BOLLA
DEL SOMMO PONTEFICE
LEONE XII
QUO GRAVIORA
Il Vescovo Leone, servo dei servi di Dio. A perpetua memoria.
1. Quanto più gravi sono le sciagure che sovrastano il gregge di Cristo Dio e Salvatore nostro, tanta maggiore sollecitudine devono usare, per rimuoverle, i Romani Pontefici, ai quali sono stati affidati il potere e l’impegno di pascere e di governare quel gregge in nome del Beato Pietro, principe degli Apostoli. Compete infatti ad essi, come a coloro che sono posti nel più alto osservatorio della Chiesa, lo scorgere più da lontano le insidie che i nemici del nome cristiano ordiscono per distruggere la Chiesa di Cristo, senza che mai possano conseguire tale scopo; ad essi compete non solo indicare e rivelare le stesse insidie ai fedeli, perché se ne guardino, ma anche, con la propria autorità, stornarle e rimuoverle. I Romani Pontefici Nostri Predecessori compresero quale gravoso incarico fosse loro affidato; perciò si imposero di vigilare sempre come buoni pastori. Con le esortazioni, gl’insegnamenti, i decreti e dedicando la stessa vita al loro gregge, ebbero cura di proibire e di distruggere totalmente le sette che minacciavano l’estrema rovina della Chiesa. Né la memoria di questo impegno pontificio può essere desunta soltanto dagli antichi annali ecclesiastici: lo si evince chiaramente dalle azioni compiute dai Romani Pontefici dell’età nostra e dei nostri Padri per opporsi alle sette clandestine di uomini nemici di Cristo. Infatti, non appena Clemente XII, Nostro Predecessore, si avvide che di giorno in giorno si rafforzava e acquistava nuova consistenza la setta dei Liberi Muratori, ossia dei Francs Maçons (o chiamata anche in altro modo), che per molti validi motivi egli aveva considerata non solo sospetta ma altresì implacabile nemica della Chiesa Cattolica, la condannò con una limpida Costituzione che comincia con le parole In eminenti, pubblicata il 28 aprile 1738, il cui testo è il seguente.
2. «Clemente Vescovo, servo dei servi di Dio. A tutti i fedeli, salute e Apostolica Benedizione.
Posti per volere della clemenza Divina, benché indegni, nell’eminente Sede dell’Apostolato, onde adempiere al debito della Pastorale provvidenza affidato a Noi, con assidua diligenza e con premura, per quanto Ci è concesso dal Cielo, abbiamo rivolto il pensiero a quelle cose per mezzo delle quali – chiuso l’adito agli errori ed ai vizi – si conservi principalmente l’integrità della Religione Ortodossa, e in questi tempi difficilissimi vengano allontanati da tutto il mondo Cattolico i pericoli dei disordini.
Già per la stessa pubblica fama Ci è noto che si estendono in ogni direzione, e di giorno in giorno si avvalorano, alcune società, unioni, riunioni, adunanze, conventicole o aggregazioni comunemente chiamate dei Liberi Muratori o des Francs Maçons, o con altre denominazioni chiamate a seconda della varietà delle lingue, nelle quali con stretta e segreta alleanza, secondo loro Leggi e Statuti, si uniscono tra di loro uomini di qualunque religione e setta, contenti di una certa affettata apparenza di naturale onestà. Tali Società, con stretto giuramento preso sulle Sacre Scritture, e con esagerazione di gravi pene, sono obbligate a mantenere un inviolabile silenzio intorno alle cose che esse compiono segretamente.
Ma essendo natura del delitto il manifestarsi da se stesso e generare il rumore che lo denuncia, ne deriva che le predette società o conventicole hanno prodotto nelle menti dei fedeli tale sospetto, secondo il quale per gli uomini onesti e prudenti l’iscriversi a quelle aggregazioni è lo stesso che macchiarsi dell’infamia di malvagità e di perversione: se non operassero iniquamente, non odierebbero tanto decisamente la luce. Tale fama è cresciuta in modo così considerevole, che dette Società sono già state proscritte dai Principi secolari in molti Paesi come nemiche dei Regni, e sono state provvidamente eliminate.
Noi pertanto, meditando sui gravissimi danni che per lo più tali Società o Conventicole recano non solo alla tranquillità della temporale Repubblica, ma anche alla salute spirituale delle anime, in quanto non si accordano in alcun modo né con le Leggi Civili né con quelle Canoniche; ammaestrati dalle Divine parole a vigilare giorno e notte, come servo fedele e prudente preposto alla famiglia del Signore, affinché questa razza di uomini non saccheggi la casa come ladri, né come le volpi rovini la vigna; affinché, cioè, non corrompa i cuori dei semplici né ferisca occultamente gl’innocenti; allo scopo di chiudere la strada che, se aperta, potrebbe impunemente consentire dei delitti; per altri giusti e razionali motivi a Noi noti, con il consiglio di alcuni Venerabili Nostri Fratelli Cardinali della Santa Romana Chiesa, e ancora motu proprio, con sicura scienza, matura deliberazione e con la pienezza della Nostra Apostolica potestà, decretiamo doversi condannare e proibire, come con la presente Nostra Costituzione, da valere in perpetuo, condanniamo e proibiamo le predette società, unioni, riunioni, adunanze, aggregazioni o conventicole dei Liberi Muratori o des Francs Maçons, o con qualunque altro nome chiamate. Pertanto, severamente, ed in virtù di santa obbedienza, comandiamo a tutti ed ai singoli fedeli di qualunque stato, grado, condizione, ordine, dignità o preminenza, sia Laici, sia Chierici, tanto Secolari quanto Regolari, ancorché degni di speciale ed individuale menzione e citazione, che nessuno ardisca o presuma sotto qualunque pretesto o apparenza di istituire, propagare o favorire le predette Società dei Liberi Muratori o des Francs Maçons o altrimenti denominate; di ospitarle e nasconderle nelle proprie case o altrove; di iscriversi ed aggregarsi ad esse; di procurare loro mezzi, facoltà o possibilità di convocarsi in qualche luogo; di somministrare loro qualche cosa od anche di prestare in qualunque modo consiglio, aiuto o favore, palesemente o in segreto, direttamente o indirettamente, in proprio o per altri, nonché di esortare, indurre, provocare o persuadere altri ad iscriversi o ad intervenire a simili Società, od in qualunque modo a giovare e a favorire le medesime. Anzi, ognuno debba assolutamente astenersi dalle dette società, unioni, riunioni, adunanze, aggregazioni o conventicole, sotto pena di scomunica per tutti i contravventori, come sopra, da incorrersi ipso facto, e senza alcuna dichiarazione: scomunica dalla quale nessuno possa essere assolto, se non in punto di morte, da altri all’infuori del Romano Pontefice pro tempore.
