DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEL CANADA
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»
Lunedì, 7 novembre 1988
Cari fratelli Vescovi.
1. In occasione della vostra visita “ad limina”, vi accolgo in uno spirito di carità fraterna e invio il mio saluto a tutte le vostre Chiese locali: “Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo” (Rm 1, 7). Sono molto lieto di questa opportunità di incontrarvi per rafforzare ulteriormente gli stretti vincoli esistenti tra la Santa Sede e la gerarchia canadese e per incoraggiarvi nel vostro ministero per il Popolo di Dio.
Desidero riflettere con voi per alcuni momenti sulla nostra vocazione cristiana, sul fatto che noi siamo chiamati da Dio a servirlo nella Chiesa e nel mondo. L’esistenza umana deriva il suo proprio scopo dalla chiamata del solo che è totalmente “altro”, il Signore Dio. È rivolta all’umanità nella creazione e nella redenzione. Nella Genesi, Dio chiama Adamo ed Eva “a riempire la terra e soggiogarla” (Gen 1, 28). In Cristo, nuovo Adamo, Dio chiama gli esseri umani ad una gloria ancora più grande: vivere in una comunione perfetta gli uni con gli altri e con la Santissima Trinità. Come leggiamo nella Gaudium et Spes: “Cristo . . . svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (Gaudium et Spes, 22).
La Chiesa è nota come un sacramento di salvezza in Cristo. Ciascun membro è chiamato a compiere la missione della Chiesa attraverso il culto sacramentale, la santità di vita e la testimonianza del Vangelo con le parole e le azioni.
2. Questo mistero della nostra vocazione, nonostante sia profondamente radicato dentro di noi, è tuttavia oscurato dal peccato. Dobbiamo lottare per far aderire la nostra libertà alla chiamata di Dio. A causa del peccato noi ci ribelliamo contro la sua volontà su di noi. Come i nostri progenitori, noi siamo tentati di decidere da soli ciò che è bene e ciò che è male, indipendentemente da Dio che ci ha creati. È davvero grande questa tentazione per il mondo contemporaneo, in cui il progresso tecnologico e il benessere materiale possono oscurare la dimensione trascendente della nostra vocazione e distoglierci dalle questioni ultime della nostra esistenza. Dobbiamo ricordarci delle serie parole di Cristo: “Qual vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?” (Mt 16, 26; cf. anche Mc 8, 36); o ancora: “Stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita” (Mt 7, 14).
Cristo compie la nostra redenzione e ci mostra con la parola e l’esempio che “servire è regnare”. Lungi dal mortificare l’uomo, l’obbedienza a Dio porterà vita in abbondanza, e sola renderà possibile la realizzazione della persona, la pace e la gioia per le quali siamo stati creati e cui aneliamo. L’amore è reso perfetto dalla prova - la sofferenza, la donazione, attraverso la croce. La durezza della mente è convertita nella sapienza divina. Il cuore chiuso è reso capace di accogliere l’amore divino. Gli occhi accecati sono aperti a ciò che non si vede.
Qualsiasi tenebra possa cadere sulla nostra epoca o in qualsiasi epoca, la Chiesa “si rallegra nella speranza”. Ella sa che “laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (cf. Rm 5, 20). Nel proclamare la vocazione data da Dio all’uomo nella creazione e nella redenzione, ella guarda con fiducia a colui che “in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi” (Ef 3, 20). Essa ha una fede incrollabile nella realtà della libertà e della responsabilità nel rispondere alla chiamata di Dio.
3. Il Concilio Vaticano II ha posto in grande rilievo la nozione di vocazione. Ha sfidato tutto il Popolo di Dio a rispondere più generosamente alla missione che è sua attraverso il Battesimo così che a sua volta possa condurre ogni persona a realizzare che essa è chiamata da Dio in Cristo a condividere il dono della vita eterna. Rendiamo grazie a Dio perché molti fedeli hanno accolto questa sfida. Nello stesso tempo, riconosciamo anche la pressante necessità, nei nostri giorni, di più numerose vocazioni al sacerdozio ministeriale, in particolare, e alla vita religiosa. La necessità di queste vocazioni è profondamente sentita in Canada come anche in altri posti del mondo. È assolutamente essenziale per i fedeli avere degli autentici pastori che l’ordinazione sacerdotale abilita all’esercizio dell’unico e sublime ministero di consacrare e di assolvere, e la cui vita è un segno sacramentale della presenza di Cristo, Buon Pastore, in mezzo al suo gregge. In un momento in cui molti sono lontani dalla Chiesa, nel vostro Paese e altrove, e in cui c’è un senso di incertezza, di alienazione o indifferenza tra molti cattolici, è vitale che il ministero sacerdotale e la consacrazione religiosa non vengano a mancare nella Chiesa.
