VISITA ALLA PARROCCHIA DI SAN PAOLO DELLA CROCE
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
Domenica, 1° marzo 1992
Ai bambini della parrocchia di San Paolo della Croce
Il primo incontro della visita pastorale a San Paolo della Croce è con i bambini, che il Santo Padre saluta in una delle sale parrocchiali. È uno di essi che rivolge al Papa il primo saluto offrendogli un album e un fascio di fiori bianchi. Prende quindi la parola un ragazzo il quale, a nome di tutti quelli che si preparano alla Cresima, dona al Papa un album di fotografie sul quartiere e sulla parrocchia. Successivamente un altro fanciullo gli offre il giornalino parrocchiale stampato in occasione della visita pastorale. Rivolgendosi ai piccoli presenti Giovanni Paolo II pronunzia il seguente discorso.
Sappiamo che questa parrocchia è famosa a causa del suo palazzo più grande, il più grande di Roma, forse d’Italia, del mondo: il più grande e il più lungo, oltre un chilometro. Ma ci sono tante belle cose soprattutto nel vostro comportamento, in tutto quello che avete detto, cantato e anche suonato.
Vi ringrazio per questa accoglienza. Vedo che vi siete preparati alla visita di oggi e sono molto grato per questa vostra disponibilità, direi per questa vostra amicizia, perché la più bella parola che si è ascoltata durante il nostro incontro è stata: amicizia. E qui vorrei aggiungere subito le parole di Gesù che ha detto ai suoi apostoli: non vi chiamerò più servi, ma vi chiamerò amici. E Gesù ha spiegato che non solamente saranno chiamati amici, ma saranno amici. Penso a questa parola soprattutto nel contesto della vostra catechesi che è preparativa al Sacramento della Prima Comunione e poi al Sacramento della Cresima. Tutte queste preparazioni e questi Sacramenti sono segni di amicizia che Gesù Cristo, Figlio di Dio, nostro Redentore, ha per noi, per ciascuno di noi, come aveva per i suoi apostoli. Questa sua amicizia per ciascuno di noi comincia nel Sacramento del Battesimo. Noi lo riceviamo attualmente da piccoli, da neonati, e allora non ci rendiamo conto di questo, come invece una volta i primi cristiani facevano, dopo una preparazione lunga, dopo un lungo catecumenato. Invece ci prepariamo alla Prima Comunione già da ragazzi, e tanto più alla Cresima, già da giovani, e possiamo capire meglio quella che è l’amicizia di Gesù verso di noi e quella che deve essere la nostra amicizia ricambiata, reciproca, verso di Lui. Io vi auguro di conoscere questa amicizia di Gesù perché egli ha detto ai suoi apostoli che l’amico conosce tutto quello che è nel suo amico. Voi dovete conoscere bene quello che appartiene all’amicizia di Gesù verso tutti gli uomini, non solamente verso i suoi apostoli, ma verso tutti noi, perché noi siamo i discendenti di questi apostoli come Chiesa. E dovete poi pensare ancora di più come ricambiare questa amicizia, come offrire a Gesù la nostra amicizia reciproca, che è sempre deficiente nei confronti della sua, ma è sempre necessaria e deve essere sempre approfondita, perfezionata. Dopo la Prima Comunione che ricevete da bambini, poi passate agli anni successivi e come giovani ricevete la Cresima, che è una conferma dell’amicizia di Gesù verso di noi e deve essere anche la conferma dell’amicizia nostra verso Gesù.
Allora, mi concentro su questa parola, su questa realtà che è l’amicizia. Auguro a voi tutti di essere veramente amici di Cristo: non solamente di godere del nome, dell’appellativo di amici, ma di essere amici. Cercate di essere amici di Gesù! E io ho buona speranza, perché avete dimostrato tanta amicizia verso il Papa, non a causa del Papa, ma a causa di Gesù. Sono pieno di tante speranze per la vostra futura amicizia verso Gesù stesso durante la vostra giovinezza e durante tutta la vita.