Vogliamo inoltre e comandiamo che tanto i Vescovi, i Prelati Superiori e gli altri Ordinari dei luoghi, quanto gl’Inquisitori dell’eretica malvagità deputati in qualsiasi luogo, procedano e facciano inquisizione contro i trasgressori di qualunque stato, grado, condizione, ordine, dignità o preminenza, e che reprimano e puniscano i medesimi con le stesse pene con le quali colpiscono i sospetti di eresia. Pertanto concediamo e attribuiamo libera facoltà ad essi, e a ciascuno di essi, di procedere e di inquisire contro i suddetti trasgressori, e di imprigionarli e punirli con le debite pene, invocando anche, se sarà necessario, l’aiuto del braccio secolare.
Vogliamo poi che alle copie della presente, ancorché stampate, sottoscritte di mano di qualche pubblico Notaio e munite del sigillo di persona costituita in dignità Ecclesiastica, sia prestata la stessa fede che si presterebbe alla Lettera se fosse esibita o mostrata nell’originale.
A nessuno dunque, assolutamente, sia permesso violare, o con temerario ardimento contraddire questa pagina della Nostra dichiarazione, condanna, comandamento, proibizione ed interdizione. Se qualcuno osasse tanto, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, nell’anno dell’Incarnazione del Signore 1738, il 28 aprile, nell’anno ottavo del Nostro Pontificato».
3. Questi provvedimenti, tuttavia, non apparvero sufficienti a Benedetto XIV, altro Nostro Predecessore di veneranda memoria. Nei discorsi di molti era diffusa la convinzione che la pena della scomunica irrogata nella lettera del defunto Clemente XII fosse inoperante perché Benedetto non aveva confermato quella lettera. In verità, era assurdo affermare che le leggi dei Pontefici precedenti diventano obsolete qualora non siano espressamente approvate dai Successori; inoltre era evidente che da Benedetto, più di una volta, era stata ratificata la Costituzione di Clemente. Tuttavia Benedetto decise di sottrarre anche questo cavillo dalle mani dei settari, pubblicando il 18 marzo 1751 una nuova Costituzione che comincia con la parola Providas. In essa riportò, parola per parola, la Costituzione di Clemente e la confermò, come suol dirsi, in forma specifica, che è considerata la forma più ampia e più efficace fra tutte. Questo è il testo della Costituzione di Benedetto.
4. «Il Vescovo Benedetto, servo dei servi di Dio. A perpetua memoria.
Giudichiamo doveroso, con un nuovo intervento della Nostra autorità, sostenere e confermare – in quanto lo richiedono giusti e gravi motivi – le provvide leggi e le sanzioni dei Romani Pontefici Nostri Predecessori: non soltanto quelle leggi e quelle sanzioni il cui vigore o per il processo del tempo o per la noncuranza degli uomini temiamo si possa rallentare od estinguere, ma anche quelle che recentemente hanno ottenuto forza e piena validità.
Di fatto Clemente XII, Nostro Predecessore di felice memoria, con propria Lettera apostolica del 28 aprile dell’anno dell’Incarnazione del Signore 1738, anno ottavo del suo Pontificato – Lettera diretta a tutti i fedeli e che comincia In eminenti – condannò per sempre e proibì alcune società, unioni, riunioni, adunanze, conventicole o aggregazioni volgarmente chiamate dei Liberi Muratori o des Francs Maçons, o diversamente denominate, già allora largamente diffuse in certi Paesi e che ora sempre più aumentano. Egli vietò a tutti e ai singoli Cristiani (sotto pena di scomunica da incorrersi ipso facto senza alcuna dichiarazione, dalla quale nessuno potesse essere assolto da altri, se non in punto di morte, all’infuori del Romano Pontefice pro tempore) di tentare o ardire di entrare in siffatte Società, propagarle o prestare loro favore o ricetto, occultarle, iscriversi ad esse, aggregarsi o intervenirvi, ed altro, come nella stessa Lettera più largamente e più ampiamente è contenuto. Eccone il testo.
[Il testo della Costituzione In eminenti di Clemente XII è pubblicata integralmente nelle pagine precedenti di questa stessa Bolla].
Ma poiché, per quanto Ci è stato riferito, alcuni non hanno avuto difficoltà di affermare e diffondere pubblicamente che la detta pena di scomunica imposta dal Nostro Predecessore non è più operante perché la relativa Costituzione non è poi stata da Noi confermata, quasi che sia necessaria, perché le Apostoliche Costituzioni mantengano validità, la conferma esplicita del successore; ed essendo stato suggerito a Noi, da parte di alcune persone pie e timorate di Dio, che sarebbe assai utile eliminare tutti i sotterfugi dei calunniatori e dichiarare l’uniformità dell’animo Nostro con l’intenzione e la volontà dello stesso Predecessore, aggiungendo alla sua Costituzione il nuovo voto della Nostra conferma; Noi certamente, fino ad ora, quando abbiamo benignamente concesso l’assoluzione dalla incorsa scomunica, sovente prima e principalmente nel passato anno del Giubileo, a molti fedeli veramente pentiti e dolenti di avere trasgredito le leggi della stessa Costituzione e che assicuravano di cuore di allontanarsi completamente da simili società e conventicole, e che per l’avvenire non vi sarebbero mai tornati; o quando accordammo ai Penitenzieri da Noi delegati la facoltà di impartire l’assoluzione a Nostro nome e con la Nostra autorità a coloro che ricorressero ai Penitenzieri stessi; e quando con sollecita vigilanza non tralasciammo di provvedere a che dai competenti Giudici e Tribunali si procedesse in proporzione del delitto compiuto contro i violatori della Costituzione stessa, il che fu effettivamente più volte eseguito: abbiamo certamente fornito argomenti non solo probabili ma del tutto evidenti ed indubitabili, attraverso i quali si sarebbero dovute comprendere le disposizioni dell’animo Nostro e la ferma e deliberata volontà consenzienti con la censura imposta dal predetto Clemente Predecessore. Se un’opinione contraria si divulgasse intorno a Noi, Noi potremmo sicuramente disprezzarla e rimettere la Nostra causa al giusto giudizio di Dio Onnipotente, pronunciando quelle parole che un tempo si recitavano nel corso delle sacre funzioni: «Concedi, o Signore, te ne preghiamo, che Noi non curiamo le calunnie degli animi perversi, ma conculcata la perversità medesima supplichiamo che Tu non permetta che siamo afflitti dalle ingiuste maldicenze o avviluppati dalle astute adulazioni, ma che amiamo piuttosto ciò che Tu comandi». Così riporta un antico Messale attribuito a San Gelasio, Nostro Predecessore, e che dal Venerabile Servo di Dio il Cardinale Giuseppe Maria Tommasi fu inserito nella Messa che s’intitola Contro i maldicenti.
