DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEL BRASILE
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»
Giovedì, 31 maggio 1990
Cari fratelli nell’episcopato.
1. Uniti nella stessa letizia pasquale, sono lieto di darvi il mio cordiale benvenuto a questo incontro, culmine della vostra visita “ad limina”. Innanzitutto, vi ringrazio vivamente per il saluto con cui mi avete fatto pervenire anche i sentimenti di adesione e di affetto dei vostri fedeli diocesani, che costituiscono una parcella della Chiesa di Dio in Brasile, che molto amo. Ringrazio vivamente anche Dio, che mi offre questa opportunità di condividere i desideri più profondi e le speranze non solo vostre ma anche dei sacerdoti, religiosi, religiose e operatori pastorali che, con abnegazione e sacrifici collaborano con voi nel servizio alle comunità ecclesiali che il Signore vi ha affidato. Dal giorno di Pentecoste, che fu come il giorno della nascita della Chiesa per opera e grazia dello Spirito Santo, Pietro proclama a tutto il mondo: non c’è un altro nome nel quale possiamo essere salvati, se non il nome benedetto di Gesù Cristo (cf. At 4, 12). Lungo questi venti secoli, il successore di Pietro, con i pastori in comunione con lui, hanno ripetuto lo stesso annuncio agli uomini, sempre tentati di cercare la salvezza in altri nomi e altri culti.
Come voi vedete, uno dei problemi che con più forza interpella oggi la vostra sollecitudine pastorale di vescovi in Brasile è quello dell’evangelizzazione e del giusto orientamento di quella immensa ricchezza del popolo brasiliano che è il suo, radicato ma a volte confuso, senso di religiosità. Questo è favorito dall’indole cordiale e da una visione trascendente della vita, che caratterizzano le varie razze che hanno costituito il popolo; di questo senso ha approfittato l’evangelizzazione, sia nel periodo coloniale che nel secolo scorso. È nota a tutti, però, quella tendenza alla superstizione che l’apostolo Paolo osservava tra gli ateniesi: “Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio” (At 17, 22). L’apostolo, conoscitore della natura umana e dello spirito religioso dell’epoca, sapeva che lì si adorava una moltitudine confusa di nomi e culti. Ma ora si trattava di annunciare la salvezza che tutti gli uomini cercano davvero, attraverso l’unico Nome, che è del Nostro Signore Gesù Cristo.
2. Due dei vari aspetti di questo senso religioso originario ci richiamano particolarmente l’attenzione: il sincretismo, che può manifestarsi in diverse aree; e la crescente proliferazione delle sette, come risultato di uno sfruttamento facile e ingiusto della religiosità popolare mal compresa.
3. Il sincretismo religioso è un fenomeno molto complesso e non ancora pienamente studiato. Con lo sviluppo dell’attività industriale in Brasile e la conseguente migrazione interna dalle campagne alle città, si è resa più facile l’influenza delle pratiche spiritualistiche, così come lo sfruttamento folcloristico e turistico dei simboli, dei riti e delle festività popolari in cui questi culti si preservano e si sviluppano. Il risultato è ben noto: alcuni aspetti mistici e demiurgici, provenienti da credenze di origini e significati diversi, si sono mescolati confusamente ai misteri fondamentali della fede cristiana. Il sincretismo, come sapete, si manifesta oggi negli ambiti più diversi: dalle gravi deviazioni della pietà popolare a un ecumenismo mal compreso; dalle pratiche della macumba, del candomblé e della umbanda alla seduzione proselitista di molte sette, come lo spiritismo e altre di tipo pentecostale; dal costante ricorso alla superstizione all’esposizione parziale della genuina dottrina.
4. Si nota anche che in alcuni settori si è manifestata la tendenza a sopravalutare tutte le manifestazioni di religiosità popolare, come se in loro l’evangelizzazione avesse scoperto finalmente la forma più adeguata per portare al popolo l’annuncio evangelico. Voi vedete come questa posizione può produrre, in fondo, un’evangelizzazione a rovescio. È bene ricordare qui l’insegnamento del mio predecessore Paolo VI: “Né il rispetto e la stima verso queste religioni, né la complessità dei problemi sollevati sono per la Chiesa un invito a tacere l’annuncio di Cristo di fronte ai non cristiani. Al contrario, essa pensa che queste moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cristo, nella quale noi crediamo che tutta l’umanità può trovare, in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull’uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità. Anche di fronte alle espressioni religiose naturali più degne di stima, la Chiesa si basa dunque sul fatto che la religione di Gesù . . . mette oggettivamente l’uomo in rapporto con il piano di Dio, con la sua presenza vivente, con la sua azione . . . in altri termini, la nostra religione instaura effettivamente con Dio un rapporto autentico e vivente, che le altre religioni non riescono a stabilire . . .” (Evangelii nuntiandi, 53). Resta perciò sempre attuale ciò che fu detto nel 1986, in occasione della celebrazione della Giornata Interreligiosa di preghiera per la pace in Assisi, quando si affermava che occorre evitare “non soltanto il sincretismo ma tutte le parvenze di sincretismo, che sono contrarie al vero ecumenismo”.
È certo, cari fratelli, che dobbiamo stimare e rispettare le legittime tradizioni religiose, come per esempio quelle tradizionalmente africane. In loro possiamo trovare valori eccellenti, come il rispetto per la vita e per la natura e un profondo senso del mondo dell’aldilà, punto di riferimento costante per la vita quotidiana. Questi e altri valori possono anche costituire una sorta di “preparazione evangelica”, per usare l’espressione di Eusebio di Cesarea ripresa dalla Lumen gentium e dalla Evangelii nuntiandi. Cosa molto diversa, però, è accoglierle e inserirle nel contesto del messaggio cristiano. Non possiamo fare ciò senza un accurato discernimento. Occorre purificare tutti gli elementi che siano manifestamente incompatibili, per esempio, con il mistero dell’unicità e trascendenza assolute di un Dio personale o con l’economia della salvezza, in cui Cristo è l’unico cammino per la redenzione dell’uomo. È bene ricordare anche tutti i temi legati alle esigenze della legge morale cristiana.
5. Stanno sorgendo tra di voi, cari fratelli, generose e variate iniziative per una pastorale specifica e orientativa dei negri e degli indios. Da voi si aspetta che seguiate queste iniziative con prudenza e zelo. È certamente valido e necessario l’impegno per un’autentica inculturazione del messaggio evangelico e per la creazione di nuove forme di annuncio, con elementi nuovi e purificati, attinti dalle culture dei popoli che si evangelizzano. Ma è chiaro che, nel caso concreto del Brasile, questo non può significare uno sfiguramento dell’unica famiglia che è il popolo brasiliano. La copiosa ricchezza del vostro Paese, testimonianza di grande valore per il mondo odierno, è, come ho detto nella mia omelia del 7 luglio 1980 a Salvador da Bahia, la sua “comunità umana multirazziale. Un vero tappeto di razze . . . amalgamate tutte dal vincolo della stessa lingua e della stessa fede . . . Una cultura impregnata, già dal primo momento della sua esistenza, dai valori della fede, e della capacità che questa stessa fede ha di integrare razze ed etnie le più diverse”. La Chiesa non può separare le persone secondo la loro razza, in una forma rovesciata ma non per questo meno ingiusta di razzismo. La Chiesa deve essere soprattutto e dappertutto strumento costruttore di unità. Deve poter unire tutte le razze in un solo popolo. Perciò, sarebbe inconcepibile che nel suo seno si incrementasse la formazione di gruppi separati secondo le diverse caratteristiche razziali. A New Orleans, il 12 settembre 1987, ho detto ai rappresentanti dei Movimenti di negri degli Stati Uniti: “Non esiste una Chiesa nera o una Chiesa bianca . . . ma nell’unica Chiesa di Gesù Cristo vi è e vi deve essere una casa per neri, per bianchi, per ogni cultura e ogni razza”. Il tema della discriminazione fu oggetto di ferma disapprovazione da parte del Concilio Vaticano II (Nostra aetate, 5), dei miei predecessori (Populorum progressio, 63; Octogesima adveniens, 16) e di vari miei interventi recenti.
6. L’altra grande sfida, cari fratelli nell’episcopato, è il fenomeno della proliferazione e costante espansione delle sette in tutta l’America Latina, particolarmente nel vostro Paese. È un problema che preoccupa molto voi e i vostri fratelli nell’episcopato in tutto il continente. È uno degli interrogativi maggiori che si presentano ai vostri audaci progetti di evangelizzazione alla fine di questo millennio. È un fenomeno complesso, che acquista sempre caratteristiche nuove. Le sue cause sono ancora in parte oggetto di investigazione e analisi di studiosi ed esperti. Una di queste cause è sicuramente lo sradicamento sociale e culturale di grandi settori della popolazione. Essendo costretta a migrare dalla campagna alle città o da una regione ad altra all’interno del vostro immenso Paese, questa gente perde i punti di riferimento della sua pratica religiosa, in molti casi legata a luoghi, usi e pratiche tradizionali proprie dell’ambiente in cui viveva. Queste persone e famiglie, introdotte in situazioni nuove e in ambienti che molte volte gli sono loro estranei o addirittura ostili nei confronti dei loro valori e modi di pensare, hanno una formazione cristiana molto precaria, una fede ancora debole e già disturbata dalla crescente secolarizzazione, non trovano la necessaria assistenza pastorale, e nell’impatto con la società dei consumi e la pressione dei mezzi di comunicazione sociale si trasformano in facile preda del fanatismo delle sette. Alcune di queste hanno come caratteristica l’aggressività del proselitismo; altre offrono al popolo sprovveduto l’illusione di una risposta immediata alle loro enormi carenze spirituali, affettive e anche materiali. Non si può negare che molti fattori di carattere economico e sociale contribuiscono a fare in modo che le sette nascano e si sviluppino, il che provoca un cambiamento di vita tanto veloce quanto superficiale e inconsistente. Le persone tendono a oscillare tra l’appartenenza alla setta e la pratica religiosa nella Chiesa, o semplicemente si lasciano andare nell’indifferenza religiosa.
Indubbiamente, cari fratelli, le sette hanno molto successo e la loro azione e influenza nella vita cristiana del vostro popolo è rilevante e può diventare disastrosa. Si tratta, perciò, di una delle più urgenti sfide per il vostro zelo pastorale. È sempre più evidente l’urgenza di un nuovo impegno di evangelizzazione, in cui tutti, cari fratelli, devono coinvolgersi: i sacerdoti e i laici, soprattutto i più capaci. La vostra sollecitudine di pastori li porterà a un’azione salvifica in tutte quelle aree in cui possa affermarsi il sincretismo che allontana dall’unità e dalla verità: “Caritas Christi urget nos”. Nella magnifica missione della nuova evangelizzazione, voi dovete aiutare le vostre comunità a diventare sempre più aperte, accoglienti e sensibili alle condizioni concrete delle persone che vi arrivano, cercando di orientarle per mezzo di una catechesi autentica, sia a livello della pastorale catechetica sia attraverso gli orientamenti impartiti nelle celebrazioni eucaristiche, sia tramite i movimenti ecclesiali, che danno vita a molte delle diocesi e parrocchie del vostro Paese.
7. Prima di concludere il nostro incontro, desidero affidarvi un incarico particolare: portate ai vostri sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai diaconi, ai seminaristi e a tutti i fedeli diocesani il mio affettuoso saluto e benedizione. Fate loro sapere che il Papa segue con grande sollecitudine gli avvenimenti del vostro nobile Paese e che ogni giorno chiede al Signore di illuminare e sostenere con la sua grazia tutti gli uomini di buona volontà che lavorano per il bene comune e per il continuo progresso umano e spirituale della Nazione. Prego Nostra Signora Aparecida, patrona del Brasile, per la vostra missione evangelizzatrice nelle vostre comunità ecclesiali, affinché Cristo nostro Signore sia sempre più conosciuto, amato e accolto nel cuore di tutti i brasiliani.
A tutti imparto di cuore la mia benedizione apostolica!
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