VIAGGIO PASTORALE IN BENIN, UGANDA E KHARTOUM
MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
AGLI AMMALATI E AI DISABILI DELL’UGANDA
DURANTE LA VISITA AL «NSAMBYA HOSPITAL»
Kampala (Uganda) - Domenica, 7 febbraio 1993
Cari fratelli e sorelle,
1. Con gioia e affetto saluto voi, gli ammalati e i disabili dell’Uganda, e invoco su di voi la grazia e la misericordia di Dio nostro Padre. Con questo Messaggio, che affido al Vescovo Henry Ssentongo, Presidente dell’Ufficio Medico della Conferenza Episcopale ugandese, desidero abbracciare quanti di voi stanno vivendo il mistero della sofferenza umana in questa amata nazione africana. La Chiesa si sente particolarmente vicina a quanti stanno soffrendo nella mente o nel corpo, quale che sia la loro condizione sociale o economica o la loro appartenenza religiosa. In ciascuno essa vede l’immagine di Cristo suo Salvatore, che si è fatto uomo per salvarci dai nostri peccati e per darci la vita eterna. Seguendo l’esempio e il comandamento di Gesù, suo Maestro e Signore, essa si volge con misericordia e compassione verso ciascun essere umano, ma soprattutto verso i poveri, gli ammalati e i disabili. Questa amorevole sollecitudine, essenziale per la sua missione, trova espressione concreta non soltanto nella fondazione dei suoi molti ospedali, cliniche e dispensari, ma anche e soprattutto nella cura fisica e spirituale offerta dai suoi sacerdoti e religiosi e dai molti laici, uomini e donne – medici, infermieri e altri operatori sanitari – che essa porta come esempi alla società civile per la loro generosa dedizione agli altri. Attraverso questi mezzi la Chiesa desidera “cercare l’incontro con l’uomo in modo particolare sulla via della sua sofferenza” (cf. Salvifici doloris, 3) e offrire loro la speranza e la consolazione del Vangelo.
2. Il mio saluto a voi è di gioia e di pace, che nasce dalla serena fiducia che i cristiani hanno in Gesù Cristo. Noi confidiamo che il Signore un giorno ci renderà partecipi della sua gloria se noi soffriremo con Lui, come San Pietro ha scritto con queste belle parole: “Ma nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare” (1 Pt 4, 13). Nonostante il dolore, la delusione e la solitudine che possiamo provare, sappiamo che in Cristo troviamo luce e speranza anche nella sofferenza. Nella Croce di Gesù Cristo, Dio ha dato la risposta definitiva a tutti i mali, sia fisici che morali. Il Padre non ha abbandonato la sua creazione quando la morte e la sofferenza sono entrate nel mondo in conseguenza del peccato (cf. Gen 3, 15-19). Anzi, egli “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). Grazie a questo dono dell’amore del Padre, rivelato in somma misura nella Morte e nella Risurrezione di Cristo, adesso noi possiamo vivere nella speranza – non la falsa speranza che non dovremo mai soffrire – ma nella speranza reale della vita eterna. Alla luce del Mistero Pasquale della Croce e della Risurrezione di Cristo noi troviamo una ragione del tutto nuova e definitiva per sperare dinanzi alla sofferenza e alla morte, una speranza che ci sprona a farci “strada attraverso il fitto buio delle umiliazioni, dei dubbi, della disperazione e della persecuzione” (Salvifici doloris, 20).
3. Cari fratelli e sorelle, a causa della nostra incorporazione a Cristo attraverso il Battesimo, i cristiani sono resi partecipi del mistero della Croce di Cristo, il mistero per cui egli ha scelto di redimere il mondo. Poiché è stato attraverso la sofferenza che Gesù ha portato la grazia e la misericordia a tutti noi, ciascuno di noi “è anche chiamato a partecipare a quella sofferenza, mediante la quale si è compiuta la redenzione” (Salvifici doloris, 19). Attraverso la Croce una dimensione trascendente e un significato salvifico sono stati dati alla sofferenza umana, conferendole così uno scopo e un valore prima inimmaginabili. “Quindi anche ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo” (Ivi). I cristiani sono quindi invitati a non guardare semplicemente a se stessi, ma a guardare con gli occhi della fede al gran bene che può essere compiuto se offrono le proprie sofferenze in unione con la Croce di Cristo, come un sacrificio gradito a Dio nostro Padre. Quante persone, qui in Uganda, possono essere aiutate con le nostre preghiere! Sto pensando agli orfani, ai giovani in cerca di impiego, alle famiglie che lottano per sopravvivere, alle persone dipendenti dall’alcol e dalle droghe, agli uomini e alle donne che non hanno mai udito il Vangelo di Cristo, agli anziani, a quanti sono soli e soprattutto a coloro le cui malattie possono essere più gravi delle nostre. “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12, 1). Quanti abbracciano generosamente la Croce di Gesù Cristo e offrono le proprie sofferenze in unione con il potere salvifico del suo sacrificio eterno, possono contribuire a portare nuova vita al popolo dell’Uganda e agli uomini e alle donne di tutto il mondo. San Paolo vide chiaramente in che misura la Chiesa veniva arricchita dalle sofferenze dei cristiani quando esse venivano sopportate con pazienza e amore: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24). La Chiesa ha bisogno del dono spirituale che soltanto i malati sono in grado di offrire. Sopportate le vostre sofferenze in unione con il Signore, fiduciosi che un giorno voi sarete glorificati con lui. Giacché “le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8, 18).
