VIAGGIO APOSTOLICO IN BRASILE
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI SACERDOTI
Cattedrale dedicata a «Nossa Senhora da Apresentação» (Natal)
Domenica, 13 ottobre 1991
1. È per me una grande gioia potermi riunire con i sacerdoti in questa Chiesa Cattedrale!
Desidero, prima di tutto, ringraziare Don Francisco de Assis Pereira, per le amabili parole che mi ha appena rivolto, e anche tutti i sacerdoti presenti - insieme ai quali ho venerato questa mattina l’ineffabile mistero dell’Eucaristia - per la bontà di essere venuti qui, per partecipare a questo incontro con il Successore di Pietro. Ho presente, in questo momento, la memoria di tanti sacerdoti che, nel lavoro nascosto, nella vita di fede e di preghiera e nello zelo apostolico, hanno saputo piantare e coltivare la vita della Chiesa in Brasile. Fra i tanti, ricordo ora la figura di Don João Maria Cavalcanti, morto all’inizio di questo secolo vittima della carità sacerdotale, modello di Parroco e guida spirituale del popolo, così benvoluto, ricordato e venerato in questa città di Natal dove ha vissuto e lavorato. Ho presenti anche i sacerdoti di tutto il Brasile che non sono potuti venire qui ma che mi accompagnano in questa ora. A tutti, molte grazie e che Dio vi benedica!
Vorrei rivolgervi un invito come quello di Cristo ai suoi Apostoli: “Venite, voi pure, in disparte, in un luogo solitario e riposatevi un poco” (Mc 6, 31). Sarebbe certamente il riposo migliore per la mia anima potermi intrattenere personalmente con ciascuno di voi e conversare con calma, in confidenza, a lungo.
Purtroppo così non può essere. Ma io vi assicuro che mi sento molto vicino ad ognuno di voi, specialmente in questi momenti di forte unità spirituale. Conosco bene le difficoltà che incontrate nel vostro impegno pastorale, e conosco bene la lieta e zelante generosità con cui vi dedicate al vostro ministero.
2. Ciò che oggi desideravo dirvi può riassumersi in poche parole tratte da San Paolo: “rivestitevi del Signore Gesù Cristo” (Rm 13, 14), e “Abbiate in voi quel medesimo sentimento che fu in Cristo Gesù” (Fil 2, 5). Ossia, cercate con tutte le forze di identificarvi in Cristo.
In verità, cercare l’identificazione in Cristo è un dovere di tutti i fedeli, poiché in essa consiste tutta la vita cristiana. Ma, nel caso del sacerdote, questo dovere assume un’importanza decisiva, essendo strettamente vincolato alla stessa identità sacerdotale.
3. Assumendo la sua autentica identità, il sacerdote diverrà strumento efficace dell’unico Mediatore tra Dio e gli uomini, essendo egli stesso presenza e trasparenza di Cristo.
Guardatevi intorno! Non udite l’immenso clamore di tanti uomini e donne, di tutte le condizioni, di tutte le razze, di tutte le età che, oggi più che mai, sembrano dirci, anche quando non formulano esplicitamente questo desiderio: “desideriamo vedere Gesù”! (Gv 12, 21). Desideriamo vedere Gesù nella persona e nella vita dei suoi sacerdoti!
È risaputo che, in alcuni ambienti, nel periodo post-conciliare - per motivi che non è il caso di esporre adesso, e a causa, spesso, di una lettura erronea del Magistero del Concilio Vaticano Secondo -, si è offuscata la coscienza della vera identità sacerdotale, e ha avuto origine la tendenza a “laicizzare” le funzioni sacerdotali, in parallelo alla tendenza a “clericalizzare” la figura del laico (cf. Ioannis Pauli PP. II, Lettera ai sacerdoti, 10 marzo1991: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIV, 1 (1991) 493 ss.).
Le manifestazioni di questa tendenza sono diverse, dall’intervento del presbitero in attività proprie dell’azione politica, attività che fanno parte della missione libera e responsabile dei laici, alla scarsa considerazione per compiti specificamente sacerdotali o per segnali esterni al sacerdozio, fino alla prassi di affidare a laici incarichi il cui esercizio compete ai presbiteri o funzioni che si giustificano solo in caso di reale necessità, con carattere di supplenza.
Grazie a Dio, i vacillamenti sull’identità del sacerdote, che hanno avuto dolorose conseguenze sulla vita di non pochi preti e sulla promozione delle vocazioni sacerdotali, stanno per essere, sebbene non totalmente, a poco a poco superati. Gli interventi di molti Padri Sinodali, durante l’ultima Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, danno segnali promettenti in questo senso (cf. Ivi).
Senza alcun dubbio, c’è nel Popolo di Dio una coscienza sempre più chiara dell’assoluta necessità del sacerdozio ministeriale, con le caratteristiche alle quali mi riferisco, in perfetta continuità con il Vangelo, con la Tradizione viva della Chiesa e con gli insegnamenti del Concilio Vaticano Secondo.
Pertanto, dovete assumere con convinzione la vostra identità sacerdotale, in tutta la sua pienezza. Date ascolto al clamore dei vostri fratelli, che supplicano: vogliamo vedere Gesù nei suoi sacerdoti!
