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LONGINQUA OCEANI

EPISTOLA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII

 

Ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi degli Stati Confederati dell’America Settentrionale.

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Valichiamo col cuore e col pensiero le sterminate distanze dell’oceano, e sebbene vi abbiamo scritto altre volte, specialmente quando invirtù della Nostra autorità abbiamo spedito lettere encicliche a tutti i Vescovi dell’orbe cattolico, tuttavia abbiamo deliberato di parlare a voi particolarmente nell’intento di poter giovare, a Dio piacendo, agl’interessi della causa cattolica. E facciamo ciò con amore e cura grandissima perché stimiamo grandemente e amiamo il popolo americano, forte di giovanile vigore, nel quale scorgiamo potenziali progressi non solo di civile ma anche di cristiana grandezza.

Quando tutta la vostra nazione,poco tempo fa, celebrò con grato ricordo e con grande plauso, come era giusto, il quarto centenario della scoperta dell’America, anche Noi Ci associammo a voi con lo stesso animo e la stessa esultanza nel celebrare la memoria di quel felicissimo avvenimento. Né Ci parve sufficiente in quella circostanza fare voti per la vostra salute e la vostra grandezza restando assenti, ma desiderammo essere in qualche modo presenti alle vostre celebrazioni, e perciò volentieri vi abbiamo mandato un Nostro rappresentante.

Ciò che abbiamo fatto in quella ricorrenza tanto celebre, non lo abbiamo fatto senza ragione, perché la Chiesa, come una madre, abbracciò e strinse al seno la nazione americana, come vagisse nella culla, appena venuta alla luce. In verità, come altre volte abbiamo dimostrato, Colombo voleva cogliere specialmente dalle sue navigazioni e dalle sue fatiche questo frutto: aprire la via al Cristianesimo attraverso nuove terre e nuovi mari. Mirando costantemente a questo scopo, ovunque egli approdava, il suo primo pensiero era di piantare sulla spiaggia la santissima Croce. Come l’arca di Noè, galleggiando sulle acque del diluvio, portava in sé il germe di Israele e le reliquie del genere umano, nello stesso modo le navi di Colombo, affidandosi all’oceano, trasportarono il principio dei grandi Stati e il seme del Cattolicesimo nelle terre oltremare.

Quello che poi ne seguì non è qui il caso di ricordare in particolare. Certamente per opera del grande Ligure spuntò la luce del Vangelo per uomini ancora selvaggi che egli aveva scoperto. È abbastanza noto quanti Francescani, Domenicani e Gesuiti nei due secoli successivi hanno abitualmente navigato fino a codeste terre per assistere le colonie emigrate dall’Europa, ma prima di tutto e massimamente per convertire gl’indigeni dalla superstizione al cristianesimo, consacrando non raramente le loro fatiche con la testimonianza del sangue. I nuovi nomi assegnati a tante vostre città, fiumi, monti e laghi dicono, e chiaramente attestano, che le vostre origini sono impresse nelle orme che lasciò costà la Chiesa cattolica. E forse non accadde senza un particolare disegno della divina provvidenza quanto qui ricordiamo: cioè fu canonicamente istituita presso di voi la gerarchia ecclesiastica, allorché le colonie americane, con l’aiuto dei cattolici, acquistarono libertà e potere, ed onorarono una repubblica fondata sul diritto: nello stesso periodo nel quale il suffragio popolare chiamò il grande Washington al governo della Repubblica, per autorità apostolica venne anche insediato il primo Vescovo della Chiesa Americana. L’amicizia poi e il tratto familiare notoriamente intercorsi fra l’uno e l’altro stanno ad indicare l’opportunità che codeste comunità confederate siano legate alla Chiesa cattolica da concordia ed amicizia. E ciò non senza ragione. Infatti lo Stato non può reggersi se non con i buoni costumi, e questo acutamente vide e proclamò quel vostro concittadino che poco fa abbiamo nominato, nel quale era tanta la forza d’ingegno e di prudenza civile.

Ma è soprattutto la religione che sostiene nel modo migliore la moralità,perché essa è custode e vindice per sua natura di tutti i princìpi dai quali derivano i doveri, e proponendoci le più valide ragioni ad operare, ci comanda di vivere con virtù, e condanna la colpa.

