VIAGGIO APOSTOLICO IN URUGUAY, IN BOLIVIA, A LIMA E IN PARAGUAY
INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON GLI INDIOS NELLA MISSIONE DI «SANTA TERESITA»
Mariscal Estigarribia (Paraguay)
Martedì, 17 maggio 1988
Amatissimi fratelli indigeni del Paraguay
1. “Ymá güivéma, aimesé pendendivé. Ha péina ága, aimema pendeapytépe”. (È da molto tempo che desideravo trovarmi fra voi ed ora, finalmente, sono arrivato).
Da questa Missione di “Santa Teresita”, desidero rivolgermi ai “nivaclé, guaraníes occidentali e guaraníes ñandeva; ai lengua, sanapaná, angaité, toba maskoy, guaná, manjuí, toba qom, maká, ayoreo; ed agli aché, mbyà apyteré, avá chiripá e pai tavytera”. So che per molti di voi arrivare a questo incontro con il Papa ha richiesto un grande sforzo, perché avete dovuto attraversare le immense pianure del Chaco paraguayano. Mi commuove questo sacrificio che ci permette di stare oggi tutti insieme. Che il mio saluto giunga anche ai chaqueños ed ai popoli indigeni, tanto a quelli nati in questa terra come a quelli che sono venuti da altri luoghi per abitare e lavorare questa terra.
Mi rivolgo inoltre a tutti i vostri fratelli che sono venuti da altre parti del continente americano: a quelli che vengono dalla Bolivia e dal Brasile. Vi prego di portare anche il mio saluto di gioia e di pace nel Signore, a tutti i vostri villaggi e famiglie. Saluto anche i vostri Pastori, i sacerdoti, i missionari, le missionarie e i catechisti, soprattutto quelli della diocesi di Benjamín Aceval e del Vicariato apostolico del Chaco paraguayano. Ringrazio tutti per l’affetto e la bontà che mi avete manifestato.
2. Si sta avvicinando il grande avvenimento del V centenario della evangelizzazione dell’America. Questa data, che è motivo di gioia per tutta la Chiesa, lo è soprattutto per voi. Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2, 4). Perciò affidò ai suoi apostoli e a tutta la Chiesa la missione di andare a fare discepoli fra tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e insegnando loro ad osservare i suoi comandamenti (cf. Mt 28, 19-20). Seguendo questo comandamento di Cristo, per cinque secoli sono giunti qui uomini e donne, spinti da un grande amore per Dio e per gli abitanti di queste meravigliose terre, senza altro fine se non quello di diffondere la luce della fede e promuovere la nuova vita, la vita della grazia nei loro cuori.
Attraverso la fede l’uomo arriva ad una conoscenza più piena di Dio e acquista anche una dimensione più profonda della propria dignità come persona, che è comune a tutti gli uomini. Infatti, come ci insegna il Concilio Vaticano II, “tutti gli uomini, dotati di un’anima razionale e creati ad immagine di Dio, hanno la stessa natura e la medesima origine; e poiché da Cristo redenti, godono della stessa vocazione e del medesimo destino” (Gaudium et Spes, 29). In virtù di questa comune origine, siamo tutti uguali nella dignità, senza distinzione di razza, lingua o nazione. Non vi è più, come dice l’Apostolo, né ebreo, né greco, né barbaro (cf. Col 3, 11), perché siamo tutti stati chiamati ad essere “familiari di Dio” (Ef 2, 19).
Questo fatto originario, che siamo tutti usciti dalle mani di Dio, comporta enormi conseguenze per la persona, come individuo e come famiglia umana. La prima è che siamo tutti fratelli perché abbiamo uno stesso Padre: Dio. Pensate, carissimi abitanti di queste terre, ciò che deve significare per le vostre vite ed il vostro comportamento professare che realmente siete fratelli, membri di una sola famiglia.
Questi vincoli strettissimi sul piano della natura sono stati definitivamente confermati da Cristo, che ci permette di condividere la nuova vita della grazia che egli ha conquistato per noi sulla croce e che ci fa essere parte del popolo eletto di Dio. La fratellanza che deve regnare nel genere umano deve portare infatti ad una collaborazione e solidarietà fra tutti gli uomini ed i popoli, che permetta lo sviluppo di tutti, rispettando le caratteristiche di ciascuno (cf. Sollicitudo Rei Socialis, 33).
3. L’uomo è superiore a tutte le altre creature della terra, perché è capace di conoscere e amare Dio. Per questo non può lasciarsi trascinare dagli istinti, poiché la sua condizione di figlio di Dio lo deve indurre a comportarsi in maniera conforme a tale dignità, osservando i dieci comandamenti dati da Dio a Mosè (cf. Es 20, 1-17) e che Cristo ha elevato e perfezionato con il nuovo comandamento dell’amore (cf. Gv 13, 34).