Tuttavia, affinché non si potesse dire che Noi avevamo imprudentemente omesso qualche cosa, al fine di eliminare agevolmente i pretesti alle menzognere calunnie e chiudere loro la bocca; udito prima il consiglio di alcuni Venerabili Nostri Fratelli Cardinali della Santa Romana Chiesa, abbiamo decretato di confermare la stessa Costituzione del Nostro Predecessore, parola per parola, come sopra riportato in forma specifica, la quale è considerata come la più ampia ed efficace di tutte: la confermiamo, convalidiamo, rinnoviamo e vogliamo e decretiamo che abbia perpetua forza ed efficacia per Nostra sicura scienza, nella pienezza della Nostra Apostolica autorità, secondo il tenore della medesima Costituzione, in tutto e per tutto, come se fosse stata promulgata con Nostro motu proprio e con la Nostra autorità, e fosse stata pubblicata per la prima volta da Noi.
Per la verità, fra i gravissimi motivi delle predette proibizioni e condanna esposti nella sopra riportata Costituzione ve n’è uno, in forza del quale in tali società e conventicole possano unirsi vicendevolmente uomini di qualsiasi religione e setta; è chiaro quale danno si possa recare alla purezza della Religione Cattolica. Il secondo motivo è la stretta e impenetrabile promessa di segreto, in forza del quale si nasconde ciò che si fa in queste adunanze, cui meritamente si può applicare quella sentenza che Cecilio Natale, presso Minucio Felice, addusse in una causa ben diversa: «Le cose oneste amano sempre la pubblica luce; le scelleratezze sono segrete». Il terzo motivo è il giuramento con il quale gli iscritti s’impegnano ad osservare inviolabilmente detto segreto, quasi che sia lecito a qualcuno, interrogato da legittimo potere, con la scusa di qualche promessa o giuramento di sottrarsi all’obbligo di confessare tutto ciò che si ricerca, per conoscere se in tali conventicole si faccia qualche cosa contraria alla stabilità e alle leggi della Religione e della Repubblica. Il quarto motivo è che queste Società si oppongono alle Sanzioni Civili non meno che alle Canoniche, tenuto conto, appunto, che ai sensi del Diritto Civile si vietano tutti i Collegi e le adunanze formati senza la pubblica autorità, come si legge nelle Pandette , e nella celebre lettera di C. Plinio Cecilio, il quale riferisce che fu proibito per suo Editto, giusta il comandamento dell’Imperatore, che si tenessero le Eterie, cioè che potessero esistere e riunirsi Società e adunanze senza l’autorizzazione del Principe. Il quinto motivo è che in molti Paesi le citate società e aggregazioni sono già state proscritte e bandite con leggi dei Principi secolari. Infine, l’ultimo motivo è che presso gli uomini prudenti ed onesti si biasimavano le predette società e aggregazioni: a loro giudizio chiunque si iscriveva ad esse incorreva nella taccia di pravità e perversione.
Infine lo stesso Predecessore nella sopra riportata Costituzione esorta i Vescovi, i Superiori Prelati e gli altri Ordinari dei luoghi a non trascurare d’invocare l’aiuto del braccio secolare qualora occorra per l’esecuzione di tale disposizione.
Tutte queste cose, anche singolarmente, non solo si approvano e si confermano da Noi, ma anche si raccomandano e si ingiungono ai Superiori Ecclesiastici; ma Noi stessi, per debito della Apostolica sollecitudine, con la presente Nostra Lettera invochiamo e con vivo affetto ricerchiamo il soccorso e l’aiuto dei Principi Cattolici e dei secolari Poteri – essendo gli stessi Principi Supremi e i titolari del potere eletti da Dio quali difensori della fede e protettori della Chiesa – affinché sia loro cura adoperarsi nel modo più efficace perché alle Apostoliche Costituzioni si prestino il dovuto ossequio e la più assoluta obbedienza. Ciò riportarono alla loro memoria i Padri del Concilio Tridentino, Sess. 25, cap. 20, e molto prima l’aveva egregiamente dichiarato l’Imperatore Carlo Magno nel Tit. I. cap. 2, dei suoi Capitolati nei quali, dopo aver comandato a tutti i suoi sudditi l’osservanza delle Sanzioni Ecclesiastiche, aggiunse queste parole: «In nessun modo possiamo conoscere come possano essere fedeli a noi coloro che si mostrano infedeli a Dio e disubbidienti ai suoi sacerdoti». Conseguentemente impose a tutti i Presidenti e ai Ministri delle sue province che obbligassero tutti e i singoli a prestare la dovuta obbedienza alle leggi della Chiesa. Inoltre comminò gravissime pene contro coloro che trascurassero di fare ciò, aggiungendo fra l’altro: «Coloro poi che in queste cose (il che non avvenga) saranno trovati negligenti e trasgressori, sappiano che non conserveranno gli onori nel nostro Impero, ancorché siano nostri figlioli; né avranno posto nel Palazzo; né con noi né coi nostri fedeli avranno società o comunanza, ma piuttosto pagheranno la pena nelle angustie e nelle ristrettezze».
