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INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I PRESIDENTI DELLE CONFERENZE EPISCOPALI EUROPEE
AD UN ANNO DALL’ASSEMBLEA SPECIALE
PER L’EUROPA DEL SINODO DEI VESCOVI

Martedì, 1° dicembre 1992

 

L’“uomo europeo” tra l’Atlantico e gli Urali è la “via” della Chiesa nel Continente

1. L’Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi si inserisce nel contesto assai eloquente degli attuali “segni dei tempi”. Il primo suo annuncio avvenne la seconda Domenica di Pasqua dell’anno 1990 a Velehrad in Moravia. È quello un luogo che, nel corso dei secoli, ha costituito come un simbolo dell’evangelizzazione dell’Europa, in particolare dei popoli slavi, dei quali i santi fratelli Cirillo e Metodio furono gli apostoli. Particolarmente significativo è stato anche il fattore “tempo”: il Sinodo, infatti, fu annunciato poco dopo gli eventi dell’autunno 1989. Nel contesto di quegli avvenimenti la Chiesa del Continente europeo, mediante i suoi Pastori, doveva cercare la risposta all’appello divino che in essi era presente. Quando, un anno fa, nei mesi di novembre e dicembre, l’Assemblea speciale si riunì, essa svolse un lavoro importante. Lo svolse seguendo il principio conciliare dello “scambio dei doni” (cf. LG 13) tra le Chiese, le quali per molti anni non hanno potuto incontrarsi in pienezza a causa della separazione profonda che esisteva tra l’Est e l’Ovest. Oggi, a un anno da questa tanto significativa esperienza sinodale, mi sono permesso di invitare i Presidenti delle Conferenze Episcopali per presentare loro e discutere insieme alcune conclusioni importanti per la futura collaborazione delle Chiese nel Continente europeo. La preparazione di queste conclusioni era compito della Presidenza dell’Assemblea Speciale dello scorso anno e della Segreteria del Sinodo. Per questo lavoro, il Gruppo che ha preparato le conclusioni ha incontrato il Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) e il Presidente della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE), che – come è noto – comprende 12 Paesi dell’Europa occidentale, i soli finora associati nella suddetta Comunità, e ha svolto un lavoro ecclesialmente fruttuoso a beneficio e incremento della collegialità episcopale. Di fronte alla nuova situazione, il cui inizio risale all’anno 1989, è sorta la necessità di una nuova impostazione soprattutto delle strutture del Consiglio delle Conferenze Episcopali dell’Europa (CCEE), perché di per sé questo Consiglio comprende la Chiesa in tutto il Continente. Durante questo incontro, infatti, saranno esposte e discusse le conclusioni al riguardo, affinché – con il prossimo anno – il Consiglio possa operare già nella sua dimensione completa. Proprio perché esso, nella sua attività istituzionale, possa ricevere nuova forza e più autorevole efficacia, sono chiamati ad esserne membri gli stessi Presidenti delle rispettive Conferenze Episcopali. Ciò corrisponde in modo più adeguato alla dignità rappresentativa dell’organismo episcopale europeo e agli stessi intenti e auspici emersi proprio all’interno dell’attuale Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa.

2. Il Concilio Vaticano Secondo ha preparato la Chiesa al passaggio dal secondo al terzo millennio dopo la nascita di Cristo. Un aspetto molto importante di questa preparazione è costituito dall’approfondimento dell’insegnamento sulla missione apostolica dei Vescovi, sui loro compiti nei confronti sia della loro Chiesa particolare che del Collegio episcopale. Questo insegnamento ha trovato la sua espressione concreta nelle numerose iniziative a carattere sinodale. Loro punto centrale di riferimento è stato, in qualche maniera, il Sinodo dei Vescovi, creato durante il Concilio. Dopo l’evento conciliare, le iniziative sinodali si sono ispirate alla tradizione più antica della Chiesa e, al tempo stesso, hanno trovato un rafforzamento nella dottrina sulla Chiesa quale è stata esplicitata nella Costituzione dogmatica Lumen gentium del Concilio Vaticano Secondo, dove il capitolo sul Popolo di Dio è profondamente collegato con quello sulla struttura gerarchica della Chiesa. L’Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi dell’anno scorso è scaturita dalla stessa sorgente. Ciò è importante, di conseguenza, per l’attività postsinodale del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa. Occorre che esso consolidi quel profilo di comunione – fra loro e col successore di Pietro – dei Vescovi e degli Episcopati che è proprio del Sinodo. Se la parola “synodos” indica “la comunione delle vie” sulle quali cammina la Chiesa, allora il Consiglio degli Episcopati deve sistematicamente attualizzare, approfondire e rafforzare tale “comunione”. Questo è richiesto dal dinamismo interiore della Chiesa. Questo è richiesto anche dalla missione della Chiesa nel mondo contemporaneo (cf. Gaudium et spes) e dal suo servizio all’uomo – questo “uomo europeo” tra l’Atlantico e gli Urali – perché proprio lui è la “via” della Chiesa nel Continente, secondo quanto ho detto nell’Enciclica Redemptor hominis (n. 14), in riferimento al Magistero conciliare.