Ciononostante, la nostra coscienza e la nostra esperienza ci mostrano un fatto doloroso, e cioè che esiste dentro di noi un’inclinazione al peccato, una tendenza verso modi di vivere che si oppongono alla legge di Dio ed al volere divino. Perciò ciascuno dovrà esaminare approfonditamente se stesso per scoprire quello che nella vita e nel comportamento personale si oppone alla sua condizione di figlio di Dio e fratello del suo prossimo.
Per osservare i comandamenti della legge di Dio, vincendo in tal modo le inclinazioni al male, disponiamo dell’aiuto della preghiera. Venite, dunque, al Signore con fiducia, nella consapevolezza che egli è particolarmente vicino a voi. Insegnate anche ai vostri figli a rivolgersi a “Ñandeyara” - nostro Padre Dio - con le semplici preghiere che sin dalla tenera età avete imparato: specialmente con il “Padre nostro”, la preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato (cf. Mt 6, 9-13). Invocate spesso “Tupasy” - la Vergine santissima -, Madre di Gesù e madre nostra, pregando l’“Ave Maria”, che le è molto gradita; ella vi incoraggerà a compiere la volontà del suo divin Figlio osservando la santa legge di Dio.
I sacramenti sono la fonte della grazia divina da cui riceverete le forze, per superare le debolezze proprie della condizione umana. Il Signore nella sua bontà ha previsto questi aiuti per soccorrerci in ogni momento del nostro pellegrinaggio terreno. Infatti, il Battesimo ci rinnova come figli di Dio e ci rende parte della Chiesa. Nell’Eucaristia, Cristo si offre al Padre per la salvezza del mondo e si offre a noi come alimento della vita eterna (cf. Gv 6, 51). Attraverso il sacramento della Riconciliazione, Gesù come il Buon Pastore che cerca la pecora smarrita (cf. Lc 15, 4-7), va incontro al peccatore per guarirlo dalle sue ferite, cioè, dalle sue mancanze, mediante l’assoluzione del sacerdote.
L’unione fra l’uomo e la donna è stata santificata da Cristo nel sacramento del matrimonio. In esso, gli sposi si uniscono indissolubilmente per costituire una comunità di vita e d’amore (cf. Gaudium et Spes, 48) e dar vita a una famiglia. Nel suo seno nascono i figli, frutto dell’amore dei genitori, che compiono la volontà di Dio e collaborano in questo modo al suo potere creatore. Questo sacramento vi dà la grazia necessaria per accrescere l’amore, conservare la fedeltà ed educare i vostri figli ad essere uomini onesti e buoni cristiani. Consapevoli della dignità del matrimonio e della famiglia, dovete respingere quei comportamenti che si oppongono agli insegnamenti di Cristo ed alla vera felicità coniugale.
4. L’insieme di questa verità della dottrina cristiana sulla preghiera e i sacramenti viene acquisito ed approfondito nella catechesi. Per questo, vi chiedo, cari fratelli indigeni, di dedicare tutti i vostri sforzi a conoscere meglio i fondamenti della vostra fede cattolica partecipando assiduamente ai gruppi di catechesi e meditando sugli insegnamenti di Gesù nel Vangelo.
L’evangelizzazione delle vostre comunità raggiungerà la sua piena maturità quando saranno molti i sacerdoti che provengono dalle vostre stesse famiglie. Non tralasciate dunque di pregare affinché il Signore chiami molti dei vostri figli e figlie al sacerdozio ed alla vita religiosa. Non tralasciate di invitare i giovani ad ascoltare l’appello di Dio e a dedicare la propria vita al servizio di Dio in mezzo ai loro fratelli.
Cristo è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1, 9). La fede cristiana che avete ricevuto nel Battesimo è questa luce che illumina le vostre vite e guida le vostre comunità.
La fede, se è genuina, deve caratterizzare sempre più gli autentici valori tradizionali che si sono formati nel corso dei secoli e che costituiscono l’anima delle vostre culture; infatti la fede in Gesù Cristo è anche “un elemento decisivo per quel progresso civile ed umano che tanta importanza riveste per l’esigenza e per lo sviluppo di ogni nazione e di ogni Stato” (Euntes in Mundum, 5). Infatti, la Chiesa ha sempre posto una cura particolare perché il messaggio cristiano sia espresso con i concetti e nella lingua di ciascun popolo. In Paraguay avete, fra i tanti, l’esempio di padre Luis Bolanos che ha tradotto in guaraní il Catechismo del Concilio di Lima del 1583. “La Chiesa - ricorda a questo proposito il Concilio Vaticano II - nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce ed accoglie tutte le risorse, le ricchezze, le consuetudini dei popoli, nella misura in cui sono buone, e accogliendole le purifica, le consolida e le eleva” (Lumen Gentium, 13).