Vogliamo poi che alle copie della presente, ancorché stampate, sottoscritte di mano di qualche pubblico Notaio e munite del sigillo di persona costituita in dignità Ecclesiastica, sia prestata la stessa fede che si presterebbe alla Lettera se fosse esibita o mostrata nell’originale.
A nessuno dunque, assolutamente, sia permesso violare, o con temerario ardimento contraddire questo testo della Nostra conferma, innovazione, approvazione, comandamento, invocazione, richiesta, decreto e volontà. Se qualcuno osasse tanto, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 18 marzo dell’anno dell’Incarnazione del Signore 1751, undicesimo anno del Nostro Pontificato».
5. Oh, se i potenti di allora avessero preso in considerazione questi decreti, come lo richiedeva la salvezza della Chiesa e dello Stato! Oh, se si fossero persuasi di dover vedere nei Romani Pontefici Successori del Beato Pietro non solo i pastori e i maestri della Chiesa universale, ma anche i valenti difensori della loro dignità e gli attenti indicatori degli imminenti pericoli! Oh, se si fossero serviti del loro potere per sradicare le sette i cui pestiferi disegni erano stati rivelati ad essi dalla Sede Apostolica! Già da quel tempo avrebbero posto termine alla vicenda. Ma siccome, sia per l’inganno dei settari che occultavano astutamente le loro tresche, sia per inconsulti suggerimenti di taluni, avevano divisato di trascurare questa questione, o almeno di trattarla con noncuranza, da quelle antiche sette massoniche, sempre attive, molte altre sono germinate, assai peggiori e più audaci di quelle. Sembrò che quelle sette fossero tutte comprese in quella dei Carbonari, che era considerata in Italia e in alcuni altri Paesi la più importante fra tutte e che, variamente ramificata con nomi appena diversi, si diede a combattere aspramente la Religione Cattolica e qualunque suprema, legittima e civile potestà. Per liberare da questa sciagura l’Italia, gli altri Paesi e anzi lo stesso Stato Pontificio (in cui, soppresso per qualche tempo il governo Pontificio, quella setta si era introdotta insieme con gl’invasori stranieri) Pio VII di felice memoria, a cui Noi siamo succeduti, con una Costituzione che comincia con le parole Ecclesiam a Jesu Christo pubblicata il 13 settembre 1821 condannò con gravissime pene la setta dei Carbonari, comunque fosse denominata a seconda della diversità dei luoghi, degli uomini e degli idiomi. Abbiamo pensato di includere in questa Nostra lettera anche il testo di essa, che recita come segue.
6. Il Vescovo Pio, servo dei servi di Dio. A perpetua memoria.
La Chiesa fondata da Gesù Cristo Salvatore Nostro sopra solida pietra (e contro di essa Cristo promise che non sarebbero mai prevalse le porte dell’inferno) è stata assalita così spesso e da tanti temibili nemici, che se non si frapponesse quella promessa divina che non può venir meno, vi sarebbe da temere che essa potesse soccombere, circuita dalla forza o dai vizi o dall’astuzia. Invero, ciò che accadde in altri tempi si ripete anche e soprattutto in questa nostra luttuosa età che sembra quell’ultimo tempo preannunciato in passato dall’Apostolo: «Verranno gli ingannatori che, secondo i loro desideri, cammineranno nella via dell’empietà» (Gd 18). Infatti nessuno ignora quanti scellerati, in questi tempi difficilissimi, si siano coalizzati contro il Signore e contro Cristo Figlio Suo; costoro si adoperano soprattutto (sebbene con vani sforzi) a travolgere e a sovvertire la stessa Chiesa, ingannando i fedeli (Col 2,8) con una vana e fallace filosofia e sottraendoli alla dottrina della Chiesa. Per raggiungere più facilmente questo scopo, molti di costoro organizzarono occulti convegni e sette clandestine con cui speravano in futuro di trascinare più facilmente numerosi individui a essere complici della loro congiura e della loro iniquità.
Già da tempo questa Santa Sede, scoperte tali sette, lanciò l’allarme contro di esse con alta e libera voce, e rivelò le loro trame contro la Religione e contro la stessa società civile. Già da tempo sollecitò la vigilanza di tutti perché si guardassero in modo che queste sette non osassero attuare i loro scellerati propositi. È tuttavia motivo di rammarico che all’impegno di questa sede Apostolica non abbia corrisposto l’esito cui essa mirava e che quegli uomini scellerati non abbiano desistito dalla congiura intrapresa, per cui ne sono derivati infine quei mali che Noi stessi avevamo previsto. Anzi, quegli uomini, la cui iattanza sempre si accresce, hanno perfino osato creare nuove società segrete.
A questo punto occorre ricordare una società nata di recente e diffusa in lungo e in largo per l’Italia e in altre regioni: per quanto sia divisa in numerose sette e per quanto assuma talvolta denominazioni diverse e distinte tra loro, in ragione della loro varietà, tuttavia essa è una sola di fatto nella comunanza delle dottrine e dei delitti e nel patto che fu stabilito; essa viene chiamata solitamente dei Carbonari. Costoro simulano un singolare rispetto e un certo straordinario zelo verso la Religione Cattolica e verso la persona e l’insegnamento di Gesù Cristo Nostro Salvatore, che talvolta osano sacrilegamente chiamare Rettore e grande Maestro della loro società. Ma questi discorsi, che sembrano ammorbiditi con l’olio, non sono altro che dardi scoccati con più sicurezza da uomini astuti, per ferire i meno cauti; quegli uomini si presentano in vesti di agnello ma nell’intimo sono lupi rapaci.
Anche se mancassero altri argomenti, i seguenti persuadono a sufficienza che non si deve prestare alcun credito alle loro parole, cioè: il severissimo giuramento con cui, imitando in gran parte gli antichi Priscillanisti, promettono di non rivelare mai e in nessun caso, a coloro che non sono iscritti alla società, cosa alcuna che riguardi la stessa società, né di comunicare a coloro che si trovano nei gradi inferiori cosa alcuna che riguardi i gradi superiori; inoltre, le segrete e illegali riunioni che essi convocano seguendo l’usanza di molti eretici e la cooptazione di uomini d’ogni religione e di ogni setta nella loro società.