3. Tutta la documentazione del Sinodo dell’anno scorso e, in particolare, il suo documento finale dovrebbero costituire il punto di partenza anche per la formulazione dei temi e dei compiti che il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa affronterà nella sua attività futura. La dichiarazione sinodale: “Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberato” parla di evangelizzazione, perché questa consiste precisamente nel rendere testimonianza a Cristo: evangelizzare è agire da testimoni. La dichiarazione – mediante il suo titolo – si riferisce al passato che, nel caso dell’Europa, conta ormai quasi duemila anni, e inizia dai primi testimoni di Cristo, cioè dagli Apostoli. Ma questo titolo è stato formulato nel presente, definendo così i compiti della Chiesa anche per l’avvenire. Quando parliamo di “nuova evangelizzazione”, lo facciamo perché essa è sempre e dappertutto “nuova”. “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13, 8). Questa “novità” appartiene all’identità del Vangelo e dell’evangelizzazione, che costituisce un continuo e permanente imperativo per i testimoni di Cristo. “Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna...” (2 Tm 4, 2), “Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1 Cor 9, 16). L’Enciclica Redemptoris missio ha ricordato – seguendo in ciò il Concilio – che la Chiesa si trova sempre “in statu missionis”. L’imperativo dell’evangelizzazione è, quindi, sempre attuale. Per quanto riguarda, invece, l’Europa, è noto che, nel secolo presente, essa è stata attraversata da forti correnti di “contro-evangelizzazione”. Anche se nella loro forma più radicale queste correnti oggi sono diminuite, esse, però, non cessano affatto di operare soprattutto nell’ambito dei principi, anche in modo sistematico. Siccome lo costatiamo dappertutto, occorre che da parte della Chiesa si rinnovi e rafforzi la disponibilità a dare una testimonianza coerente in favore di Cristo, “che è lo stesso ieri, oggi e sempre...”. Il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa dovrà distinguersi per un forte spirito di vigilanza e di sensibilità a riguardo sia delle spinte positive che delle minacce, da qualunque parte esse provengano. Il Consiglio dovrebbe diventare, in qualche maniera, il centro europeo ispiratore dell’apostolato al servizio di tutte le Chiese locali e particolari. In pari tempo, esso dovrebbe servire anche la causa dell’unità della Chiesa nel mondo “europeo” e di fronte a questo mondo. In tale unità c’è una grande forza, soprattutto quando essa sarà un’unità che scaturisce dalla “molteplicità” e anche un’unità per la “molteplicità”, in accordo col dinamismo proprio della Chiesa, che è il dinamismo dell’Incarnazione.

4. Il centenario dell’Enciclica Rerum novarum ha offerto l’occasione di riproporre la dottrina sociale della Chiesa secondo i bisogni dei nostri tempi. La Chiesa interviene a proposito dei processi economico-sociali, perché essi riguardano l’uomo che è la “via della Chiesa”. Ciò vale oggi in modo particolare per il Continente europeo dopo il crollo della dicotomia dei sistemi. È, tuttavia, necessario mantenere qui una giusta gerarchia. Come testimone di Cristo crocifisso e risorto, la Chiesa non può dimenticare che, durante il nostro secolo, nel Continente europeo è maturata una particolare messe di martirio, forse la più grande dopo i primi secoli del Cristianesimo. Sappiamo che la Chiesa nasce dalla mietitura di questa messe evangelica: “sanguis martyrum semen christianorum” (cf. Tertulliano, Apologet., 50: PL 1, 535). Espressione di una tale convinzione sono gli antichi martirologi. Non dovremmo noi, Pastori del ventesimo secolo, aggiungere ai martirologi antichi un capitolo contemporaneo o, piuttosto, molti capitoli? Molti, perché riguardano diverse Chiese in diversi Paesi. Ciò riguarda anche altre Chiese e Comunità cristiane. L’antico principio ecclesiale: “sanguis martyrum semen christianorum”, non dovrebbe forse diventare anche, alla fine del secondo millennio, una delle segnalazioni fondamentali in quel cammino dell’avvicinamento e dell’unificazione dei cristiani nel quale la Chiesa è entrata con il Concilio Vaticano Secondo? La Dichiarazione del Sinodo dell’anno scorso ha messo in rilievo la necessità della collaborazione tra tutti i cristiani d’Europa, per la causa del Vangelo. Da parte nostra vogliamo fare tutto il possibile a favore di questa collaborazione ecumenica. Anche se alle volte riceviamo accuse infondate, la nostra risposta sia sempre fraterna e ispirata all’amore di Cristo che ci unisce sopra tutte le divisioni che ancora permangono (cf. Declaratio dell’Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, III, 7, §§ 1 e 2; II, 6, § 3).