Ora che altro è la Chiesa se non una legittima società istituita per volere e comando di Gesù Cristo per tutelare la santità dei costumi e la religione? Per questo motivo, come spesso dalla sublimità del Pontificato Ci siamo sforzati di persuadere, la Chiesa, anche se per se stessa e per sua natura mira alla salvezza delle anime e al conseguimento della celeste felicità, tuttavia anche nelle cose terrene arreca tanti e tali beni, quali di più e maggiori non si potrebbe, se fosse stata principalmente ed esclusivamente istituita per la conservazione del benessere in questa vita terrena.

Non c’è nessuno che non possa rendersi conto del progressivo, veloce cammino del vostro Stato verso condizioni migliori; ciò anche nelle cose che riguardano la religione. Infatti,come gli Stati nel giro di un solo secolo sono cresciuti in modo rilevante di agi e di potenza, così vediamo che la Chiesa, da piccolissima e fragile, è divenuta rapidamente grande e fiorente. Ora se da un lato l’aumentata ricchezza e potenza degli Stati vengono meritamente attribuite all’ingegnosità e alla instancabile operosità del popolo americano, dall’altro lato la fiorente condizione del cattolicesimo va attribuita alla virtù, allo zelo e alla prudenza dei Vescovi e del Clero, e in secondo luogo alla fede e alla munificenza dei cattolici. E così, grazie al valido concorso di ogni ordine di cittadini, si è potuto fondare un gran numero di pie e benefiche istituzioni: chiese, scuole per l’istruzione e l’educazione dei fanciulli, collegi per gli studi superiori, ricoveri per i poveri,ospedali e conventi. Per quello che riguarda più da vicino la cultura dello spirito, che consiste nell’esercizio delle virtù cristiane, abbiamo avuto notizia di tante iniziative che Ci riempiono di speranza e di gioia. Sappiamo che va gradatamente crescendo di numero tanto il Clero secolare come il regolare; che sono apprezzati i Collegi diretti da pii sodalizi e sono in fiore le scuole parrocchiali, le domenicali per l’insegnamento del catechismo e le estive, le società di mutuo soccorso, quelle di pubblica beneficenza contro la povertà, quelle della temperanza: a tutto questo si aggiungono molte altre prove della pietà popolare.

A questa felice situazione contribuiscono senza dubbio gli ordini e i decreti dei vostri Sinodi, specialmente di quelli che più recentemente l’autorità della Sede Apostolica convocò e approvò. Ma, oltre a ciò, Ci piace riconoscere quanto è vero: l’America vive grazie alla saggezza delle sue leggi e delle consuetudini di uno Stato ben costituito. Infatti presso di voi è concesso alla Chiesa, senza alcun provvedimento contrario dello Stato, senza alcuna pastoia delle leggi, difesa anzi contro ogni violenza dal diritto comune e dalla giustizia dei tribunali,di poter vivere e operare sicura senza ostacoli. Tuttavia, anche se queste cose sono vere, si deve combattere l’errore di chi ne deduce di dover prendere dall’America un modello dell’ottimo stato della Chiesa; ovvero essere lecito e giusto, generalmente parlando, che la Chiesa e lo Stato vadano disgiunti e separati secondo l’uso americano. Poiché infatti se nei vostri paesi la realtà cattolica è incolume, prospera e si dilata, ciò è frutto della fecondità concessa da Dio alla Chiesa, la quale,quando non è avversata, per forza propria cresce e si espande, mentre renderebbe frutti ancora più copiosi se, oltre la libertà, godesse anche il favore delle leggi e la protezione del pubblico potere.

Noi pertanto, per quanto lo permettevano i tempi, non abbiamo tralasciato di confermare e fondare più saldamente il cattolicesimo presso di voi. A tale scopo, come ben sapete, avemmo di mira principalmente due cose: la prima, promuovere lo studio delle dottrine; l’altra, rendere più efficiente il ministero della Chiesa. Perciò, sebbene si contassero varie ed insigni Università presso di voi, Ci parve tuttavia che fosse opportuno che ne esistesse un’altra, dipendente dalla Sede Apostolica, da Noi dotata di ogni legittimo diritto, nella quale insegnanti cattolici formassero gli studiosi dapprima nelle dottrine filosofiche e teologiche, poi, come il tempo e le circostanze lo permettessero, anche nelle altre materie e specialmente in quelle che la nostra età inventò o perfezionò. Infatti, ogni insegnamento diventa imperfetto se non vi si aggiunge la cognizione delle più recenti scoperte. Considerata questa viva corsa degli ingegni nell’ardente desiderio di sapere così ampiamente diffuso e tanto onesto e lodevole, è opportuno che i cattolici siano all’avanguardia e non restino indietro; perciò è necessario che si istruiscano in ogni ramo del sapere e si dedichino con grande impegno nella ricerca della verità e nell’indagine, se possibile, su tutta la natura. Questo fu in ogni tempo il desiderio della Chiesa, la quale tanto si adoperò per dilatare i confini delle scienze, quanto lo consentivano la sua possibilità e i suoi mezzi. Noi pertanto con la lettera spedita a Voi, Venerabili Fratelli, il 7 marzo 1889 fondammo a Washington, città capitale, la grande Università per la gioventù desiderosa di apprendere le scienze superiori dopo che voi stessi avevate indicato in maggioranza tale città come la sede più opportuna per gli studi di alto livello.