Un ultima osservazione vorrei fare. Se alcuni dicono che la vostra chiesa non è tanto bella, non vi preoccupate. La chiesa è sempre bella perché nella chiesa è sempre Gesù nostro amico. È un ambiente dell’amicizia. Le cose architettoniche possono essere discusse, sono discutibili. Invece questa è una realtà essenziale della Chiesa: essa è l’ambiente, la casa dell’amicizia di Gesù verso di noi e della nostra amicizia verso di Lui. Con queste parole e con questo incontro vorrei anche inaugurare la visita alla parrocchia di San Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti. Così sono già accolto nella vostra parrocchia attraverso i più giovani parrocchiani.
Al consiglio pastorale della parrocchia di San Paolo della Croce
Al termine della Messa, il Papa incontra i membri del Consiglio pastorale. Uno di loro rivolge al Santo Padre parole di saluto e di ringraziamento. Quindi, alcuni volontari del gruppo “Corviale ‘87 - Dalla droga si esce” offrono al Pontefice un opuscolo sulla loro attività. A tutti i presenti Giovanni Paolo II rivolge queste parole.
Vi ringrazio per la vostra presenza e anche per queste parole che ho potuto ascoltare, che esprimono la natura stessa del Consiglio pastorale. Esprimono una sollecitudine, esprimono una preoccupazione, molte preoccupazioni. Se torniamo indietro, al modello di ogni pastoralità nella Chiesa, Gesù Cristo Buon Pastore, troviamo gli stessi accenti, gli stessi elementi. C’è anche questa preoccupazione, questa sollecitudine, questa disponibilità. Gesù ha detto: il Buon Pastore dà la sua vita. Ci sono modi diversi di dare la propria vita. Ma certamente il pastore è quello che è sempre disponibile ad essere per gli altri. Così si dà la propria vita: non bisogna chiudersi, vivere entro orizzonti chiusi, egoistici, egocentrici, ma aprirsi, vedere le necessità, essere disponibile a collaborare, ad aiutare, a sconsigliare o a consigliare. Poi dovete portare tutto questo insieme nella comunità, perché voi siete un consiglio-comunità, intorno al parroco, per compiere insieme - sacerdoti e laici - questo compito di “Buon Pastore” nella vostra parrocchia. Certamente il vostro Patrono, Fondatore dei Passionisti, San Paolo della Croce, ha avuto questo spirito in modo specifico, fondando la sua Congregazione. Aveva la stessa disponibilità, in grado superiore, eroico.
Quando penso a queste parole, quando rispondo alla vostra presenza e alle vostre parole, porto ancora nella memoria e nel cuore la scorsa domenica, quando ho visitato le comunità africane: Senegal, Gambia e Guinea Conakry. Lo dico per sottolineare quella comunione che ci unisce fra i Continenti, fra i popoli. Questa comunione che ci unisce è una similitudine, un’immagine di quella suprema comunione che Dio stesso è in sé, Padre, Figlio e Spirito Santo. Allora, pensate anche a questi vostri fratelli africani, neri, che sono tanto buoni. Sono una piccola comunità di fronte alla maggioranza musulmana. Ma con questi musulmani vivono in buona solidarietà e questa è una grande consolazione, una grande promessa per il futuro. Una parola per i nostri fratelli africani che ho visitato come Vescovo di Roma: sono andato da Vescovo di Roma, non perdendo le mie radici petrine, anzi, nel nome di queste radici, di questo ministero petrino.
Ai giovani della parrocchia di San Paolo della Croce
Prima di congedarsi dai presenti, il Papa rivolge un breve saluto alle Suore Francescane di Cristo Re che operano nella parrocchia insieme con le Suore Agostiniane del S. Crocifisso, le Pie Discepole del Divin Maestro, le Suore dell’Istituto “Regina Pacis”, le Figlie di N. S. del Monte Calvario, le Missionarie di Madre Teresa di Calcutta e i Padri dell’Istituto della Consolata.