5. Ho ascoltato da voi la testimonianza dei grandi problemi che vi affliggono. Conosco le difficoltà e le sofferenze che hanno affrontato i vostri padri nel passato ed anche quelle che incontrate voi al presente. Nella vita delle vostre comunità sono frequenti gli stati di povertà, di malattia e persino la mancanza di ogni assistenza sociale. Ciononostante, non servirebbe a nulla cedere allo sconforto. La fede deve quindi condurvi a vedere tali realtà in una nuova prospettiva. Ricordate l’esempio di Gesù, particolarmente vicino a tutti coloro che soffrono: la sua vita di lavoro povero ed umile, le sue parole di conforto agli stanchi e agli oppressi (cf. Mt 11, 28-30), il suo incoraggiamento alla speranza per “quelli che hanno fame e sete della giustizia” (cf. Mt 5, 6) e per “gli operatori di pace” (cf. Mt 5, 9).
I vostri desideri di promozione integrale sono giusti. Innanzitutto volete essere rispettati come persone e che siano riconosciuti e tutelati i vostri diritti, sia umani che civili. Conosco i gravi problemi che vi affliggono; soprattutto per quel che riguarda il possesso di terre e i titoli di proprietà. Perciò mi appello al senso di giustizia e umanità di tutti i responsabili, perché siano favoriti i meno abbienti. Sin dagli inizi dell’evangelizzazione in queste terre, la Chiesa ha difeso la libertà e la dignità degli indigeni, dei cui diritti i missionari sono stati spesso portavoce contro gli abusi cui a volte i vostri antenati erano sottoposti.
Volete anche essere protagonisti dello sviluppo dei vostri popoli e chiedete il rispetto per le vostre culture, e per le libere decisioni che prendete. Desiderate al tempo stesso una promozione a livello economico ed umano, che favorisca il vostro progresso, attraverso una educazione che sappia coniugare ed integrare i vostri valori tradizionali con i progressi del mondo moderno. Da parte mia esorto ed esorterò sempre, quale Pastore della Chiesa, tutta la società paraguayana a proseguire la grande sintesi interculturale realizzata cinque secoli fa ad Asunción e nelle regioni dei fiumi Paraná e Uruguay e che fu un modello per il mondo. Desidero rivolgere anche un appello alla solidarietà (cf. Sollicitudo Rei Socialis, 40) a tutti i paraguayani di buona volontà affinché, senza cadere nell’egoistica indifferenza, collaborino al compito dell’integrazione dei loro fratelli indigeni nella comunità nazionale. Perciò incoraggio gli sforzi che sono stati realizzati e che ancora si compiono per raggiungere questa meta desiderata.
6. La Parola di Dio che abbiamo appena ascoltato, presa dalla lettera dell’apostolo Paolo ai Romani, ci diceva: “Accoglietevi perciò gli uni agli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio” (Rm 15, 7). L’Apostolo ci invita ad accoglierci gli uni gli altri, ad essere comprensivi reciprocamente, a creare fra tutti un clima di convivenza pacifica. Infatti, la pace è un grande valore per l’uomo: Cristo risorto saluta i suoi discepoli dando loro la pace (cf. Gv 20, 19).
Essa è un bene imprescindibile per lo sviluppo dei vostri popoli. La violenza, invece, non è la via per risolvere i problemi, perché offende Dio, chi la soffre e chi la pratica.
Ciononostante, l’esortazione dell’Apostolo non è un invito alla passività, bensì al lavoro ordinato e costante, volto a superare le divisioni storiche e culturali che, dentro e fuori le vostre comunità, potrebbero rendere difficili la convivenza e la pace.
Non bisogna dimenticare, d’altronde, che le ricchezze culturali che avete ereditato dai vostri antenati non possono essere motivo per chiudersi “in uno sterile isolazionismo” (“Puebla”, 424), come hanno messo in guardia i Vescovi latinoamericani a Puebla. Nel rispettare tutti i valori culturali di ciascuno, ricordate sempre che la mancanza di “forme strutturate di istruzione, di scrittura e di certe abilità ed abiti mentali sono condizioni che emarginano e che mantengono in situazione di svantaggio” (“Puebla”, 1015).
7. “Sono anch’io convinto . . . - ci dice san Paolo nella lettera ai Romani - che voi pure siete pieni di bontà, colmi di ogni conoscenza e capaci di correggervi l’un l’altro” (Rm 15, 14).
In tutta quest’opera di evangelizzazione, che contiene anche una efficace premura in favore della promozione umana, è fondamentale il lavoro dei catechisti. È il Signore che, attraverso i Vescovi, li invia alle vostre comunità per cooperare nella missione che egli ha affidato alla sua Chiesa e di insegnare il Vangelo a tutte le nazioni (cf. Mt 28, 19-20).