E Noi, parlandone in Concistoro ai Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa[1], dichiarammo che in quella Università si deve ritenere come legge che erudizione e dottrina vadano d’accordo con l’integrità della fede, e che i giovani vengano istruiti non meno nella religione che nelle scienze più elevate. Ordinammo quindi che al buon andamento degli studi nonché alla buona condotta degli allievi presiedessero i Vescovi delle città confederate, e conferimmo all’Arcivescovo di Baltimora — come si dice — il potere e la carica di Cancelliere. E gli inizi furono, grazie a Dio, abbastanza lieti. Infatti, senza indugi, mentre celebravate solennemente il centenario della introduzione della gerarchia ecclesiastica nella vostra patria, furono felicemente iniziati i sacri insegnamenti alla presenza del Nostro Legato. E da quel giorno, come Ci è noto, continuarono nell’insegnamento della teologia illustri insegnanti che sanno unire la fedeltà e l’ossequio alla Sede Apostolica, alla loro insigne dottrina. E non è molto tempo che abbiamo saputo di un pio e munifico sacerdote che ha costruito di sana pianta una casa per l’insegnamento delle scienze e delle lettere per giovani, sia chierici, sia laici. Dall’esempio di questo uomo confidiamo prendano coraggio altri cittadini per imitarlo, poiché conosciamo l’indole degli Americani — né essi stessi possono ignorarlo — i quali sanno che tutto quello che si spende in queste liberalità viene largamente compensato dal bene comune.

Tutti sanno altresì quale tesoro di dottrina e quanta ricchezza di civiltà la Chiesa di Roma ha diffuso in ogni tempo in tutta Europa istituendo o approvando tali Università. Oggi, pur tacendo degli altri, basta ricordare l’Università di Lovanio, dalla quale l’intiera nazione belga riceve quasi quotidianamente aumento di prosperità e di gloria. Uguale e simile abbondanza di vantaggi facilmente deriverà dall’Università di Washington, se insegnanti ed alunni (il che non dubitiamo) ubbidiranno alle Nostre direttive, e se gli uni e gli altri, messe da parte contese e partiti, acquisteranno stima dal popolo e dal Clero.

E qui vogliamo raccomandare alla vostra carità, Venerabili Fratelli, e alla beneficenza del popolo il Collegio di Roma destinato alla formazione ecclesiastica dei giovani dell’America settentrionale, fondato dal Nostro Predecessore Papa Pio IX e che Noi, con atto del 25 ottobre 1884, confermammo con legittima costituzione; tanto più che quell’Istituto non aveva deluso la comune aspettativa. Voi stessi siete testimoni che dopo poco tempo ne uscirono molti buoni sacerdoti e non mancarono fra essi coloro che per merito e dottrina giunsero alle più alte dignità. Pertanto riteniamo che voi farete opera egregia continuando a mandare in questo luogo scelti giovani, i quali possano crescere a speranza della Chiesa; le ricchezze intellettuali e le virtù morali che avranno accumulato a Roma, essi manifesteranno in patria e metteranno a servizio del bene comune.