Non occorrono dunque congetture e argomenti per giudicare le loro affermazioni, come più sopra si è detto. I libri da loro pubblicati (nei quali si descrive il metodo che si suole seguire nelle riunioni dei gradi superiori), i loro catechismi, gli statuti e gli altri gravissimi, autentici documenti rivolti a ispirare fiducia, e le testimonianze di coloro che, avendo abbandonato la società cui prima appartenevano, ne rivelarono ai legittimi giudici gli errori e le frodi, dimostrano apertamente che i Carbonari mirano soprattutto a dare piena licenza a chiunque di inventare col proprio ingegno e con le proprie opinioni una religione da professare, introducendo quindi verso la Religione quella indifferenza di cui a malapena si può immaginare qualcosa di più pernicioso. Nel profanare e nel contaminare la passione di Gesù Cristo con certe loro nefande cerimonie; nel disprezzare i Sacramenti della Chiesa (ai quali sembrano sostituirne altri nuovi da loro inventati con suprema empietà) e gli stessi Misteri della Religione Cattolica; nel sovvertire questa Sede Apostolica (nella quale risiede da sempre il primato della Cattedra Apostolica) sono animati da un odio particolare e meditano propositi funesti e perniciosi.
Non meno scellerate (come risulta dagli stessi documenti) sono le norme di comportamento che la società dei Carbonari insegna, sebbene impudentemente si vanti di esigere dai suoi seguaci che coltivino e pratichino la carità e ogni altra virtù, e che si astengano scrupolosamente da ogni vizio. Pertanto essa favorisce senza alcun pudore le voluttà più sfrenate; insegna che è lecito uccidere coloro che non rispettarono il giuramento di mantenere il segreto, cui si è fatto cenno più sopra; e sebbene Pietro principe degli Apostoli prescriva che i Cristiani «siano soggetti, in nome di Dio, ad ogni umana creatura o al Re come preminente o ai Capi come da Lui mandati, ecc.» (1Pt 2,13); sebbene l’Apostolo Paolo ordini che «ogni anima sia soggetta alle potestà più elevate», tuttavia quella società insegna che non costituisce reato fomentare ribellioni e spogliare del loro potere i Re e gli altri Capi, che per somma ingiuria osa indifferentemente chiamare tiranni (Rm 3,14).
Questi ed altri sono i dogmi e i precetti di questa società, da cui ebbero origine quei delitti recentemente commessi dai Carbonari, che tanto lutto hanno recato a oneste e pie persone. Noi, dunque, che siamo stati designati come veggenti di quella casa d’Israele che è la Santa Chiesa e che per il Nostro ufficio pastorale dobbiamo evitare che il gregge del Signore a Noi divinamente affidato patisca alcun danno, pensiamo che in una contingenza così grave non possiamo esimerci dall’impedire i delittuosi tentativi di questi uomini. Siamo mossi anche dall’esempio di Clemente XII e di Benedetto XIV di felice memoria, Nostri Predecessori: il primo, il 28 aprile 1738, con la Costituzione «In eminenti», e il secondo, il 18 maggio 1751, con la Costituzione «Providas», condannarono e proibirono le società dei Liberi Muratori, ossia dei Francs Maçons, o chiamate con qualunque altro nome, secondo la varietà delle regioni e degli idiomi; si deve ritenere che di tali società sia forse una propaggine, o certo un’imitazione, questa società dei Carbonari.
E sebbene con due editti promulgati dalla Nostra Segretaria di Stato abbiamo già severamente proscritta questa società, seguendo tuttavia i ricordati Nostri Predecessori pensiamo di decretare, in modo anche più solenne, gravi pene contro questa società, soprattutto perché i Carbonari pretendono, erroneamente, di non essere compresi nelle due Costituzioni di Clemente XII e di Benedetto XIV né di essere soggetti alle sentenze e alle sanzioni in esse previste.
Consultata dunque una scelta Congregazione di Venerabili Fratelli Nostri Cardinali di Santa Romana Chiesa, con il loro consiglio ed anche per motu proprio, per certa dottrina e per meditata Nostra deliberazione, nella pienezza dell’autorità apostolica abbiamo stabilito e decretato di condannare e di proibire la predetta società dei Carbonari, o con qualunque altro nome chiamata, le sue riunioni, assemblee, conferenze, aggregazioni, conventicole, così come con il presente Nostro atto la condanniamo e proibiamo.
Pertanto a tutti e a ciascuno dei fedeli di Cristo di qualunque stato, grado, condizione, ordine, dignità e preminenza, sia laici sia chierici, tanto secolari che regolari, degni anche di specifica, individuale ed esplicita menzione, ordiniamo rigorosamente e in virtù della santa obbedienza che nessuno, sotto qualsivoglia pretesto o ricercato motivo, osi o pretenda di fondare, diffondere o favorire, e nella sua casa o dimora o altrove accogliere e nascondere la predetta società dei Carbonari, o altrimenti detta, come pure di iscriversi od aggregarsi ad essa o di intervenire a qualunque grado di essa o di offrire la facoltà e l’opportunità che essa si convochi in qualche luogo o di elargire qualcosa ad essa o in altro modo prestare consiglio, aiuto o favore palese od occulto, diretto o indiretto, per essa stessa o per altri; e ancora di esortare, indurre, provocare o persuadere altri ad iscriversi, ad aggregarsi o a intervenire in tale società o in qualunque grado di essa o di giovarle o favorirla comunque. I fedeli debbono assolutamente astenersi dalla società stessa, dalle sue adunanze, riunioni, aggregazioni o conventicole sotto pena di scomunica in cui incorrono sull’istante tutti i contravventori sopra indicati, senza alcun’altra dichiarazione; dalla scomunica nessuno potrà venire assolto se non da Noi o dal Romano Pontefice pro tempore, salvo che si trovi in punto di morte.
