DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI D' INGHILTERRA E GALLES
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»
Lunedì, 23 novembre 1987
Cari fratelli.
1. Vi saluto oggi con affetto in nostro Signore Gesù Cristo. Attraverso voi desidero pure salutare il clero, i religiosi, e i laici delle Chiese locali che costituiscono la Provincia di Birmingham in Inghilterra e la Provincia di Cardiff nel Principato del Galles. Vi accolgo con una gioia speciale in occasione della beatificazione di ottantacinque martiri dell’Inghilterra, del Galles e della Scozia. La loro testimonianza alla fede cattolica è parte di una lunga storia di fedeltà alla sede di Pietro, che è confermata dalla vostra visita “ad limina Apostolorum”.
Questi martiri hanno testimoniato il profondo mistero di comunione ecclesiale che ci unisce. Onorandoli, noi riaffermiamo e celebriamo quella comunione di vita, carità e verità istituite da Cristo stesso e usate da lui come strumenti di redenzione per tutti (cf. Lumen Gentium, 9). La maggior parte di essi furono sacerdoti e i loro collaboratori laici. Furono martirizzati per aver cercato di portare la parola di Dio e i sacramenti ai loro concittadini cattolici, i quali condividevano la loro convinzione, che i legami di piena comunione ecclesiale erano abbastanza importanti da rischiare la punizione e persino la morte in quell’epoca travagliata. Rallegriamoci oggi con gli altri fratelli o sorelle cristiani della vostra terra che dopo così tanti secoli possiamo cercare la piena comunione con il rispetto e la stima reciproca.
Nella morte questi martiri diedero eroica testimonianza a quell’amore che tutto strugge e che ha le sue origini in Cristo e che opera sempre nel suo corpo per la salvezza del mondo. Come san Paolo insegna, “caritas Christi urget nos” (2 Cor 5, 14), l’amore di Cristo ci stimola. I credenti devono essere solleciti, non solo per la loro salvezza, ma per la salvezza di tutti i loro fratelli e sorelle e di tutta l’umanità. Questo amore che sorpassa, è ordinato alla comunione di cui ho parlato: comunione con Dio e comunione degli uni con gli altri, una “unità di Spirito nel legame di pace” (Ef 4, 3).
2. Oggi in particolare questo amore ci spinge ad avere uno speciale interesse per tutti quei cattolici che hanno cessato la pratica di fede, per la quale i martiri hanno dato la loro vita! Nel mondo troviamo gente che non ha una parte attiva nella comunione ecclesiale, alla quale sono stati chiamati tramite il loro Battesimo, o che non vivono più secondo gli insegnamenti della Chiesa. In paesi come i vostri, il praticare la fede non comporta più il rischio della vita. Piuttosto si tratta di perseverare nella fede in mezzo a tutte le pressioni della vita moderna, che tenta la gente ad abbandonare la propria fede. Alcuni cercano di giustificarsi dicendo di poter essere un buon cristiano indipendentemente dalla Chiesa. Con le Scritture e la tradizione, tuttavia, noi dobbiamo insistere sul legame indistruttibile che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, tra lo sposo e la sua sposa, tra il capo e le membra, tra la madre e i suoi figli spirituali.
Per comprendere la situazione di alcuni dei nostri fratelli e sorelle dobbiamo guardare alla parabola del seminatore nel Vangelo, come è spiegata ai discepoli da nostro Signore, quando essi gli chiedono il significato del seme caduto sul sentiero, sul terreno roccioso, tra le spine e sul terreno buono (cf. Mt 13). Cristo dice loro che il seme è la parola di Dio che, per volere di comprensione, può essere rapita dal diavolo; o può cadere quando la tribolazione o la persecuzione nasce a causa di quella parola; o ancora gli interessi del mondo e la delizia delle ricchezze possono soffocare la parola e non farla fruttificare (Mt 13, 18-23). Questo insegnamento offre un’indicazione nella nostra condizione fragile e significativa, e dovrebbe servire per ricordare il bisogno di vigilanza, perseveranza, e una costante conversione del cuore da parte di tutti noi.
3. Nei nostri giorni dobbiamo “leggere” la società di cui facciamo parte alla luce di questa parabola. È per molti aspetti una società decristianizzata che non può mai sperare di resistere in quella strada veramente fruttuosa o morale dalla fondazione biblica sulla quale fu costruita. Un secolarismo ateistico e agnostico e un umanesimo impoverito circondano credenti e non credenti. Le verità salvifiche della rivelazione, incorporate nella dottrina e nella comunione sacramentale, sono spesso sostituite da sentimenti religiosi individuali o da una vaga e illusoria ricerca del divino o del sacro. Questa è la situazione di molti oggi, che si sono distaccati dalla pratica della loro fede. Il seme della parola di Dio continua a cadere lungo i nostri passi, su terreno roccioso e tra le spine, come anche sul terreno buono.