Ugualmente mossi dall’amore che portiamo ai cattolici della vostra nazione fin dal principio del Nostro Pontificato, abbiamo pensato al terzo Concilio di Baltimora. Ed essendo poi venuti a Roma gli Arcivescovi da Noi invitati, abbiamo chiesto ad essi il loro comune parere; alla fine, con la Nostra Apostolica autorità e dopo matura considerazione, abbiamo stabilito di ratificare quello che a tutti i convenuti era parso giusto decretare a Baltimora. E se ne vide ben presto il frutto. Infatti l’esperienza confermò e tuttora conferma che quei decreti Baltimoresi sono proficui e molto adatti ai tempi. Fin da ora ne appare l’efficacia per stabilire la disciplina, eccitare diligenza e vigilanza nel Clero, tutelare e diffondere l’educazione cattolica della gioventù. E se Noi riconosciamo in queste cose, Venerabili Fratelli, il vostro zelo; se lodiamo la vostra costanza congiunta con la prudenza, non facciamo altro che rendervi giustizia. Comprendiamo benissimo che tanta abbondanza di frutti non poteva maturare se voi stessi non vi foste studiati di eseguire attivamente e fedelmente, secondo le vostre possibilità, quanto avevate sapientemente stabilito a Baltimora.

Però, terminato il Concilio di Baltimora, restava da coronare l’opera in modo adatto e conveniente: il che Ci parve di realizzare al meglio con la fondazione di una Legazione americana, che Noi stabilimmo, come ben sapete. Con questo fatto, come altre volte dichiarammo, Ci piacque innanzi tutto attestare che, nella stima e benevolenza Nostra, l’America tiene a buon diritto lo stesso posto delle altre nazioni, particolarmente fra le grandi e potenti. Poi mirammo anche a che si stringessero sempre più i vincoli di affetto e di buone relazioni che voi e tante migliaia di cattolici conservate con la Sede Apostolica. Infatti la popolazione cattolica comprese che il Nostro operato mirava al suo bene, ed era inoltre conforme agli usi e al modo di operare della Sede Apostolica. Per questa ragione, fin dalla più remota antichità i Pontefici Romani, avendo da Dio il sommo potere nell’amministrazione della Chiesa, sono soliti inviare loro rappresentanti all’estero, alle genti e ai popoli cristiani.

E ciò non per diritto acquisito, ma per diritto naturale, in quanto “il Pontefice Romano, a cui Cristo conferì il potere ordinario e immediato su tutte le singole Chiese e su tutti i singoli Pastori e fedeli[2], non potendo personalmente visitare ciascuna regione, né esercitare personalmente l’ufficio pastorale verso il gregge affidatogli, necessita talvolta, per il suo dovere di servizio, inviare suoi legati nelle diverse parti del mondo, come richiede il bisogno; tali legati, facendo le veci del Pontefice, correggano gli errori, appianino le difficoltà e amministrino i mezzi di salvezza alle popolazioni affidate alle loro cure[3].

Bando a quell’ingiusto e falso sospetto, se pure c’è, secondo il quale il potere conferito al Legato possa nuocere a quello dei Vescovi. I diritti di “coloro che lo Spirito Santo ha posto come Vescovi a reggere la Chiesa diDio” sono per Noi sacri più che a nessun altro; vogliamo e dobbiamo volere che rimangano inalterati presso ogni popolo e in ogni parte del mondo, specialmente perché la dignità di ogni Vescovo è di sua natura così legata con quella del Pontefice Romano che colui che difende l’una provvede anche all’altra. “Il mio onore è onore di tutta la Chiesa. Il mio onore è la forza e la fermezza dei miei fratelli. Allora io sono veramente onorato quando a nessuno di essi si nega il debito onore[4]. Pertanto, per quanto potere abbia il Legato Apostolico, essendo proprio di lui e del suo ufficio rappresentare il Papa che l’ha mandato, eseguirne gli ordini e interpretarne la volontà, è così lontano dal recare detrimento all’ordinaria autorità dei Vescovi, ché anzi le apporterà forza e vigore. La sua autorità avrà certamente molto peso per conservare nel popolo l’obbedienza, nel Clero la disciplina e il dovuto rispetto ai Vescovi, e fra i Vescovi la mutua carità e l’intima unione degli animi. La quale unione, tanto salutare e auspicabile, essendo specialmente riposta nella concordia del sentire e dell’operare, farà sì che ciascuno di voi continui a governare con diligenza le cose della propria diocesi; che nessuno impedisca all’altro di liberamente governare, né indaghi sulle intenzioni e i fatti altrui e che, tolto di mezzo ogni dissidio e rispettandosi a vicenda, tutti concorrano col massimo sforzo a promuovere uniti il decoro della Chiesa americana. Non si può esprimere a parole quanto gioverà non solo alla causa dei cattolici, ma anche alla edificazione degli altri, codesta concordia dei Vescovi, perché proprio allora riconosceranno che soltanto nell’ordine dell’Episcopato cattolico è stata realmente trasmessa l’eredità del divino apostolato.