L’ultimo incontro è dedicato alle nuove generazioni della parrocchia. A nome dei gruppi giovanili operanti a San Paolo della Croce, una ragazza rivolge al Santo Padre un saluto. Quindi prende la parola un ragazzo del gruppo del GAM (Gioventù Ardente Mariana). Alcuni giovani infine offrono al Papa doni liturgici simbolici: una pisside, una stola, un Rosario, un libro di preghiere mariane. Queste le parole rivolte loro da Giovanni Paolo II.
Ecco, è già tracciato il programma ulteriore: dobbiamo prenderci per mano e cantare insieme. Ma prima, ancora qualche parola. Soprattutto io devo ritornare indietro. Non a Czestochowa, al 15 agosto. Sarebbe anche questo molto utile; ma basta tornare indietro di una settimana. Ho avuto incontri in tre Paesi con i giovani africani, neri. Penso che fra loro una parte erano musulmani, perché i cattolici sono minoranze: 5 per cento, 4 per cento, 2 per cento. L’incontro meglio preparato, più splendido direi, degno di una capitale mondiale, era quello di Dakar, dove i giovani hanno raccontato tutta la storia del loro popolo, della loro vita: storia nel senso di passato e anche delle prospettive future. Poi, un altro incontro c’è stato con i giovani della scuola cattolica della Gambia e ancora un incontro con i giovani della Guinea-Conakry, un Paese che ha sofferto molto durante almeno venti anni di una dittatura brutale di tipo marxista, un po’ modellata sulla dittatura dei tempi di Stalin in Unione Sovietica. Quando il Papa viaggia nei Paesi africani, per esempio, poi rende conto, racconta questo davanti ai giovani italiani, romani soprattutto, perché è sempre Vescovo di Roma e i giovani di Roma hanno diritto di ascoltare dalla sua bocca questa breve relazione sui giovani dei Paesi africani.
Sono molto grato della vostra presenza, della vostra accoglienza, dei canti nella chiesa, durante la celebrazione eucaristica. Ho cercato di paragonarne la forza: certamente gli africani cantano in modo stupendo, con una forza stupenda, con la forza delle voci, ma gli italiani non sono tanto lontani da loro. È andato bene il canto...
Saluto tutti i gruppi. In questa stessa sala ho visto stamattina i bambini. E quando sono entrato qui, la prima riflessione e il primo pensiero è stato: non sono più bambini, sono giovani. E questo essere giovani poi si esprimeva in tutto quello che dicevate. I bambini sono bambini; i giovani hanno già un progetto di vita personale, ma anche apostolico. E lo si è visto nel primo discorso e nel secondo discorso, quest’ultimo con coloritura fortemente mariana, perché GAM è l’abbreviazione di Gioventù Ardente Mariana. Allora, vi ringrazio per questo ardore che traspariva anche attraverso le parole e attraverso le vostra grida. Ti amiamo, dicono sempre: noi giovani ti amiamo. Ma il Papa sa che un amore vero è sempre esigente. Allora, il Papa deve comportarsi bene, se è amato così ardentemente, con questo ardore. Io vi ringrazio per questo amore, perché mi spinge, mi presenta le esigenze del mio ministero a Roma, come Vescovo di Roma, ma anche Petrino, in Africa e dove mi porta la Provvidenza.
Adesso dobbiamo arrivare alla conclusione proposta: darci la mano, fare una “catena” e poi cantare, per concludere il nostro incontro e per augurarvi una buona continuazione in questa comunità giovanile nella parrocchia di San Paolo della Croce.
Ai fedeli
Prima di far rientro in Vaticano, il Papa si sofferma a salutare i fedeli che ancora lo attendono all’esterno della parrocchia, pronunciando le seguenti parole.
Ringrazio per la vostra accoglienza, per la partecipazione molto vivace alla Santissima Eucaristia e a tutta la visita. Saluto tutti. Io penso che salutando quanti abitano in questo grande palazzo, il più lungo del mondo - come mi ha spiegato il vostro parroco - questo “arcipalazzo”, allora saluto già almeno la metà della parrocchia, dei parrocchiani. Ma saluto anche tutti gli altri, che abitano le case grandi e piccole, e vi auguro una buona continuazione, superando sempre le difficoltà che si trovano sulla vostra strada come comunità, come comunità civile e anche come parrocchia.
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