DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PLENARIA
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE
PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI
Venerdì, 27 ottobre 1995
Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
Carissimi Fratelli e Sorelle!
1. Vi accolgo con gioia e tutti cordialmente saluto a conclusione della riunione plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale dei Migranti e degli Itineranti. Ringrazio, in particolare, il Presidente del Pontificio Consiglio, l’Arcivescovo Mons. Giovanni Cheli, per le appropriate parole con cui ha interpretato i sentimenti di tutti.
È stata vostra cura in questi giorni riflettere sui problemi delle “persone in situazione precaria nella mobilità umana” e sulle “implicazioni pastorali” che ne derivano. Vi siete perciò soffermati ad analizzare questa realtà drammatica e sempre più estesa, che comprende migranti disoccupati, ansiosi per l’avvenire delle loro famiglie; migranti in situazioni irregolari, che, spaesati e rifiutati, vivono di espedienti senza il supporto di un’autorità attendibile a cui rivolgersi; rifugiati che, perseguitati nei loro paesi, stentano ad ottenere la necessaria protezione prevista dalle convenzioni internazionali; marittimi costretti a fare lunghi lavori straordinari per poter pagare con i loro magri guadagni reclutatori esosi e senza scrupoli; donne che, lusingate da prospettive di successo da parte di inaffidabili agenzie di espatrio, si ritrovano poi vittime di sfruttamento sulla via del disonore; bambini la cui assistenza sanitaria e scolastica risulta del tutto insufficiente ed incerta; ed ancora bambini fatti oggetto di turpe commercio da parte di chi va a caccia, in paesi esotici, di avventure con cui rompere la noia di una vita svuotata dal vizio; anziani che, rimasti soli, sono condannati a trascorrere gli ultimi giorni nell’isolamento e in condizioni abitative del tutto inadeguate; nomadi che si ritrovano ai margini della società perché la loro presenza nella città stride con il silenzio che spesso si cerca di stendere sulle loro condizioni di disagio. E come non pensare poi a bambini, donne, anziani che languiscono nei campi profughi in attesa di finire la loro odissea e di ritornare nei loro paesi di origine per condurre una vita normale in una prospettiva di sicurezza e di pace?
2. Oggi, purtroppo, il già difficile cammino del migrante va subendo un ritardo che accentua la sua emarginazione e la sua esclusione. La stessa crescente disparità economica, esistente fra i popoli in via di sviluppo e quelli industrializzati, tende a riprodursi all’interno delle singole nazioni. Le migrazioni, che un tempo erano viste come fattore di sviluppo economico, sociale e culturale per la nazione ospite, oggi sono sentite sempre più come un peso, un disturbo, un problema. Oggettive difficoltà ingenerano talora un clima di diffidenza, di sospetto e di ostilità nei confronti dei migranti.
Certo, i cittadini di ogni paese hanno il diritto di vivere nella tranquillità, nel rispetto reciproco, nella pace. È interesse innanzitutto dei migranti impegnarsi al rispetto degli ordinamenti che regolano la vita delle società che li accolgono. Talvolta si verificano episodi di intolleranza, nei quali è doveroso riconoscere effettive responsabilità dei migranti stessi, rei di comportamenti scorretti. È giusto che lo Stato intervenga allora per ristabilire e tutelare l’ordine pubblico. La considerazione, tuttavia, delle situazioni di precarietà e di miseria, in cui versano molti di loro, deve indurre il cristiano a farsi carico di questi esseri umani senza lavoro, senza casa, senza protezione, che attendono da chi sta meglio comprensione ed aiuto.
Non ci si può limitare a porre in evidenza i problemi che la loro presenza suscita, né soltanto esigere che essi si adattino alla vita delle società di arrivo senza contemporaneamente rispettare i loro diritti. La lotta contro il razzismo ha un senso ed una prospettiva di successo, se si accetta il principio dell’uguaglianza in tutti i campi, consapevoli che l’integrazione coinvolge la società nel suo insieme. È infatti un processo comune che interessa sia i migranti che i residenti, e che sarà tanto più spedito ed agevole quanto più positiva sarà l’immagine che i gruppi stranieri offriranno di se stessi. È chiaro che, in questo, i mezzi di comunicazione hanno un grande ruolo ed una grave responsabilità.
3. Carissimi Fratelli e Sorelle! Con profonda sensibilità pastorale ed umana molte Comunità diocesane, attivando istituzioni ecclesiali, quali la Caritas, l’Azione Cattolica e numerose associazioni di volontariato cattolico, hanno imboccato con decisione la strada della solidarietà e della pacificazione delle etnie, creando strutture di accoglienza e facendosi voce dei deboli per difenderne la dignità e i diritti.
È lo Spirito che parla alle Chiese, suscitando iniziative con cui fare fronte alle esigenze sempre nuove che il variare delle situazioni produce. Anche molte parrocchie hanno trovato nell’impegno per i diseredati una via di autentico rinnovamento.
Sulle strade della mobilità umana, dove si incontrano spesso forme di ingiustizia e di violenza, e dove molti “passano oltre”, chiusi nei loro interessi ed assorbiti dai loro compiti particolari, come il sacerdote ed il levita della parabola, la Chiesa sa di dover assumere sempre più integralmente il ruolo del buon Samaritano, facendosi “prossimo” di tutti gli esclusi (cf. Lc 10, 30-37).
Il senso umanitario verso l’uomo bisognoso si esprime oggi in forme certo più vaste e più organizzate che nei tempi passati, e la Comunità ecclesiale entra volentieri in collaborazione con quanti sono mossi da sentimenti di autentico altruismo. Ma a questo impegno umanitario il cristiano deve aggiungere l’elemento specifico che lo caratterizza: la testimonianza e la passione per l’inalienabile dignità dell’uomo, redento da Cristo.
I credenti testimoniano così nei fatti che la buona Novella non si esaurisce nella proclamazione di verità astratte, ma si concretizza nella carità, capace di assumere anche la forma dell’impegno contro le ingiustizie presenti nel mondo. Compito, questo, che non si riduce ad una delega data alle benemerite istituzioni assistenziali, ma porta il segno del contributo personale di quanti si dicono e vogliono essere autenticamente cristiani. Ecco il senso della specificità cristiana dell’opzione per i poveri: vivere la “compassione” (cf. Lc 10, 33) evangelica nei confronti di quanti sono nel bisogno, senza tener conto della loro nazionalità, religione e classe sociale.
4. “Nella Chiesa nessuno è straniero e la Chiesa non è straniera a nessun uomo”, ricordavo di recente nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante (cf. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII/2 [1995] 130). Coerentemente con questo principio la Chiesa mai cesserà di combattere l’emarginazione e l’esclusione. In particolare, essa si batte per la salvaguardia del principio d’uguaglianza e contro ogni forma di discriminazione e di emarginazione.
Carissimi, grazie per quel che voi già fate in questo campo. Continuate con rinnovato impegno questo vostro servizio in un settore tra i più significativi e promettenti dell’azione sociale e pastorale della Chiesa.
Il Signore benedica il vostro lavoro e fecondi con la sua grazia i propositi maturati in questi giorni. A ciascuno di voi, come a tutti gli operatori pastorali che si prodigano per le persone costrette a vivere nelle diverse forme della mobilità umana, imparto volentieri la Benedizione Apostolica, auspicio di un sempre più generoso sforzo di evangelizzazione e di promozione umana.
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