4. Per poter rispondere a queste particolari necessità, dobbiamo anzitutto riflettere sulla dinamica della chiamata di Dio nella vita della persona. Nel decreto sul ministero e la vita sacerdotale, il Concilio Vaticano Il ricorda le seguenti parole di Paolo VI: “La voce di Dio che chiama si esprime in due modi diversi, meravigliosi e convergenti: uno interiore, quello della grazia, quello dello Spirito Santo, quello ineffabile del fascino interiore che la «voce silenziosa» e potente del Signore esercita nelle insondabili profondità dell’anima umana; e uno esteriore, umano, sensibile, sociale, giuridico, concreto” (Presbyterorum Ordinis, 11, adn. 66). Questa convergenza delle dimensioni interna ed esterna si applica ad ogni vocazione nell’economia sacramentale istituita da Cristo, che si tratti della chiamata iniziale alla fede e all’appartenenza al suo corpo, la Chiesa, oppure della speciale chiamata al sacerdozio ministeriale e alla vita consacrata.
5. L’aspetto interiore della chiamata divina ci richiama una verità fondamentale: ogni vocazione è l’esito di una iniziativa divina, è un dono di Dio. Perciò, come Gesù stesso dice, noi dobbiamo “pregare il padrone della messe che mandi operai nella sua messe”, poiché “la messe è molta, ma gli operai sono pochi” (Mt 9, 38. 37). Nel discernere “i segni dei tempi” dobbiamo riflettere sul profondo significato di queste parole per la Chiesa in ogni epoca.
Oggi ci sono alcuni che interpretano la diminuzione delle vocazioni sacerdotali a partire dal Concilio come un segno che il sacerdozio deve essere soppiantato o grandemente sminuito, piuttosto che accompagnato da nuove forme complementari di ministero. Altri ne deducono che dovrebbe essere abolita la necessità del celibato per i sacerdoti di rito latino; altri ancora sostengono che la dottrina tradizionale sul sacerdozio, fondata sull’istituzione di questo sacramento da parte di Cristo e sulla teologia cristiana, dovrebbe essere abbandonata, se possibile, così che le donne potessero essere ordinate al sacerdozio. In questo modo, si dice o si sottintende, si potrebbe assicurare una grande quantità di operai per la messe del Signore.
Non potremmo piuttosto dire, ricercando le vie del Signore e non le nostre, che il sacerdozio ordinato e l’amore e la comprensione di esso da parte della Chiesa sono attualmente messi alla prova, in modo che ciò che in essi è essenziale possa essere rafforzato, purificato e rinnovato in una rinascita spirituale più feconda di frutti? Se siamo stati messi in ginocchio, per così dire, dalla necessità di sacerdoti, non è forse per comprendere con maggiore umiltà e amore chi è davvero il Signore della messe? Come ci ha insegnato saggiamente Paolo VI: “Cristo non ha esitato ad affidare il formidabile compito di evangelizzare il mondo . . . a un pugno di uomini all’apparenza carenti in numero e qualità. Ha esortato questo «piccolo gregge» a non perdersi d’animo, perché grazie alla sua costante assistenza . . . essi avrebbero vinto il mondo. Gesù ci ha insegnato anche che il Regno di Dio ha un intrinseco e invisibile dinamismo che lo fa crescere senza che l’uomo se ne accorga. La messe del Regno di Dio è grande, ma gli operai, come all’inizio, sono pochi. In realtà, non sono mai stati così numerosi da poter essere giudicati sufficienti secondo i criteri umani. Ma il Signore del Regno chiede di pregare perché siano mandati gli operai . . . La prudenza e l’avvedutezza dell’uomo non possono superare la nascosta sapienza di chi, nella storia della salvezza, ha sfidato la saggezza e la potenza dell’uomo con la propria follia e debolezza” (Pauli VI “Sacerdotalis Caelibatus”, 47).