4. Vogliamo vedere Gesù! Gli uomini hanno bisogno di vedere, in primo luogo, la santità di Cristo riflessa nei sacerdoti. Il Brasile, il mondo intero, ha bisogno di sacerdoti santi, fedeli alla loro piena consacrazione a Dio, e totalmente dediti alla loro missione peculiare. Sacerdoti il cui unico obbiettivo sia quello di compiere la volontà del Padre e completare la sua opera (cf. Gv 4, 34), disposti a impiegare la loro vita, con una carità pastorale senza limiti, nella funzione di mediazione che è loro propria: portare gli uomini a Dio, e portare Dio agli uomini. Sacerdoti che manifestino l’immensa ricchezza dell’amore di Dio, l’unica risposta alle ansie d’infinito del cuore umano, attraverso l’allegria con cui gli affidano il cuore indiviso (cf. 1 Cor 7, 32-34). Il celibato sacerdotale non è soltanto una legge ecclesiastica ma riveste un significato profondo alla luce della teologia del sacerdozio. La Chiesa non riconosce come accettabili i tentativi e le pressioni per reintegrare nel ministero sacerdotale coloro che lo lasciano per la vita nel matrimonio. Non sarà questo il cammino per risolvere la grave carenza di sacerdoti in Brasile. Il celibato, miei cari preti, deve essere per ognuno di voi la giubilante conferma di sentirsi scelto dalla predilezione di Colui che vi ha chiamato per una dedizione completa e senza riserve al Suo Amore.
Un “uomo di Dio” trasforma una comunità. Un sacerdote devoto diventa un promotore di vocazioni autentiche per la piena dedizione a Dio e ai fratelli. Un prete fedele ai suoi impegni è lo stimolo migliore per la santità e la stabilità della famiglia. Un sacerdote animato dalla carità del cuore di Cristo è un fuoco vivo, che accende nelle coscienze l’ardore per la giustizia e collabora efficacemente, nell’ambito della sua missione specifica, affinché molti laici assumano la responsabilità personale di promuovere un ordine sociale più consono al piano di Dio e alla dignità della persona umana.
5. Gli uomini di oggi, come quelli di tutti i tempi, hanno bisogno di vedere Gesù nella santità del sacerdote, nella testimonianza sacerdotale di una fede integra, di lieta speranza e di illimitata carità.
Siate uomini di fede. Cristo vuole continuare a rivolgere agli uomini la parola della salvezza, soprattutto per bocca dei suoi sacerdoti. “Chi ascolta voi, ascolta me” (Lc 10, 16), diceva Gesù. Per questo, è necessario che siate uomini di fede integra, in modo tale che, ascoltandovi, tutti possano riconoscere inequivocabilmente la Parola di Dio. Solo Cristo è la “luce degli uomini” che “splende nelle tenebre” (Gv 1, 4-5). Questa luce, manifestata al mondo, Egli la depositò nelle mani della Chiesa che, con l’assistenza dello Spirito Santo, la conserva fedelmente e la trasmette.
Pertanto, una espressione chiara di questa vostra fede sarà l’adesione sincera e fiduciosa a tutta la dottrina del Magistero autentico della Chiesa, della quale si farà eco la vostra predicazione e catechesi. Che la vostra catechesi sia, nel suo contenuto, fedele alla dottrina e comprensibile al popolo. E la vostra predicazione sia sempre l’annuncio del mistero di Cristo Resuscitato, senza rivestirsi di quel falso profetismo che, non raramente, la riduce a un mero messaggio politicizzato.
Ricordatevi che la nostra fede, come dice San Paolo, non si fonda sulla “sapienza degli uomini” né si confonde con la “sapienza di questo secolo” (1 Cor 2, 5-6). Per questo, nessuna ideologia potrà offrire un postulato che sia premessa alla quale subordinare la dottrina di fede. Al contrario, è la fede che giudica, con la “sapienza di Dio” (1 Cor 2, 7), le conclusioni valide delle scienze umane, che, se autentiche, non potranno mai essere in contraddizione con la Verità della fede.
Come alimento di fede è molto importante la vostra formazione permanente. Non lasciatevi dominare da un attivismo pastorale, che, anche se ben intenzionato, può portarvi al vuoto interiore danneggiando il vostro ministero. Riservate saggiamente qualche ora del giorno o giorno della settimana per una preghiera personale più tranquilla, per la lettura di buoni libri di teologia o spiritualità, oltre, è chiaro, al ragionevole e indispensabile riposo.
6. Siate anche uomini di speranza. Noi sappiamo che, nell’esercizio del ministero, siamo “operai di Dio”, e la nostra speranza è sorretta dalla certezza che è Lui, Dio, che “fa crescere” (1 Cor 3, 9.7).
Il Sacerdote, per esercitare fruttuosamente il suo ministero, deve rimanere unito alla vite da cui sboccia la vita (cf. Gv 15, 5). Ha la necessità vitale di unirsi a Cristo mediante una intensa vita eucaristica, di rinnovarsi interiormente, in una continua conversione, accogliendo in sé con frequenza il Sacramento della Riconciliazione, di dedicarsi, pur essendo multiple le sue attività, al silenzio dell’adorazione, della meditazione, della preghiera.