Vi è ancora un’altra considerazione da fare. È parere di uomini saggi, come Noi stessi volentieri poc’anzi abbiamo espresso, che l’America sia destinata a un grande avvenire. Perciò Noi vogliamo che anche la Chiesa sia partecipe e cooperatrice della prevista grandezza. Senza dubbio riteniamo che sia doveroso e conveniente che anch’essa progredisca a gran passi con lo Stato, approfittando delle buone occasioni che le circostanze presentano, adoperandosi contemporaneamente a che il suo valore e le sue istituzioni giovino il più possibile allo sviluppo delle Comunità. Essa otterrà tanto più facilmente ambedue i vantaggi quanto più, con l’andar del tempo, sarà stabile ed ordinata. Ora, che altro è mai, o a che altro mira la Legazione di cui parliamo, se non a far sì che sia sempre più salda la posizione della Chiesa e meglio rafforzata la disciplina?

Stando così le cose, desideriamo vivamente che ogni giorno s’imprima con maggior forza negli animi dei cattolici che nessuno può provvedere meglio al proprio bene privato, né rendersi più benemerito della pubblica prosperità che assoggettandosi alla Chiesa e prestandole una spontanea e intera obbedienza. In questo essi hanno bisogno soltanto di una esortazione, perché già aderiscono spontaneamente e con lodevole perseveranza alle istituzioni cattoliche. E qui Ci piace ricordare una cosa di grande importanza e decisamente salutare sotto ogni aspetto: una cosa che nella fede e nei costumi è in genere considerata religiosamente presso di voi, come è giusto; intendiamo riferirCi al dogma cristiano dell’unità e indissolubilità del matrimonio; dogma nel quale si trova la massima garanzia di sicurezza non solo per la comunità domestica, ma anche per il civile consorzio. Molti vostri concittadini, anche fra coloro che da noi discordano nelle altre cose, ammirano ed approvano la dottrina e il costume cattolico su questo punto, preoccupati come sono dalla licenza dei divorzi. Essi sono indotti a pensare in questo modo non soltanto da amor di patria, ma anche da rettitudine di giudizio. Infatti non si può immaginare una peste più micidiale per la società, che volere solubile quel vincolo che una legge divina ha voluto perpetuo e indissolubile.

Per causa dei divorzi si rendono mutabili le nozze; si diminuisce la mutua benevolenza; si danno pericolosi eccitamenti alla infedeltà; si reca pregiudizio al benessere e all’educazione dei figli; si offre occasione allo scioglimento delle comunità domestiche; si diffondono i semi delle discordie tra le famiglie; si diminuisce e si abbassa la dignità delle donne, le quali, dopo aver servito alla libidine degli uomini, corrono il rischio di rimanere abbandonate. E poiché per distruggere le famiglie e abbattere la potenza dei regni niente ha maggior forza che la corruzione dei costumi, è opportuno conoscere che contro la prosperità delle famiglie e delle nazioni sono funestissimi i divorzi[5].

Parlando della società civile, tutti sanno notoriamente che in una repubblica popolare, quale è la vostra, importa assai che i cittadini siano onesti e costumati. In una società libera, se la giustizia non è custodita davanti a tutti e fatta rispettare, se il popolo non è richiamato spesso e con premura all’osservanza dei precetti evangelici, la stessa libertà può risultare pericolosa. Tutti quegli ecclesiastici che si dedicano all’istruzione del popolo trattino chiaramente questo argomento dei doveri del cittadino, affinché tutti comprendano e siano persuasi che in ogni ufficio della vita civile occorre osservare fedeltà, disinteresse, onestà: non si può credere lecito nell’amministrazione pubblica quello che è disonesto nel privato. Intorno a questa materia — come sapete — i cattolici troveranno molte indicazioni da seguire e mettere in pratica nelle stesse encicliche che sovente, durante il Nostro supremo Pontificato, siamo venuti pubblicando. In tali documenti abbiamo trattato della libertà umana, dei principali doveri dei cristiani, del governo civile e della cristiana costituzione degli Stati, secondo i principi che si ricavano sia dal Vangelo, sia dalla ragione. Pertanto, coloro che vogliono essere buoni cittadini ed esercitare fedelmente i loro doveri, potranno facilmente attingere dalle Nostre lettere le regole dell’onestà. Anche i sacerdoti insistano nel ricordare al popolo gli statuti del terzo Concilio Baltimorese, specialmente quelli che trattano della virtù della temperanza, della educazione cattolica della gioventù, dell’uso frequente dei Sacramenti, dell’obbedienza alle giuste leggi e agli statuti dello Stato.

Anche nell’aderire a società particolari bisogna essere molto cauti, per non cadere in errore. Intendiamo parlare specificamente degli operai, i quali hanno certamente diritto di stringersi in sodalizi per averne benefìci: lo consente la Chiesa, è un diritto naturale; ma importa assai con quale sorta di persone si associano, affinché, dove cercano aiuto per migliorare le loro condizioni, non trovino invece da mettere a repentaglio interessi d’un ordine molto più alto. Per evitare tale pericolo facciano il fermo proposito di non consentire mai che in nessun momento e in nessuna occasione si abbandoni la giustizia. Se c’è dunque qualche organizzazione che sia diretta da uomini non saldamente ancorati alla giustizia, né amici della religione, e che obbligano a prestar loro obbedienza, tale sodalizio potrà portare molti danni privati e pubblici, ma nessun vantaggio. Ne deriva come conseguenza che occorre evitare non solo le società apertamente condannate dalla Chiesa, ma anche quelle che, a giudizio delle persone prudenti e specialmente dei Vescovi, sono sospette e pericolose.

Anzi, per custodire meglio la purezza della fede, i cattolici devono associarsi preferibilmente con i cattolici, a meno che la necessità non richieda altrimenti. E quando sono uniti in società, facciano sì che alla loro testa ci siano sacerdoti o laici probi e autorevoli; attenendosi ai loro consigli, curino di prendere ed eseguire pacatamente quei provvedimenti che tornino loro più vantaggiosi, tenendo per norma specialmente le istruzioni che Noi abbiamo date nell’enciclica Rerum novarum. Ma ricordino sempre che è cosa buona e lodevole tutelare i diritti del popolo, a patto però di non trascurare i doveri. Doveri fondamentali sono: non toccare le cose d’altri; lasciare a ciascuno libertà nelle cose sue; non impedire a nessuno di prestare l’opera sua dove e quando gli piace. I disordini violenti e tumultuosi accaduti l’anno scorso nella vostra patria, vi avvertono che anche l’America è minacciata dall’audacia terribilmente disastrosa di nemici. Dunque le stesse circostanze dei tempi spronano i cattolici ad adoperarsi per la comune tranquillità, ad osservare quindi le leggi, ad astenersi dalla violenza, a non pretendere più di quello che l’equità o la giustizia possano consentire.

A questo intento possono cooperare assai coloro che si sono dati al lavoro di scrittori, specialmente quelli che operano nei giornali quotidiani. Non ignoriamo che in questa palestra faticano molte persone egregiamente preparate, l’attività delle quali è più degna di lode che bisognosa di stimolo. Ma essendo tra voi così grande il desiderio di leggere e sapere, e questo potendo diventare un’ampia sorgente di beni o di mali, bisogna fare ogni sforzo per accrescere il numero dei buoni e bravi scrittori, che abbiano per guida la fede religiosa e per compagna la probità. E ciò in America appare anche più necessario per la convivenza e la promiscuità fra cattolici e dissidenti; il che fa sì che i nostri abbisognino di somma cautela e di singolare costanza. È necessario istruirli, ammonirli, confortarli, incitarli a coltivare le virtù e ad osservare fedelmente i doveri verso la Chiesa in mezzo a tanti pericoli. Certamente, curare tali cose ed occuparsi di esse è dovere proprio e fondamentale del Clero: ma le circostanze dei tempi e dei luoghi richiedono che anche i giornalisti vi prendano parte attiva e combattano per la stessa causa con tutte le loro forze. Riflettano però seriamente che la loro opera di scrittori sarà poco utile alla religione, se non dannosa, se mancherà la concordia degli animi e non saranno tutti rivolti allo stesso scopo. Coloro che vogliono servire utilmente la Chiesa, coloro che si propongono davvero di promuovere con la penna gl’interessi cattolici, debbono combattere uniti, in schiere compatte, poiché se alcuni, con la discordia, disperdono le forze, sembrano operare più dalla parte dei nemici che dei difensori. Nello stesso modo gli scrittori cambiano la loro attività, da virtuosa e salutare, in velenosa e deleteria ogni volta in cui ardiscono sottoporre al proprio sindacato i provvedimenti e le azioni dei Vescovi, e riprenderli e criticarli senza il dovuto rispetto, senza pensare al grave disordine che provocano e ai tanti mali che ne derivano. Si ricordino sempre del loro dovere e pertanto non oltrepassino mai i confini della moderazione. Ai Vescovi, collocati in altissimo grado di autorità, si deve obbedienza e si deve adeguato rispetto alla grandezza e alla santità del loro grado. Codesto rispetto, al quale nessuno può sottrarsi, “deve essere chiaro, evidente ed esemplare, specialmente da parte dei giornalisti cattolici. Infatti i giornali, prodotti appunto per essere largamente diffusi, corrono ogni giorno per le mani di tutti, e non è piccola l’influenza che essi esercitano sulle opinioni e sui costumi delle moltitudini[6]. Noi stessi abbiamo spesso prescritto molte norme sui doveri del bravo scrittore; molte norme sono pure state stabilite di comune accordo dal terzo Concilio Baltimorese e poi rinnovate dagli Arcivescovi che nel 1893 sono convenuti a Chicago. I cattolici si imprimano dunque nel cuore questi documenti Nostri e vostri e si persuadano che a norma di essi deve essere regolata tutta la loro opera di scrittori, se vogliono, come debbono, fare tutto il loro dovere.

Il Nostro pensiero già si svolge a coloro che nella fede cristiana dissentono da Noi. Chi di essi vorrà negare che una gran parte di loro dissente più per consuetudine ereditaria che per deliberato proposito? Quanta sollecitudine Noi abbiamo della loro salvezza e con quanto ardore desideriamo il loro ritorno in seno alla Chiesa, madre comune di tutti, lo abbiamo ultimamente dichiarato nella Nostra Lettera Apostolica “Praeclara”. E non perdiamo la speranza: è presente e ci segue Colui cui obbediscono tutte le cose e che offrì la sua vita “per radunare insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,52). Certamente non dobbiamo abbandonarli, non dobbiamo lasciarli in balìa di se stessi, ma con dolcezza e carità grandissima attirarli a noi, persuadendoli in tutti i modi affinché si applichino a studiare a fondo tutte le parti della dottrina cattolica e a spogliarsi dei pregiudizi. E se in quest’opera il primo compito è dei Vescovi e del Clero, il secondo è dei laici, che possono sempre aiutare l’opera apostolica del Clero con la probità dei costumi e con l’integrità della vita. Grande infatti è la forza dell’esempio, specialmente su coloro che cercano di cuore la verità e che per una certa naturale virtù sono onesti: molti fra voi sono di tal fatta. Se lo spettacolo delle virtù cristiane tanto poté sui pagani accecati da un’antica superstizione, come ci attestano i documenti scritti, forse nulla varrà a sradicare gli errori in coloro che sono già iniziati nel cristianesimo?

Infine non possiamo passare sotto silenzio coloro la cui diuturna infelicità implora e sollecita il soccorso degli uomini apostolici; vogliamo dire gl’Indiani e i Negri che vivono nelle regioni americane e che per la maggior parte non hanno rigettato le tenebre della superstizione. Che grande campo da coltivare! Quanto popolo a cui portarei benefìci della Redenzione di Gesù Cristo!

Frattanto, auspice dei celesti doni e come testimonianza della Nostra benevolenza, a voi, Venerabili Fratelli, al Clero e al vostro popolo impartiamo con grande affetto l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 6 gennaio, Epifania del Signore, dell’anno 1895, decimosettimo del Nostro Pontificato.

 

LEONE PP. XIII

 

[1] Die XXX Decembr. an. MDCCCLXXXIX.

[2] Conc. Vat., Sess. IV, c.3.

[3] Cap. un. Extravag. Comm. De Consuet. I.1.

[4] S.Gregorius, Epist. ad Eulog. Alex., lib. VIII, ep. 30.

[5] Enc. Arcanum divinae.

[6] Ep. Cognita Nobis ad Archiepp. et Epp. Provinciarum Taurinen. Mediolanen. Vercellen., XXV Ian. an.MDCCCLXXXII.



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