Cari fratelli, la “follia e debolezza” della Chiesa agli occhi del mondo sono direttamente proporzionali alla sua fiducia nel Signore crocifisso, nelle sue parole e azioni, nel suo esempio e nelle sue promesse. Ella sa di essere un “segno di contraddizione”, e che le ricchezze spirituali della sua dottrina e disciplina danno testimonianza alla sapienza divina che non è di questo mondo, seppure destinata alla salvezza del mondo. Nel discernere i “segni dei tempi” riguardo alle vocazioni, dobbiamo riconoscere la necessità costante di una conversione, anche quando “preghiamo il padrone della messe che mandi operai nella sua messe”.
6. Poiché la vocazione ci viene offerta come un dono, la nostra libertà umana è essenziale per accoglierla o respingerla. Pensiamo al giovane ricco del Vangelo che rifiuta la chiamata particolare di Cristo poiché aveva molti beni (cf. Mt 19, 16-22). Di qui l’importanza del carattere esteriore della vocazione, cioè gli aspetti “umani, sensibili, sociali, giuridici e concreti”, che devono sostenere e incoraggiare l’invito rivolto da Dio alla persona, per non ignorarlo o soffocarlo. Molto spesso, come per il profeta Elia, l’invito del Signore non si presenta come un vento impetuoso e gagliardo o un terremoto o un fuoco divorante, ma piuttosto come “il mormorio di un vento leggero” (cf. 1 Re 19, 11-12). Chi è chiamato deve discernere l’autenticità di questa voce interiore, non nel vuoto, ma nel quadro di una cultura e di una società determinate, di una famiglia e di una scuola, di una parrocchia e di una diocesi.
È vero che oggi la famiglia, la scuola, la parrocchia e la diocesi sono sconvolte dai venti del cambiamento. In mezzo alle grandi trasformazioni nel pensiero e nel comportamento, che sfidano e rimettono in questione la fede e la pratica cristiana, la Chiesa cerca anch’essa di rinnovarsi, non conformandosi al mondo ma “nell’accresciuta fedeltà alla sua vocazione” (Unitatis Redintegratio, 6). Un’accresciuta fedeltà conduce a una maggior chiarezza e forza di convinzione in quel che la Chiesa crede e insegna, compresa la grandezza e la necessità del sacerdozio e della vita religiosa. È un aspetto essenziale di un clima che permette alle vocazioni di fiorire. Se le basi di una sana ecclesiologia dei sacramenti o dell’ascesi cristiana sono minate nello spirito o nel cuore dei fedeli allora inevitabilmente l’invito di Dio al Sacerdozio, alla vita religiosa - e perfino al Matrimonio cristiano - non sarà più chiaramente percepibile. Il “mormorio di un vento leggero” sarà soffocato piuttosto che amplificato da ciò che è “esteriore, umano, sensibile, sociale, giuridico e concreto”.
7. Cari fratelli, conosco bene il vostro impegno, insieme con i vostri fratelli nell’episcopato canadese, per promuovere le vocazioni al Sacerdozio e alla vita consacrata. Voi avete preso a cuore l’esortazione del Concilio ai Vescovi: aiutare coloro che Dio chiama al suo servizio e ricercare la collaborazione di tutto il Popolo di Dio per coltivare queste vocazioni (cf. Optatam Totius, 2). Ho fiducia che i fedeli delle vostre diocesi continueranno a collaborare a questa grande opera con una vita cristiana esemplare, con una maggiore preghiera e penitenza, oltre che con il desiderio di comprendere meglio l’importanza di queste vocazioni particolari per la vocazione cristiana di ciascuno e di tutti. Possiamo essere certi che il “padrone della messe” non ci abbandonerà.
Il modello di tutte le vocazioni che vengono da Dio si trova in Maria, Madre della Chiesa. Con il suo “fiat” di umile ancella del Signore, non solo si è resa disponibile all’effusione dei doni divini, ma ha anche fatto nascere il Redentore che permette ad ogni persona di udire e accettare il richiamo di Dio. Prego perché voi e le Chiese particolari facciate sempre esperienza della potente e materna intercessione di Maria e, di tutto cuore, imparto a tutti la mia benedizione apostolica.
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