Inoltre prescriviamo a tutti, sotto la stessa pena di scomunica, riservata a Noi e ai Romani Pontefici Nostri Successori, l’obbligo di denunciare ai Vescovi, o ad altri competenti, tutti coloro che sappiano aver aderito a questa società o che si sono macchiati di alcuno dei delitti più sopra ricordati.
Infine, per allontanare con più efficacia ogni pericolo di errore, condanniamo e proscriviamo tutti i cosiddetti catechismi e libri dei Carbonari, ove costoro descrivono ciò che si è soliti fare nelle loro riunioni; così pure i loro statuti, i codici e tutti i libri scritti in loro difesa, sia stampati, sia manoscritti. A tutti i fedeli, sotto la stessa pena di scomunica maggiore parimenti riservata, proibiamo i libri suddetti, o la lettura o la conservazione di alcuno di essi; e ordiniamo che quei libri siano consegnati senza eccezione agli Ordinari del luogo o ad altri cui spetti il diritto di riceverli.
Vogliamo inoltre che ai transunti, anche stampati, della presente Nostra lettera, sottoscritti per mano di qualche pubblico Notaio e muniti del sigillo di persona investita di dignità ecclesiastica, si presti quella stessa fede che si concederebbe alla lettera originale se fosse presentata o mostrata.
Perciò a nessuno sia lecito strappare o contraddire con temeraria arroganza questo testo della Nostra dichiarazione, condanna, ordine, proibizione e interdetto. Se qualcuno osasse tentare ciò, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei beati suoi Apostoli Pietro e Paolo.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, nell’anno dell’Incarnazione del Signore 1821, il giorno 13 settembre, nell’anno ventiduesimo del Nostro Pontificato».
7. Poco tempo dopo la promulgazione di questa Costituzione di Pio VII, Noi, senza alcun Nostro merito, fummo elevati alla suprema cattedra di San Pietro, e subito rivolgemmo tutta la Nostra attività a scoprire quale fosse lo stato delle sette clandestine, quale il loro numero, quale la potenza. A seguito di tale inchiesta, agevolmente abbiamo compreso che la loro baldanza era cresciuta soprattutto per l’aumentato numero di nuove sette. Fra esse in primo luogo occorre fare menzione di quella che si chiama Universitaria perché ha sede e domicilio in parecchie Università degli Studi in cui i giovani, da alcuni maestri (intesi non già ad insegnare ma a pervertire), vengono iniziati ai misteri della setta, che correttamente devono essere definiti misteri d’iniquità; pertanto i giovani vengono educati ad ogni scelleratezza.
8. Da ciò hanno tratto origine le fiamme della ribellione accese da tempo in Europa dalle sette clandestine; nonostante le più segnalate vittorie riportate dai potentissimi Principi d’Europa, che speravano di reprimerle, tuttavia i nefasti tentativi delle sette non hanno ancora avuto termine. Infatti negli stessi paesi nei quali i passati tumulti sembrano cessati, qual è il timore di nuovi disordini e sedizioni che quelle sette macchinano incessantemente? Quale lo spavento per gli empi pugnali che di nascosto immergono nei corpi di coloro che hanno destinato alla morte? Quante severe misure non di rado sono stati costretti ad adottare, loro malgrado, coloro che comandano per difendere la pubblica tranquillità?
9. Da qui hanno origine le atroci calamità che affliggono quasi ovunque la Chiesa e che non possiamo ricordare senza dolore, anzi: senza angoscia. Si contestano senza pudore i suoi santissimi dogmi e insegnamenti; si umilia la sua dignità. Quella pace e quella felicità di cui, per suo proprio diritto, essa dovrebbe godere, non sono soltanto turbate, ma del tutto sconvolte.
10. E non è da credere che sia una abbietta calunnia l’attribuire a queste sette tutti questi mali e gli altri che Noi abbiamo tralasciato. I libri che non si sono peritati di scrivere sulla Religione e lo Stato coloro che sono iscritti a queste sette, disprezzano il potere, bestemmiano la regalità, vanno dicendo che Cristo è scandalo e stoltezza; anzi, non di rado insegnano che Dio non esiste e che l’anima dell’uomo muore col corpo. I Codici e gli Statuti in cui rivelano i loro propositi e le loro regole, dimostrano chiaramente che da essi provengono tutti i mali che abbiamo ricordato e che mirano a far cadere i Principati legittimi e a distruggere dalle fondamenta la Chiesa. Questa affermazione deve essere considerata come certa e meditata: le sette, sebbene diverse nel nome, sono però congiunte tra loro dallo scellerato legame dei più turpi propositi.
11. Stando così le cose, Noi crediamo essere Nostro dovere condannare nuovamente queste sette clandestine in modo che nessuna di esse possa vantarsi di non essere compresa nella Nostra sentenza apostolica, e con questo pretesto possa indurre in errore uomini incauti o sprovveduti. Pertanto, per consiglio dei Venerabili Nostri Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa e anche motu proprio, con sicura dottrina e con matura deliberazione Nostra, Noi sotto le stesse pene comminate nelle lettere dei Nostri Predecessori che abbiamo riportato in questa Nostra Costituzione, e che espressamente confermiamo, in perpetuo proibiamo tutte le società occulte (qualunque sia il loro nome), tanto quelle ora esistenti, quanto quelle che forse si costituiranno in seguito e che si propongono le azioni sopra ricordate contro la Chiesa e le supreme potestà civili.
12. Pertanto a tutti e a ciascuno dei fedeli di Cristo di qualunque stato, grado, condizione, ordine, dignità e preminenza, sia laici sia chierici, tanto secolari che regolari, degni anche di specifica, individuale ed esplicita menzione, ordiniamo rigorosamente, e in virtù della santa obbedienza, che nessuno sotto qualsivoglia pretesto o ricercato motivo osi o pretenda di fondare, diffondere o favorire, e nella sua casa o dimora o altrove accogliere e nascondere le predette società comunque si chiamino, come pure di iscriversi o aggregarsi ad esse o di intervenire a qualunque grado di esse o di offrire la facoltà e l’opportunità di convocarle in qualche luogo o di elargire loro qualcosa, o in altro modo prestare consiglio, aiuto o favore palese od occulto, diretto o indiretto, per sé o per altri; e ancora di esortare, indurre, provocare o persuadere altri ad iscriversi, ad aggregarsi o a intervenire in siffatte congreghe o in qualunque grado di esse, o di giovare loro o favorirle comunque. I fedeli debbono assolutamente astenersi dalle società stesse, dalle loro riunioni, conferenze, aggregazioni o conventicole sotto pena di scomunica in cui incorrono sull’istante tutti i contravventori sopra descritti senza alcuna dichiarazione; dalla scomunica nessuno potrà venire assolto se non da Noi o dal Romano Pontefice pro tempore, salvo che si trovi in punto di morte.
13. Inoltre a tutti prescriviamo, sotto la stessa pena di scomunica, riservata a Noi e ai Romani Pontefici Nostri Successori, l’obbligo di denunciare ai Vescovi o ad altri competenti tutti coloro che notoriamente hanno dato il loro nome a queste società o si sono macchiati di qualcuno dei delitti ricordati più sopra.
14. Soprattutto poi condanniamo risolutamente e dichiariamo assolutamente vano l’empio e scellerato giuramento che vincola gli adepti di quelle sette a non rivelare mai ad alcuno tutto ciò che riguarda le sette medesime e a punire con la morte tutti i compagni che si fanno delatori presso i superiori, sia Ecclesiastici, sia Laici. E che dunque? Poiché il giuramento va pronunciato al servizio della giustizia, non è forse delittuoso considerarlo come un legame con il quale ci si obbliga a un iniquo omicidio e a disprezzare l’autorità di coloro che, in quanto governano la Chiesa o la legittima società civile, hanno il diritto di conoscere tutto ciò da cui dipende la sicurezza di quelle istituzioni? Non è forse somma iniquità e turpitudine il chiamare Iddio stesso a testimone e mallevadore di delitti? Giustamente i Padri del terzo Concilio Lateranense affermano: «Non si possono definire giuramenti ma piuttosto spergiuri quelli che sono diretti contro il bene della Chiesa e gl’insegnamenti dei Santi Padri». Ed è intollerabile l’impudenza, o la follia, di chi tra questi uomini, non nel proprio cuore soltanto ma anche pubblicamente e in pubblici scritti, afferma che «Dio non esiste», e tuttavia osa pretendere un giuramento da coloro che sono accolti nelle sette.
15. Tali sono le Nostre disposizioni rivolte a reprimere e condannare tutte queste furiose e scellerate sette. Pertanto ora, Venerabili Fratelli Patriarchi Cattolici, Primati, Arcivescovi e Vescovi, non solo chiediamo ma piuttosto sollecitiamo il vostro impegno. Abbiate cura di voi e di tutto il gregge in cui lo Spirito Santo vi pose come Vescovi per governare la Chiesa di Dio. I lupi rapaci vi assaliranno se non avrete cura del gregge. Ma non vogliate temere, e non considerate la vostra vita più preziosa di voi stessi.
Considerate per certo che da voi in gran parte dipende la perseveranza degli uomini a voi affidati nella Religione e nelle buone azioni. Infatti, pur vivendo in giorni «che sono infausti» e in un tempo in cui molti «non difendono la sana dottrina», perdura tuttavia il rispetto di molti fedeli verso i loro Pastori che a buon diritto sono considerati ministri di Cristo e dispensatori dei suoi misteri. Fate dunque uso, a vantaggio delle vostre pecore, di quella autorità che per immortale grazia di Dio conservate nell’animo loro. Fate loro conoscere le frodi dei settari e con quanta attenzione debbano evitare di frequentarli. Grazie all’autorità e al magistero vostro, abbiano orrore della malvagia dottrina di coloro che deridono i santissimi misteri della Nostra Religione e i purissimi insegnamenti di Cristo, e contestano ogni legittimo potere. E parlerò con voi ripetendo le parole usate dal Nostro Predecessore Clemente XIII nell’Enciclica [A quo die] del 14 settembre 1758, diretta a tutti i Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi della Chiesa Cattolica: «Vi prego: con lo Spirito del Signore siamo pieni di forza, di giustizia e di coraggio. Non lasciamo, a somiglianza di cani muti incapaci di latrare, che i Nostri greggi diventino una preda e le Nostre pecore il pasto d’ogni bestia selvatica; niente Ci trattenga dall’esporci ad ogni genere di combattimento per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Pensiamo attentamente a Colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori. Se ci arrestiamo davanti all’audacia dei malvagi, sono già crollate la forza morale dell’Episcopato e la divina e sublime potestà di governare la Chiesa; e non possiamo più continuare a considerarci, anzi non possiamo neanche più essere Cristiani, se temiamo le minacce e le insidie degli uomini perversi».
16. Ancora con insistenza invochiamo il vostro aiuto, carissimi in Cristo Figli Nostri Cattolici Principi che apprezziamo con tanto singolare e paterno amore. Perciò vi richiamiamo alla memoriale parole che Leone il Grande (di cui siamo successori nella dignità e, sebbene indegni, eredi del nome) rivolse per iscritto a Leone Imperatore: «Devi senza esitazione comprendere che il potere regale ti è stato affidato non solo per governare il mondo ma soprattutto per proteggere la Chiesa in modo che, reprimendo gli atti di empia audacia, tu possa difendere le sane istituzioni e restituire la pace a quelle sconvolte». Quanto al presente, la situazione è tale che per difendere non solo la Religione Cattolica ma altresì l’incolumità vostra e dei popoli soggetti alla vostra autorità, dovete reprimere quelle sette. Infatti la causa della Religione, soprattutto in quest’epoca, è talmente congiunta alla salvezza della società, che in nessun modo può essere separata l’una dall’altra. Infatti coloro che aderiscono a quelle sette sono non meno nemici della Religione che del vostro potere. Aggrediscono l’una e l’altro, meditano di abbattere l’una e l’altro. E certo non consentirebbero, potendo, che la Religione o il potere regale sopravvivessero.