Per altri, l’abbandono della partecipazione attiva alla Chiesa è il risultato di un’esperienza alienante o dannosa, sia intenzionale che non, da parte di alcuni membri della comunità ecclesiale o uno dei suoi ministri. Per altri ancora una mancanza di comprensione o di accettazione degli sviluppi nella Chiesa dal Concilio Vaticano II è una causa di alienazione o addirittura ostilità. Non possiamo non menzionare i molti che si lasciano semplicemente trascinare dall’inerzia o dall’indifferenza.
4. Cari fratelli ed eredi spirituali dei martiri che diedero la propria vita perché altri potessero praticare la loro fede cattolica: a imitazione di Cristo, il buon pastore, noi che siamo i pastori dobbiamo venire in aiuto a queste pecore. So che anche voi condividete questa preoccupazione per i cattolici smarriti, che ho espresso sotto forma di appello, durante le mie visite pastorali. Vi incoraggio a proseguire negli sforzi che voi e molti dei vostri fratelli vescovi avete compiuto a questo riguardo. Per coloro che il Signore ha chiamato come pastori quest’obbligo è particolarmente importante. Il rito dell’ordinazione rende ciò chiaro quando si chiede al vescovo eletto circa la sua intenzione come buon pastore di cercare la pecora smarrita e di riunirla nel gregge del Signore. Anche se le nostre aspettative possono a volte venir contrastate, dobbiamo gioire nell’assicurazione del Signore che “ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che si pente che per novantanove giusti che non hanno bisogno di pentirsi” (Lc 15, 7). Quale gioia più grande può esserci per un pastore che vedere fratelli e sorelle ritornare ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia e una volta ancora “dedicarsi agli insegnamenti degli apostoli, allo spezzare del pane e alle preghiere” (At 2, 42)?
5. Allo stesso tempo richiamiamo che il lavoro di evangelizzazione, che si estende ai cattolici non praticanti, è un dovere fondamentale di tutto il popolo di Dio (cf. Apostolicam Actuositatem, 35). È l’intera Chiesa che evangelizza, ogni sforzo di evangelizzazione è nella sua natura ecclesiale (cf. Evangelii Nuntiandi, 60). E così cari fratelli, non siamo soli. La nostra preoccupazione per i non praticanti è condivisa dal nostro clero, che testimonia in prima persona la loro assenza e l’effetto negativo di quest’assenza sulla comunità locale. Colpisce ugualmente i fedeli, molti dei quali soffrono profondamente perché il loro coniuge, i loro amici e i loro figli in particolare si sono allontanati. Così molti dei nostri fratelli e sorelle mi chiedono di pregare perché i loro cari ritornino alla chiesa, ed è giusto così, poiché la preghiera è il mezzo più efficace per toccare i cuori con la grazia di Dio. Vi spingo a incoraggiare i malati e i sofferenti, la cui preghiera è così potente, a pregare per questa intenzione. Alle nostre preghiere dobbiamo aggiungere un attivo zelo unito alla carità e a uno spirito di riconciliazione, cosicché sia chiara la strada per le pecore disperse. Se la nostra comunione ecclesiale non è una comunione di amore e di accoglienza, allora noi falliamo nella nostra missione di essere sacramento visibile di unità e di pace per il mondo (cf. Lumen Gentium, 9). Dobbiamo comunque esser certi che, nonostante le nostre debolezze, Dio non mancherà di benedire i nostri sforzi, di ricercare i cuori e le menti smarrite e di guidarli verso una piena e attiva comunione con Cristo e la sua Chiesa.
Desidererei anche menzionare specialmente i nostri sacerdoti, che sono i nostri aiutanti necessari e consolatori nel ministero, nostri fratelli e amici (cf. Presbyterorum Ordinis, 7). Essi possono talvolta provare un senso di sconforto, specialmente se lavorano da soli in parrocchie isolate. È importante che essi sperimentino il sostegno dei loro vescovi e dell’intero presbiterio. Per umile o apparentemente isolato che sia, quel ministero è veramente ecclesiale, “legato all’attività evangelizzatrice dell’intera Chiesa, da una relazione istituzionale, ma anche da legami profondi e invisibili dell’ordine della grazia” (Pauli VI, Evangelii Nuntiandi, 60). Possano essi trarre esempio dai martiri che noi onoriamo, il cui zelo e il cui sacrificio di sé parla ancora a noi nel corso dei secoli.
Cari fratelli, possano questi martiri e tutti i santi intercedere per voi e per il vostro clero, i vostri religiosi e laici. Maria, Madre della Chiesa, sia la stella che vi guida sul vostro pellegrinaggio di fede. Cristo, il buon pastore, vi rafforzi nell’amore gli uni verso gli altri e per tutto il suo gregge, specialmente per coloro che sono lontani dalla sua casa spirituale. Come pegno della sua gioia e della sua pace imparto di cuore la mia benedizione apostolica.
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