traduca in iniziative riflesse e il più possibile coordinate. Da parte sua la Santa Sede ha affidato al Consiglio Pontificio “Cor Unum” la missione di favorire i contatti e l’armonia delle iniziative. Voi stessi approfondite la vostra collaborazione con le Chiese locali sia per gli aiuti urgenti che per una cooperazione a lungo termine.
Questi sforzi saranno resi più fruttuosi da una riflessione rinnovata sui fondamenti dottrinali e spirituali del dovere di solidarietà. In questo campo le ricerche devono approdare a una motivazione più viva da parte del popolo cristiano: che misuri meglio le esigenze dell’amore dei poveri ai quali Cristo dà la sua preferenza e con i quali egli si identifica. Comprendiamo allora che una vera comunione ecclesiale implica tutte le forme di solidarietà che abbiamo ricordato e che i cristiani contribuiscono a far progredire, in un mondo spesso duro per i più sfavoriti e per i più deboli, il senso dei diritti di ogni uomo ad essere rispettato come figli di Dio.
6. Cari fratelli nell’episcopato, la vostra visita “ad limina” termina il ciclo delle visite dei vescovi francesi. Voi avete dato una viva eco ai bisogni spirituali dei vostri compatrioti e testimoniato l’attività di comunità cristiane. Rispondendo alla vostra fiducia, in profonda comunione con voi, rinnovo a tutti i miei incoraggiamenti, particolarmente alle diocesi del litorale mediterraneo, della Provenza del Languedoc e della Corsica. Che la Madre del Signore vi aiuti a proseguire il pellegrinaggio della fede! Che lo Spirito Santo faccia maturare in tutti voi i suoi doni, l’amore di Dio e degli altri una speranza audace! E che Dio benedica voi e i vostri diocesani.
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