7. Siate inoltre gli uomini della carità. Animati dall’amore illimitato del Buon Pastore, date la vita per le vostre pecore (cf. Gv 10, 11), facendo della vostra esistenza una completa e autentica diaconia, a modello del Figlio dell’Uomo, che “non è venuto per essere servito, ma a servire” (Mt 20, 28).
Un sacerdote che possiede i sentimenti di Cristo trascorre la vita servendo tutti gli uomini e cercando di corrispondere alle sue aspirazioni più profonde, senza dare peso a sacrifici personali. È un cuore aperto e comprensivo, che accoglie tutti con la carità di Cristo, senza discriminazioni.
Perciò non permettete che preconcetti ideologici o qualsiasi specie di classismo vi inducano a lesinare a qualcuno un vostro gesto affettuoso e il vostro zelo pastorale.
Senza alcun dubbio, un sacerdote che vuole essere un altro Cristo prova la stessa compassione di Gesù per le moltitudini affamate (cf. Mt 15, 32), e per tutti coloro che giacciono abbattuti e stanchi come pecore senza pastore (cf. Mt 9, 36). Quindi, dedica un amore di preferenza - sebbene non esclusivo - ai più poveri, a tutti quelli che soffrono come vittime dell’ingiustizia e delle violazioni dei diritti intangibili della persona umana. Senza discostarsi da quanto caratterizza la sua sacra missione, come formatore delle coscienze, e evitando la tentazione di trasformarsi in un leader terreno, politico o sociale, deve inoltre promuovere instancabilmente il bene della giustizia e i diritti dei più derelitti.
Non dimenticate, però, che la missione fondamentale della Chiesa, più che la liberazione puramente sociale o economica, è la liberazione dalla miseria morale del peccato, che spezza la relazione filiale dell’uomo con Dio e costituisce la sua maggior disgrazia (cf. Ioannis Pauli PP. II, Reconciliatio et paenitentia, 18).
8. Vorrei inoltre ricordarvi, cari fratelli e sorelle, che la carità vi deve indurre a essere testimoni di quella “fraternità sacramentale” che lega ogni prete “nel vincolo della comunione con i Vescovi e con gli altri fratelli nel sacerdozio” (cf. Presbyterorum ordinis, 8 e 14).
Cooperatori dell’Ordine episcopale, la vostra vocazione vi chiede, come dice Sant’Ignazio di Antiochia, di “essere in grande armonia con il vostro Vescovo, come le corde della cetra” (S. Ignatii Antiocheni, Ad Ephesios). Seguite, con fiducia e obbedienza, le loro direttive e orientamenti, dando loro appoggio e conforto.
Questa raccomandazione ha un significato molto speciale per voi, sacerdoti religiosi che oggi svolgete un ruolo così importante e indispensabile in quasi tutte le diocesi del Brasile. È chiaro che il vostro lavoro pastorale non può fare a meno di ispirarsi ai carismi propri degli istituti ai quali appartenete. Esso deve comunque essere in tutto subordinato all’orientamento e alla direzione del Vescovo con il quale lavorate. Non spetta ai Superiori Religiosi, ma unicamente ed esclusivamente al Vescovo, il governo pastorale dei fedeli di ogni Chiesa locale, in tutte le sue dimensioni e livelli.
Cari fratelli e sorelle, cari sacerdoti. È molto importante l’unità fraterna tra voi. Sacerdoti diocesani e religiosi devono aiutarsi mutuamente nell’attività pastorale e nell’appoggio umano e materiale. Che nessun fratello sacerdote senta la sofferenza della solitudine e della incomprensione! La Chiesa vi riconosce, inoltre, il diritto ad avere le vostre associazioni a livello diocesano, o, se necessario, a livello interdiocesano. Ne esistono già molte in Brasile, sotto forma delle tradizionali fraternità, confraternite o movimenti sacerdotali. Esse devono essere stimolo “alla santità nell’esercizio del ministero . . . e all’unità dei chierici tra di loro e col proprio Vescovo” (Codex Iuris Canonici, can. 278). Non avrebbero, però, alcun significato se fossero concepite come o diventassero, in pratica, una sorta di sindacato di preti o un gruppo corporativo, con atteggiamenti rivendicativi o antagonistici nei confronti dell’autorità dei vostri Vescovi.
L’unità fraterna dei presbiteri si può solo ispirare alla carità di Cristo e al desiderio di servire meglio la sua Chiesa.
9. Cari fratelli e sorelle, devo terminare. Voglio concludere queste parole rivolgendomi alla Madonna, Madre dei sacerdoti, Madre della nostra speranza. Che Ella accompagni con il suo amore misericordioso ogni vostro passo, renda sempre più santa, più lieta e più efficace la vostra missione di servitori di Dio e degli uomini, nello spirito di fede, di speranza e di amore.
E ora dobbiamo concludere questa celebrazione della parola con una benedizione apostolica per tutti i presenti, per tutti i sacerdoti del Brasile.
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