DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL CLERO DELLA DIOCESI DI ROMA
Giovedì, 5 marzo 1987
Voglio ringraziare tutti i presenti, sacerdoti di Roma, per questo annuale incontro, per la tematica scelta oggi - evangelizzazione, parrocchia, nuove generazioni -, per tutti gli interventi. Naturalmente sappiamo bene che, da un certo punto di vista, sarebbe auspicabile che tutti potessero parlare. Da un altro punto di vista, questo appare però irrealizzabile. Ma penso che tutti coloro che hanno parlato lo hanno fatto dando anche dei punti di riflessione agli altri e, in un certo senso, facendosi portavoce degli altri qui presenti. Poi, naturalmente, si deve svolgere da parte vostra questo lavoro comunitario, discutendo i problemi anche sulla base degli interventi ascoltati, partecipati, e, da parte del vicariato di Roma, tirando le conclusioni. Cercheremo di farlo, perché tra le diverse voci si è ascoltato anche qualche proposta importante per tutti noi, per il collegio episcopale della Chiesa di Roma e per me insieme con questo collegio.
Voglio esprimere soprattutto la mia soddisfazione per il fatto che questo annuale incontro all’inizio della Quaresima diviene sempre quello che io pensavo dovesse essere. Voglio dire: voi, carissimi fratelli nel presbiterato, siete diventati i veri protagonisti di questo incontro. Si tratta della vostra testimonianza, della vostra esperienza, delle vostre esperienze, che devono essere ascoltate da me e da voi.
Al termine, voglio fare una sintesi che potrà sembrare non direttamente in linea con i vostri interventi con la tematica. Ma penso che lo sia.
La Chiesa ha una duplice caratteristica. È, nello stesso tempo, universale e particolare. Così è ogni Chiesa, in ogni luogo del mondo. Come lo era la prima Chiesa a Gerusalemme, così lo sono le diverse Chiese particolari dei tempi apostolici, di quelli post-apostolici, fino ai nostri giorni. In un certo senso, Roma presenta più delle altre Chiese particolari questa duplice caratteristica, quella della particolarità e quella della universalità.
Se lasciamo da parte per il momento i nostri fratelli e le nostre sorelle laici - naturalmente anche loro sono coinvolti nella Chiesa che è insieme particolare ed universale, universale e particolare -; se ci soffermiamo su di noi, vediamo che la nostra vocazione nella Chiesa è marcata da questa doppia caratteristica. Se leggiamo attentamente i testi del Concilio, che esprimono la tradizione della Chiesa ed il suo insegnamento, lo vediamo per i Vescovi. Certamente la loro missione è sempre orientata verso la Chiesa universale, anche se legata ad una Chiesa particolare, qualche volta anche più aperta per compiti interparticolari o direttamente universali. La stessa cosa leggiamo per i sacerdoti. Anche la loro vocazione, la loro missione è nello stesso tempo nella dimensione della Chiesa universale e legata ad una Chiesa particolare, legata a quella caratteristica particolare ancor più rispetto a quanto accade per il ministero dei Vescovi. Se si tratta del Vescovo di Roma, questo duplice carattere della sua missione risulta ancora più visibile e più sperimentabile da tutti e, naturalmente, da lui stesso. Per questo voglio parlarvi nell’ottica della Chiesa universale.
Nella dimensione universale della Chiesa, noi, e specialmente la Santa Sede, vogliamo e dobbiamo portare avanti il grande progetto della Chiesa dei nostri tempi, vale a dire l’insegnamento e gli orientamenti del Concilio Vaticano II. Se, per esempio, ci proponiamo così come è stato lo scorso anno - una preghiera per la pace ad Assisi con i nostri fratelli cristiani non cattolici ed anche alla presenza dei nostri fratelli credenti non cristiani, questo è un modo di portare avanti il progetto del Vaticano II, di attuare la sua dottrina, i suoi orientamenti. Se quest’anno ci proponiamo di cominciare un Anno Mariano, lo facciamo con la stessa finalità, con la stessa preoccupazione: portare avanti il progetto dottrinale e pastorale del Concilio Vaticano II; essere Chiesa e farci Chiesa dentro quel grande progetto che è stato guidato - come crediamo e lo crediamo fermamente - dallo Spirito Santo.
Lo stesso valore hanno, ad esempio, in senso esplicito e specifico le diverse sessioni del Sinodo dei Vescovi, come il Sinodo del 1980 sulla famiglia, quello del 1983 su penitenza e riconciliazione, quello straordinario a venti anni dalla conclusione del Concilio e, poi, quello che si prepara quest’anno sui laici e sulla loro missione nella Chiesa.
Queste iniziative che marcano, che segnano in un certo senso il cammino della Chiesa universale, devono aiutare le Chiese particolari nel loro cammino. Quando dico le Chiese particolari dico anche e, forse, soprattutto la Chiesa di Roma, come la Chiesa particolare in cui le sue dimensioni - particolare ed universale - si incontrano di più.
Con grande interesse ho ascoltato le voci che venivano dalla nostra odierna assemblea. Queste voci provengono dai miei fratelli nel presbiterato - lo sottolineo sempre e dappertutto: “Vobis sum Episcopus. Vobiscum Sacerdos” - e provengono dai miei collaboratori nell’ufficio della missione pastorale apostolica. Provengono da coloro che devono portare avanti il progetto della Chiesa nell’ultima tappa di questo millennio. Lo devono portare avanti nella dimensione più concreta, più capillare, più fondamentale, che è sempre la dimensione della parrocchia. Dopo tutte le esperienze e le prove dei tempi, la parrocchia rimane insostituibile in questa sua caratteristica. Naturalmente non è l’unica forma di fare la Chiesa nella sua dimensione più concreta; ci sono anche altre forme, altre iniziative, ma tutte devono convergere verso la parrocchia e nella parrocchia.
Carissimi, penso che ciò che voi fate, le vostre cure, sollecitudini, preoccupazioni - che vengono poi portate nella nostra assemblea - esprimono la verità di quell’espressione che ho usato nella mia prima enciclica, Redemptor Hominis: l’uomo è sempre la strada principale, la via principale della Chiesa. Nella vostra vita sacerdotale, nel vostro ministero, voi siete sempre vicini a quell’uomo, a quell’uomo che si trova in diverse situazioni e posizioni. Alcuni sono vicini a noi, alcuni partecipano al nostro impegno apostolico - anzi sono di edificazione per la loro partecipazione come laici all’apostolato della Chiesa -, ma altri sono indifferenti, sono lontani, sono anche ostili. Lo vediamo: questa è la situazione della Chiesa a Roma e dappertutto, ma era così anche ai tempi degli apostoli, ai tempi di Gesù, il quale ha incontrato non solamente amici e seguaci, ma anche nemici.
Dico tutto questo per porre ancora in un’altra prospettiva la tematica scelta per l’assemblea di oggi: evangelizzazione, parrocchia, nuove generazioni. In tutta Europa ed anche in Italia, anche a Roma, sentiamo profondamente il bisogno di una “seconda evangelizzazione”. Io non so se è la seconda - forse è la decima, forse la ventesima, non si sa -; ma diciamo “seconda” e possiamo confermare questa espressione. Questa nuova evangelizzazione deve avere due caratteristiche: la prima, deve essere molto ispirata dal Concilio Vaticano II, dal suo insegnamento, dai suoi orientamenti; seconda caratteristica, deve essere indirizzate in modo particolare verso le nuove generazioni. Esse si rendono conto del fatto che sono le vere realizzatrici del Concilio. Ad esse appartiene il futuro della Chiesa e, tramite la Chiesa, dell’umanità, dei paesi, delle nazioni - come la nazione italiana -, delle città - come Roma - alla fine di questo millennio e all’inizio del prossimo.
Nelle vostre considerazioni, nelle testimonianze ho trovato questa visione della problematica e la voglio sottolineare. Voglio ringraziarvi per questa visione. Penso che le nostre annuali assemblee all’inizio della Quaresima diventino, anno dopo anno, più mature.
In questa prospettiva vedo anche l’importanza dell’iniziativa abbastanza recente del Sinodo di Roma, del Sinodo particolare della Chiesa di Roma, che è già cominciato nella sua fase preparatoria o antepreparatoria. Dobbiamo fare uno sforzo non solamente locale - nel senso della parrocchia - ma dobbiamo fare uno sforzo ancora più comunitario, comunionale nella dimensione di tutta la Chiesa di Roma. Dobbiamo fare questo sforzo seguendo la dottrina e la visione del Concilio Vaticano II. Dobbiamo fare questo sforzo, andando verso il profondo significato della parola “Sinodo”. Sappiamo bene che questa parola greca indica le diverse strade che si incontrano, che si mettono insieme, “Sinodo”. Se è vero che l’uomo è la strada della Chiesa, allora queste diverse strade si trovano in un certo senso in ogni uomo, in ogni membro del Popolo di Dio nella Chiesa di Roma. In questa Chiesa è possibile fare un Sinodo pastorale, fare un Sinodo con la partecipazione numerosa di tutti i nostri fratelli e sorelle laici, religiosi, scienziati, professori, uomini di cultura, della tecnica e, naturalmente, sacerdoti e vescovi. Tutti insieme. È più difficile fare questo nella dimensione della Chiesa universale, ma la Chiesa universale cresce con ciascuno di questi Sinodi particolari delle Chiese locali.
Questo volevo dire riferendomi a quel Sinodo che ha già cominciato il suo cammino e speriamo che questo cammino sia fruttuoso.
Grazie per questo incontro, per il tanto ricco contributo. Coraggio! Coraggio! Lo dico a voi e lo dico a me, perché il tempo della Quaresima, il tempo pasquale è il tempo che ogni anno ci deve dare di nuovo più coraggio.
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana