VISITA PASTORALE IN CAMPANIA
DISCORSO
DI GIOVANNI PAOLO IINapoli - Domenica, 11 novembre 1990
Illustri signori!
1. Sono lieto di trovarmi fra voi, che costituite una qualificata rappresentanza dei diversi settori dell’attività produttiva napoletana; rivolgo a ognuno il mio cordiale saluto. Non poteva certo mancare, nella cornice di questa mia visita pastorale alla diocesi di Napoli, un particolare incontro con voi, imprenditori economici, che svolgete un ruolo importante nello sviluppo della città. Le iniziative da voi promosse hanno, infatti, effetti determinanti per l’intera comunità, per cui grande è la speranza in voi riposta dalla cittadinanza.
Rivolgo un cordiale saluto alle autorità presenti e ringrazio il prof. Ventriglia per le parole che mi ha indirizzato a nome di tutti.
2. Questo nostro incontro, pur rapido, mi offre l’occasione di riflettere insieme su taluni aspetti dell’odierna situazione sociale della vostra città.
Non posso non ricordare, innanzitutto, che la mia visita si compie a dieci anni dal grave terremoto del 1980 e che da allora numerose famiglie vivono ancora in alloggi precari con il rischio di doverli lasciare senza altre prospettive soddisfacenti. La Chiesa non resta insensibile dinanzi a tale situazione e offre la sua collaborazione affinché, evitando ogni forma di violenza, si compia il possibile per venire incontro a così vitali esigenze di un gruppo considerevole di cittadini. Accanto alla carenza di abitazioni ci sono, poi, altri problemi relativi alla complessa situazione economica e sociale di Napoli e della sua area metropolitana.
Napoli, pur essendo uno dei maggiori poli industriali italiani, è tra quelli più profondamente in crisi. L’area metropolitana rappresenta una realtà complessivamente fragile, frammentaria e tendenzialmente regressiva; il suo processo di trasformazione è ostacolato da squilibri urbanistici, carenze nel sistema dei trasporti e nella fornitura di altri servizi pubblici essenziali. La disoccupazione tende a concentrarsi sulla parte di popolazione meno protetta, i giovani e le donne. L’andamento del mercato del lavoro è appesantito dal fenomeno degli addetti formalmente occupati, ma in realtà parcheggiati nell’area della cassa integrazione. In alcuni casi, si fa ricorso al lavoro a domicilio e al cosiddetto lavoro “nero” o “sommerso”. Non ignoro il peso rilevante del lavoro minorile dovuto, tra l’altro, al preoccupante fenomeno dell’evasione dell’obbligo scolastico. A tutti questi mali si aggiunge il diffondersi della droga e la recrudescenza della violenza organizzata.
Illustri signori, mi sento personalmente partecipe delle vostre preoccupazioni. So anche che queste molteplici problematiche sociali, incluso l’aumento preoccupante della criminalità organizzata, non favoriscono certamente il potenziamento dell’imprenditoria privata. Siate coraggiosi! È vostro preciso dovere non fermarvi dinanzi alle difficoltà, ma osare, essere creativi, per il vostro legittimo guadagno e per il bene di tutta la società. Farsi carico di cambiare l’attuale situazione è dovere, in primo luogo, dei responsabili politici e degli amministratori, i quali hanno l’obbligo di assicurare la sicurezza della vita quotidiana, la certezza del diritto e la stabilità delle regole della convivenza sociale. Occorre però che ognuno sia disponibile a dare il proprio contributo. Vi invito, pertanto, a mobilitare a tal fine le vostre migliori risorse. A voi, infatti, competono grandi responsabilità, le quali sono tanto più delicate, quanto più si guarda alle caratteristiche dello sviluppo economico del Mezzogiorno e di Napoli. Non vi può essere sviluppo senza l’impegno e la volontà dei soggetti locali. Lo sviluppo del Mezzogiorno vi sarà quando si sprigioneranno le energie locali. Voi imprenditori dovete essere in prima fila in questo sforzo.
Chiedo a voi, che avete antichissime tradizioni industriali, grande intelligenza e doti professionali, come dimostrano i tanti vostri concittadini impegnati in altre parti d’Italia e del mondo, a non assumere atteggiamenti di rassegnazione e di sconforto, ma ad avere il coraggio di rischiare un tratto di strada supplementare per il bene della comunità. Per questo faccio appello soprattutto a quanti si professano credenti. Nessuno può proclamarsi cristiano e rimanere indifferente di fronte al fratello che è in difficoltà, di fronte alla disoccupazione crescente, alla mancanza di alloggi, all’insicurezza e all’ingiustizia. Lo esige la giustizia, lo chiede la carità. Avverte san Giovanni: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Gv 4, 20).
3. Lo sviluppo sociale, per essere autentico e integrale, deve tener conto, innanzitutto, del rispetto della dignità della persona umana. Mai ad esso deve essere sacrificato l’uomo. Mai lo sviluppo può essere concepito e realizzato contro l’uomo. La soluzione adeguata ai complessi problemi della società viene innanzitutto dall’attento esame delle loro cause strutturali e funzionali. Viene, inoltre, non semplicemente da proposte di carattere tecnico ed economico, ma anche e soprattutto da vigorose risposte etiche e spirituali. Ciò comporta da parte di ciascuno disponibilità al confronto e al cambiamento, onesta ricerca della verità, seria qualificazione professionale e costante attenzione agli interessi dell’intera comunità. Ciò implica, in definitiva, un diverso stile di vita, improntato al servizio e alla solidarietà. Le carenze che si lamentano nel sistema sociale di questa vostra città, come altrove del resto, non sono fortuite.
Occorre allora prendere coscienza che la situazione di Napoli, e del Mezzogiorno, è frutto di precise causalità, che richiedono il coinvolgimento di tutto il Paese per una scelta di sviluppo coerente e solidale.
Nel recente documento “Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno”, l’episcopato italiano, affermando l’esigenza di una trasparenza etica sia da parte dei governanti che dei cittadini, ha chiamato tutti a un’autentica mobilitazione delle coscienze contro i diversi inquinamenti della vita sociale, che rappresentano un rifiuto pratico della dignità dell’uomo.
Fare cenno alla “questione morale” nel problema del Mezzogiorno rappresenta un invito a riflettere sui problemi del lavoro e dell’impresa e sull’interazione tra dimensione economica e dimensione etica, alla luce dei valori morali e spirituali fondamentali, che la Chiesa non si stanca di riproporre.
4. La concezione cristiana del lavoro affonda le sue radici nelle pagine bibliche della creazione, nel comando originario di Dio: “Riempite la terra e soggiogatela” (Gen 1, 28).
Il fatto che chi lavora sia una persona, conferisce a tale attività un preciso valore etico, che è indipendente dal genere di lavoro che si compie e dalle modalità con cui esso si realizza.
Come sottolinea il Concilio Vaticano II, “l’uomo, offrendo a Dio il proprio lavoro, si associa all’opera stessa redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro un’altissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazaret” (Gaudium et spes, 67). Se tale è la dignità del lavoro, si può meglio intuire quali negative conseguenze derivino dalla disoccupazione, dagli altri problemi ad essa connessi e, più in generale, dalla crisi economica che si sta attraversando. Diversi mali sociali, come la delinquenza, il consumo e il traffico di sostanze stupefacenti, la corruzione e la violenza organizzata, possono prosperare più facilmente proprio a causa di simili situazioni. Mai eccessiva sarà, pertanto, l’attenzione che ad esse è riservata.
5. Tra i molti modi in cui la Chiesa sente il bisogno di servire l’uomo, vi è anche il suo sforzo di illuminarlo a riflettere sull’autentico concetto di sviluppo. L’attuale sviluppo tecnologico ha certamente un ruolo positivo nella progressiva vicenda della storia umana. Ma lo sviluppo non può limitarsi al solo lato economico, senza badare all’intrinseca connessione tra sviluppo autentico e rispetto dei valori dell’uomo.
Nell’enciclica Sollicitudo rei socialis (nn. 38-40) ho posto in risalto che l’autentico sviluppo si attua solo attraverso il valore della solidarietà cioè la “determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune”. Il principio di solidarietà va pertanto applicato anche nel mondo dell’impresa. Esistono criteri morali, non soltanto economici, alla base delle scelte operative nell’attività produttiva. Tra questi, primario è certamente il criterio del bene comune. Perseguire il profitto di per sé non è ingiusto, se il profitto è ottenuto in modo lecito e attraverso una corretta gestione dell’impresa. La ricerca di un ragionevole profitto è, tra l’altro, in connessione con il diritto di “iniziativa economica”, che ho difeso nell’enciclica sopra citata. Ma il profitto non va eretto a criterio assoluto: è solo una regola di efficienza, che va sottoposta ai vincoli derivanti dal principio di solidarietà.
6. Si assiste oggi al progressivo divaricarsi tra la dimensione economica e quella etica, che dovrebbero essere invece in costante interazione. Sempre più spesso siamo posti di fronte a fatti e fenomeni sociali dove l’economia afferma la sua razionalità senza alcun riferimento all’etica.
La Chiesa, che insegna la “verità sull’uomo”, conosce la sua grandezza di persona e la sua limitatezza di creatura. Conosce la sua sete di benessere e le difficoltà che lo conducono a rinchiudersi nel proprio interesse. Sa che l’impegno economico non può però soddisfare le sue più profonde esigenze. Come pure è ben consapevole che nessun sistema creato dall’uomo, pur tendendo verso un continuo miglioramento, potrà mai attingere sulla terra la pienezza della giustizia; in ogni sistema sarà sempre necessario correggere gli aspetti in contrasto con la dignità umana e con la partecipazione di tutti al bene comune.
7. Cari amici, vorrei concludere queste riflessioni con il riferimento a un aspetto essenziale della vocazione cristiana, l’aspetto del “servizio”, che dà senso e valore a ogni vero impegno umano. L’indicazione della strada da seguire ci viene direttamente da Cristo Signore, che, pur essendo Dio, si è fatto uomo tra gli uomini “non per essere servito, ma per servire” (Mt 20, 28; Mc 10, 45). La dottrina sociale della Chiesa, che ha recepito questo supremo esempio, insegna che la persona può ritrovare pienamente se stessa solo attraverso il dono generoso di sé (cf. Gaudium et spes, 24). La Chiesa sente il dovere di dire a voi tutti che la forza più autentica di sviluppo è l’amore che si traduce in solidarietà operante. È in questa prospettiva che vi invito a vivere e a sviluppare la vostra attività.
Dio tutti vi benedica!
Prima della Benedizione del Santo Padre, il Decano della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale scopre una lapide posta nell’Aula Magna a ricordo della visita di Giovanni Paolo II e della lezione che il 23 aprile del 1974 l’allora Cardinale Karol Wojtyla tenne su San Tommaso d’Aquino. Presentandola al Papa, il Decano Don Bruno Forte esprime l’“onore altissimo e la gioia grandissima” di tutta la comunità accademica per la presenza del Papa, “al cui Magistero la nostra teologia si ispira e nella comunione col quale cerchiamo di portare avanti il nostro ministero teologico”.
Rispondendo alle sue parole, Giovanni Paolo II pronuncia questo breve discorso.
Vorrei aggiungere un’osservazione che scaturisce dal contenuto di questa lapide, dove è detto espressamente che cosa ha fatto il card. Karol Wojtyla in quest’Aula nel 1974 e di cosa ha parlato: ha parlato di san Tommaso, di una tematica filosofica se non proprio teologica. Invece, non è scritto che cosa ha detto questa volta, di che cosa ha parlato . . . Io sono molto grato alla Facoltà Teologica che ci ha ospitato per trattare di una tematica economica, ha ospitato il gruppo di imprenditori di Napoli insieme con il Papa e con l’arcivescovo cardinale di Napoli. Ma vorrei in un certo senso “giustificare” la presenza della tematica di oggi nell’Aula di una Facoltà Teologica. Io penso che anche la teologia si occupi dell’economia, soprattutto dell’economia divina. È il punto centrale della teologia: “oikonomia”, una parola greca, nella quale si tratta dei beni divini che finalmente si riducono tutti al “summum bonum” che è Dio stesso e che di se stesso fa dono. Questa forse è la differenza più importante tra l’economia divina e quella umana. Nell’economia divina la cosa principale, l’“alfa” e l’“omega”, è il dono. Nell’economia umana, deve esserci sempre uno scambio dei valori, una giustizia: tutto questo crea problemi certamente costruttivi nella vita economica, nel progresso economico, ma crea anche difficoltà.
Dopo questa breve introduzione, cosa posso augurare, alla fine, agli economisti, agli imprenditori napoletani? Io auguro a tutti voi, nonostante quello che ho detto nella mia prolusione, che anche la vostra vita economica, terrena, imprenditoriale, si possa trovare pienamente dentro questa economia divina, perché questa economia divina abbraccia tutti noi, è aperta a tutti noi, aperta in un modo ineffabile. Le parole sono insufficienti, ma auguro a tutti voi, alle vostre famiglie, ai vostri collaboratori, ai vostri operai, una partecipazione possibilmente più piena a questa divina economia che è l’economia del dono, della grazia.
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