5. Ormai da lungo tempo assistiamo a una sconvolgente tragedia nei Balcani. Chiedo a voi, rappresentanti di tutti gli Episcopati d’Europa, che questa causa diventi anche uno dei temi del vostro odierno incontro. Questo non è affatto un problema “regionale”, ma “europeo”. Riguarda tutti in questo Continente: tutti i Paesi, tutte le Chiese e tutti i cristiani. Occorre, quindi, che la Chiesa si unisca in una fervente preghiera intorno a questa causa, che sia solidale con coloro che soffrono, che, quale testimone del Vangelo di Cristo, faccia veramente tutto il possibile. Possa in questo modo compiersi la beatitudine che Nostro Signore ha promesso agli “operatori di pace”.

Che Dio sia con noi, Venerabili e cari fratelli, durante i lavori di questa Assemblea.  

A conclusione dell’incontro di riflessione e di preghiera, il Santo Padre offre ai partecipanti alcune preoccupazioni pastorali affidando al Signore l’impegno dei sacerdoti del Continente nella fedeltà alla chiamata al servizio del Regno.  

Il carisma del celibato sacerdotale è un dono per la persona e per la Chiesa

Al termine della nostra riunione, che ci ha portato ad approfondire la comunione e la solidarietà ecclesiale, desidero parteciparvi alcune riflessioni in margine al Sinodo dei Vescovi del 1990, e concludere infine con una preghiera, per affidare al Signore tutte le nostre preoccupazioni pastorali, in modo particolare l’impegno dei nostri collaboratori nel sacerdozio e la loro fedeltà alla chiamata al servizio del Regno di Dio con dedizione totale.  

I. Riflessioni

Le parole riguardanti il celibato per il regno dei cieli sono collegate con la spiegazione che Cristo offre agli apostoli: “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso” (Mt 19, 11). In questa forma evangelica il celibato è un dono per la persona e, in essa e grazie ad essa, per la Chiesa.

Il Sinodo dei Vescovi del 1990 ancora una volta ha invitato a valorizzare questo dono, ancora una volta ha espresso la volontà che esso rimanga quale eredità della Chiesa latina per il bene della sua missione. Ciò ha trovato la sua espressione nell’Esortazione postsinodale Pastores dabo vobis. Questo documento contiene una sintesi delle dichiarazioni dei Padri sinodali, di cui cita le proposte finali. Però, chi ha partecipato al Sinodo non può dimenticare la serie delle testimonianze individuali dei Vescovi di tutto il mondo sul grande valore del celibato sacerdotale. Queste hanno dato in modo sostanziale il “tono” al Sinodo.

Conseguenza di ciò non può essere altro che la fede e la fiducia che “colui che ha iniziato in noi quest’opera buona, la porterà a compimento” (cf. Fil 1, 6). Da parte nostra è perciò necessaria la piena fiducia nel divino Datore dei doni spirituali. Questa fiducia è particolarmente importante là dove la Chiesa, per quanto concerne le vocazioni, è esposta al rischio di una particolare prova. In un mondo segnato da una crescente secolarizzazione, queste prove sono frutto del clima generale. Spesso è difficile sottrarsi all’impressione che qui agisca una specifica strategia che ha, tra l’altro, come scopo quello di allontanare la Chiesa dalla fedeltà al suo Signore e Sposo.

Egli stesso, però, è fedele alla sua Alleanza e ha anche la forza di operare nello Spirito Santo, che consente di superare lo spirito di questo mondo e di considerare il celibato per il regno di Dio come una scelta di vita contro le debolezze umane e le strategie umane. È necessario soltanto che non ci scoraggiamo e non creiamo attorno a questa vocazione e a questa scelta un clima di sconforto. La Chiesa cattolica stima le altre tradizioni, particolarmente quelle delle Chiese d’Oriente, ma vuole restare fedele al carisma che ha ricevuto e accolto dal suo Signore e Maestro. Questa fedeltà e questa ardente preghiera apriranno la strada al sacerdozio perfino nelle condizioni più sfavorevoli.

Scrivo queste parole in margine all’Esortazione Pastores dabo vobis. Esse, nello stesso tempo, contengono la più accorata esortazione a tutta la Chiesa e, in modo particolare, ai suoi Pastori. La secolare tradizione confermata dal Concilio Vaticano II e poi dai Sinodi, particolarmente dall’ultimo dedicato alla formazione sacerdotale, pone davanti a noi tutti la richiesta di fedeltà e di affidamento al “Padrone della messe” (Mt 9, 38).