Cari catechisti: continuate ad andare avanti con vera dedizione e generosità e non perdetevi d’animo in questa encomiabile opera. Il Signore accende e ravviva la fede in coloro che vi ascoltano, attraverso la testimonianza della vostra vita cristiana e dell’insegnamento sistematico e costante della dottrina di Gesù. L’opera che realizzate è particolarmente importante in quei luoghi dove i fedeli si vedono forzosamente privati della presenza del sacerdote durante lunghi periodi di tempo. Ricade, allora, fondamentalmente su di voi la missione di evangelizzare, per cui avete bisogno di una preparazione dottrinale adeguata e di una solida vita spirituale.
Che l’insegnamento e la diffusione della dottrina di Cristo tra gli indigeni sia anche accompagnata dalla vostra preoccupazione per la promozione umana di queste comunità. L’esempio della vostra carità cristiana - manifestantesi in opere concrete in favore di questa promozione - sarà un modo efficace di incoraggiare fra di loro la pratica della fede, perché vedranno nelle vostre vite un fedele riflesso della dottrina che insegnate.
8. Desidero rivolgere adesso la mia parola agli abitanti non indigeni di questa terra, molti dei quali immigrati dall’Europa centrale. È noto che, con costanza e tenacia ammirevoli, state ponendo le basi economiche e una accogliente dimora per le vostre famiglie, contribuendo contemporaneamente al progresso di questa nazione.
L’uomo sin dall’inizio della creazione è stato creato da Dio per sottomettere la terra e dominarla (cf. Gen 1, 28). Particolarmente nei lavori agricoli l’uomo si sente collaboratore del Creatore. In essi si uniscono il lavoro del contadino e il dono di Dio, la terra. Per questo, quanto più sottomette e domina la terra, tanto più l’uomo deve avvicinarsi a colui che gli ha donato tutti i beni che essa contiene.
È necessario che le vostre preoccupazioni non vi portino a dimenticare gli obblighi di ogni cristiano verso Dio, nostro Padre. Celebrate la domenica, giorno del Signore, osservando il precetto domenicale. Non trascurate l’educazione cristiana dei vostri figli, ma dedicate ad essa, così come a tutti gli altri aspetti della loro formazione, il tempo necessario.
Il lavoro contadino porta con sé abitudini e modi di vita di grande valore umano: suscita la solidarietà con i più bisognosi, dispone gli animi a condividere i beni ed è fonte di amicizia, di amore familiare e di pace. Contemporaneamente vi spinge a vincere l’isolamento e a stringere amichevoli e sempre più stretti contatti con i fratelli indigeni.
Nel vostro noto impegno per migliorare le condizioni di vita di questi popoli, è sempre prezioso il rapporto con i cristiani non cattolici che lavorano in questi luoghi.
Anche ad essi desidero rivolgere il mio saluto e la mia parola. Come ho ricordato nella mia ultima enciclica, il dovere di impegnarsi nello sviluppo dei popoli è un dovere per tutti e per ognuno degli uomini e donne, “in particolare per la Chiesa cattolica e per le altre Chiese e comunità ecclesiali con le quali siamo pienamente disposti a collaborare in questo campo” (Sollicitudo Rei Socialis, 32). Spero che questa cooperazione aumenti e sia ogni giorno più feconda in questo Paese.
“Pohayhú che corazö mbytetéguivé che hermano kuéra. Aikua ‘à pende kaneó; añandú pendé angatá; aimé penendivé. Ñandajara pendé rayhú; Te pendé rovasá. Ta pendé membareté. Pe joajú, peiko poravé haguá Pejoayhuke Ñandejara Jesucristo Oipotaháicha”.
(Vi amo di tutto cuore cari fratelli. Conosco le vostre fatiche; partecipo alle vostre amarezze; sono con voi. Dio vi ama; egli vi benefica. Vi dia forza. Unitevi per poter vivere meglio. Amatevi gli uni gli altri come Gesù Cristo desidera).
9. Cari fratelli: con profonda gioia sono stato oggi con voi. Al termine di questo incontro che ha luogo in un anno mariano, rivolgiamo il nostro sguardo verso “Tupasy’”, verso Maria, Madre di Dio e madre nostra:
- a lei che loda il Signore perché effonde la sua misericordia di generazione in generazione e - spiegando la potenza del suo braccio - innalza gli umili (cf. Lc 1, 46-55);
- a lei, che è causa della nostra gioia, consolazione degli afflitti, aiuto dei cristiani;
- a lei ricorriamo perché “il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo” (Rm 15, 13).
Così sia.
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