4. E adesso vorrei rivolgermi in particolare a quanti di voi stanno soffrendo a causa dell’Aids. So bene che nell’arco di un decennio questa terribile malattia ha già colpito moltissime persone e lasciato migliaia di bambini privi della cura dei genitori. Molti di voi sono già costretti a letto, molti altri sono sieropositivi, altri ancora vivono nel costante timore di contrarre il male. Vi è soltanto Uno che può darvi speranza e fiducia in mezzo a un dolore così grande, alla paura e alla morte stessa. È Cristo, che ha detto: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11, 28-30). Non scoraggiatevi mai! Talvolta il giogo può non sembrare dolce, né il carico leggero, ma il Signore vi assicura, così come ha fatto con San Paolo: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12, 9). Cristo è al vostro fianco; non dubitate della sua presenza o della forza della sua grazia! Il flagello dell’Aids è una sfida per tutti. Come i Vescovi dell’Uganda hanno giustamente osservato: “Questa situazione, che colpisce tutti, va affrontata nella solidarietà, con molto amore e sollecitudine per le vittime, con tanta generosità verso gli orfani e con molto impegno verso un rinnovato stile cristiano di vita morale” (Lettera Pastorale Fa’ Splendere la tua luce, 28). Infatti tutti gli uomini di buona volontà sono chiamati a riflettere sui problemi sociali e morali più profondi associati a questa malattia. Insieme al diffondersi dell’Aids, si è andata sviluppando una diffusa crisi di valori in alcune società, poiché molte persone crescono mutilate nello spirito, indifferenti alle virtù e ai valori spirituali che soli possono garantire la vera felicità e l’autentico progresso della società. Questa crisi spirituale colpisce soprattutto i giovani, da cui dipende il futuro del vostro paese. Voi che soffrite di Aids avete un importante ruolo da svolgere in questa lotta vitale per il benessere del vostro paese!
Offrite le vostre sofferenze in unione a Cristo per i vostri fratelli e le vostre sorelle che sono particolarmente a rischio! Le vostre sofferenze possono rappresentare un’opportunità piena di grazia per promuovere la rinascita morale della società ugandese. Invoco il dono dell’indefettibile amore di Dio, che conforta e sostiene, su quanti soffrono di Aids e su quanti sono generosamente impegnati nel curarli. Alla stesso tempo faccio appello a quanti stanno lavorando per trovare una risposta scientifica efficace a questa malattia affinché non tardino, e soprattutto perché non permettano che considerazioni commerciali li distraggano dai loro generosi sforzi.
5. Il profondo amore e la stima della Chiesa per gli ammalati sono stati meravigliosamente espressi dalle parole del mio predecessore Papa Paolo VI ai pazienti dell’Ospedale Nazionale di Mulogo durante la sua visita nel 1969. Cari amici, vi chiedo adesso di prendere a cuore queste parole: “Come Nostro Signore sulla Croce, voi non potete muovervi liberamente; ma come lui voi potete aprire le braccia al mondo intero, e offrire le vostre sofferenze per la salvezza degli uomini... Fate sì che il vostro letto d’ospedale diventi un altare su cui vi offrite completamente a Dio, per fare come lui vuole; e la vostra ricompensa sarà grandissima in cielo” (1 agosto 1969). La Croce e la Risurrezione di Gesù Cristo hanno illuminato l’autentico significato e il valore della sofferenza umana. Il Signore invita tutti a unirsi a lui sulla via del Calvario e a partecipare alla gioia della Pasqua. In questo viaggio noi non siamo mai soli; la Beata Vergine Maria, che stava ai piedi della Croce di suo Figlio, è sempre al nostro fianco. Invocando la sua intercessione e quella di San Charles Lwanga e di tutti i Martiri dell’Uganda, imparto la mia benedizione apostolica a voi, ai vostri cari, a tutti coloro che si prendono cura di voi, come pegno della grazia e del conforto di Dio.
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