Nel contesto della Chiesa universale, la solidarietà dei Pastori permetterà di trovare una soluzione mediante lo “scambio dei doni” tra le Chiese che soffrono della scarsità di vocazioni e quelle che possono loro offrire un aiuto. Cristo, infatti, ha detto: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35). La solidarietà dei Pastori sta proprio in questo amore comunitario che sa offrire e che sa accogliere il dono.  

II. Preghiera

“Pastores dabo vobis”... Con queste parole tutta la Chiesa si rivolge a Te, che sei il “Padrone della messe”, chiedendo operai per la tua messe, che è vastissima (cf. Mt 9, 38). Buon Pastore, una volta Tu stesso hai mandato i primi lavoratori nella tua messe. Erano Dodici. Ora che – passati quasi due millenni – la loro voce si è diffusa sino ai confini della terra, risentiamo anche maggiormente la necessità di pregare, perché non manchino ad essi dei successori per i nostri tempi – non manchino in particolare coloro che nel sacerdozio ministeriale costruiscono la Chiesa con la potenza della Parola di Dio e dei Sacramenti; coloro che nel tuo Nome sono amministratori dell’Eucaristia, dalla quale continuamente cresce la Chiesa, che è tuo Corpo.

Ti ringraziamo, perché la temporanea crisi delle vocazioni, nel contesto della Chiesa universale, è in via di superamento. Con grande gioia assistiamo al processo di ripresa numerica delle vocazioni nelle varie parti del globo: nelle Chiese giovani, ma anche nei numerosi Paesi di lunga, plurisecolare tradizione cristiana, nonché là dove, nel nostro secolo, la Chiesa ha subito molteplici persecuzioni. Ma con particolare fervore innalziamo la nostra preghiera pensando a quelle società in cui domina il clima della secolarizzazione, in cui lo spirito di questo mondo ostacola l’azione dello Spirito Santo, così che il seme gettato nelle anime dei giovani o non attecchisce o non si sviluppa. Per tali società, appunto, innalziamo ancora di più la nostra supplica: “Scenda lo Spirito Santo e rinnovi la faccia della terra”.

La Chiesa Ti ringrazia, o Sposo Divino, perché fin dai tempi più antichi ha saputo accogliere la chiamata al celibato consacrato per la causa del regno di Dio; perché da secoli conserva in se stessa il carisma del celibato sacerdotale. Ti ringraziamo per il Concilio Vaticano II e per i recenti Sinodi dei Vescovi che, confermando questo carisma, l’hanno indicato come una strada giusta per la Chiesa dell’avvenire. Siamo consapevoli di quanto fragili siano i vasi in cui portiamo questo tesoro – tuttavia crediamo nella potenza dello Spirito Santo che opera mediante la grazia del sacramento in ciascuno di noi. Con tanto più fervore chiediamo di saper collaborare con questa potenza in maniera perseverante.

Chiediamo a Te, che sei lo Spirito del Cristo-Buon Pastore, di rimanere fedeli a questa particolare eredità della Chiesa latina. “Non spegnete lo Spirito” (1 Ts 5, 19) – ci dice l’Apostolo. Chiediamo quindi di non cadere nel dubbio e di non seminare dei dubbi negli altri, di non diventare – Dio ci guardi! – sostenitori di scelte diverse e di una diversa spiritualità per la vita e il ministero sacerdotale. San Paolo dice ancora: “E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio...” (Ef 4, 30).

“Pastores dabo vobis”!

Ti preghiamo di perdonare tutte le nostre colpe nei confronti di questo santo mistero che è il tuo sacerdozio nella nostra vita. Ti chiediamo di saper collaborare in maniera perseverante a questa “grande messe”, di saper fare tutto il necessario al risveglio e alla maturazione delle vocazioni. Ti chiediamo, soprattutto, di aiutarci a pregare con costanza. Tu stesso hai detto infatti: “Pregate dunque il padrone della messe, che mandi operai nella sua messe” (Mt 9, 38).

Di fronte a questo mondo, che dimostra in diverse maniere la sua indifferenza nei confronti del Regno di Dio, ci accompagni la certezza che Tu, Buon Pastore, hai infuso nei cuori degli Apostoli: “Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Gv 16, 33). Questo è – nonostante tutto – lo stesso mondo che il Padre tuo ha tanto amato da donare Te, suo Figlio unigenito (cf. Gv 3, 16).

Madre del Figlio Divino, Madre della Chiesa, Madre di tutti i popoli – prega con noi! Prega per noi!

 

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