17. Tanta è la scaltrezza di questi uomini astuti che quando danno la rassicurante impressione di essere intenti ad ampliare il vostro potere, proprio allora mirano a sovvertirlo. Infatti essi impartiscono molti insegnamenti per convincere che il potere Nostro e dei Vescovi deve essere ridotto e indebolito, e che ad essi devono essere trasferiti molti diritti, sia tra quelli che sono propri di questa Cattedra Apostolica e Chiesa principale, sia tra quelli che appartengono ai Vescovi che sono stati chiamati a far parte della Nostra sollecitudine. Quei settari insegnano tali dottrine non solo per l’odio truce di cui ardono contro la Religione, ma anche perché hanno la speranza che le genti soggette al vostro magistero, se per caso si avvedono che sono violati i confini posti alle cose sacre da Cristo e dalla Chiesa da Lui fondata, facilmente si inducano, con questo esempio, a sovvertire e distruggere anche la forma del regime politico.
18. Anche a voi tutti, o figli diletti che professate la Religione Cattolica, Ci rivolgiamo con la Nostra esortativa preghiera. Evitate con curagli uomini che chiamano luce le tenebre e le tenebre luce. Infatti, quale vera utilità potrebbe a voi derivare dal consorzio con uomini che ritengono di non tenere in alcun conto Iddio né tutte le più alte potestà? Essi, tramando in segrete adunanze, tentano di fare la guerra, e sebbene in pubblico e dovunque proclamino di essere amantissimi del bene pubblico, della Chiesa e della società, tuttavia in ogni loro impresa hanno dimostrato di voler sconvolgere e sovvertire ogni cosa. Essi sono simili a quegli uomini ai quali San Giovanni (2Gv 10) comanda di non offrire ospitalità né di rivolgere il saluto; a quegli uomini che i Nostri antenati non esitarono a chiamare primogeniti del diavolo. Guardatevi dunque dalle loro lusinghe e dai discorsi di miele con cui cercheranno di convincervi a dare il vostro nome a quelle sette di cui essi stessi fanno parte. Abbiate per certo che nessuno può aggregarsi a quelle sette, senza essere colpevole di gravissima ignominia; allontanate dalle vostre orecchie i discorsi di coloro i quali, pur di ottenere il vostro assenso ad iscrivervi ai gradi inferiori delle loro sette, affermano risolutamente che in quei gradi nulla si sostiene che sia contrario alla Religione; anzi, che nulla vi si comanda o si compie che non sia santo, che non sia onesto, che non sia puro. Inoltre quel nefando giuramento che è già stato ricordato e che deve essere prestato anche per essere ammessi ai gradi inferiori, basta di per sé solo a farvi comprendere che è un delitto anche iscriversi a quei gradi meno impegnativi e partecipare ad essi. Inoltre, sebbene ad essi non siano affidate, di solito, le imprese più torbide e scellerate, in quanto non sono ancora saliti ai gradi superiori, appare però evidente che la forza e l’ardire di queste perniciose società crescono con il consenso e il numero di coloro che vi si sono aggregati. Pertanto anche coloro che non hanno oltrepassato i gradi inferiori, devono essere considerati complici di quei delitti. E anche su di essi ricade quella sentenza dell’Apostolo: «Coloro che commettono tali delitti sono degni di morte, e non solo coloro che li commettono ma anche coloro che approvano chi li compie» (Rm 1,28-29).
19. Infine, con amore profondo chiamiamo a Noi coloro che, dopo aver ricevuto la luce e aver assaporato il dono celeste ed essere fatti partecipi dello Spirito Santo, sono poi miseramente caduti e seguono quelle sette sia che si trovino nei gradi inferiori di esse, sia nei superiori. Infatti, facendo le veci di Colui che dichiarò di non essere venuto per chiamare i giusti ma i peccatori (e si paragonò al pastore che, lasciato il resto del gregge, cerca ansiosamente la pecora che ha smarrito) li esortiamo e li scongiuriamo di ritornare a Cristo. Sebbene si siano macchiati del più grave delitto, non devono tuttavia disperare della clemenza e della misericordia di Dio e di Gesù Cristo Suo Figlio. Ritrovino dunque se stessi, alfine, e di nuovo si rifugino in Gesù Cristo che ha patito anche per loro e che non solo non disprezzerà il loro ravvedimento ma anzi, come un padre amoroso che già da tempo aspetta i figli prodighi, li accoglierà con sommo gaudio. Invero Noi, per incoraggiarli quanto più possiamo e per aprire ad essi una più agevole via alla penitenza, sospendiamo per lo spazio di un intero anno (dopo la pubblicazione di questa lettera apostolica nella regione in cui dimorano) sia l’obbligo di denunciare i loro compagni di setta, sia la riserva delle censure nelle quali sono incorsi dando il loro nome alle sette; e dichiariamo che essi, anche senza aver denunciato i complici, possono essere assolti da quelle censure ad opera di qualunque confessore, purché sia nel numero di coloro che sono approvati dagli Ordinari del luogo ove dimorano. Decidiamo inoltre di usare la stessa condiscendenza verso coloro che per caso si trovano nell’Urbe. Se poi qualcuno di essi a cui è rivolto il Nostro discorso sarà così ostinato (e non lo permetta Iddio, padre delle misericordie!) da lasciar passare quello spazio di tempo che abbiamo fissato senza abbandonare le sette per ravvedersi davvero, trascorso quel tempo, tosto avrà effetto contro di lui l’obbligo di denunciare i complici e la riserva delle censure, né potrà ottenere l’assoluzione se non da Noi o dai Nostri Successori o da coloro che avranno ottenuto dalla Sede Apostolica la facoltà di assolvere dalle censure stesse.
20. Vogliamo inoltre che ai transunti, anche stampati, della presente Nostra lettera, sottoscritti di pugno da qualche pubblico Notaio e muniti del sigillo di persona investita di dignità ecclesiastica, si presti quella fede stessa che si concederebbe alla lettera originale se fosse presentata o mostrata.
21. Perciò a nessuno sia lecito violare o contestare con temeraria arroganza questo testo della Nostra dichiarazione, condanna, conferma, innovazione, mandato, proibizione, invocazione, ricerca, decreto e volontà. Se qualcuno osasse compiere un simile attentato, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei Beati Apostoli Pietro e Paolo.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 13 marzo dell’anno dell’Incarnazione del Signore 1825, nell’anno secondo del Nostro Pontificato.
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana