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CATHOLICAE ECCLESIAE

LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII

 

Ad ogni Vescovo del mondo cattolico.
Il Papa Leone XIII. Venerabile Fratello, salute e Apostolica Benedizione.

La Chiesa cattolica, che abbraccia tutti gli uomini con carità di madre, quasi nulla ebbe più a cuore, fin dalle sue origini, come tu sai, Venerabile Fratello, che di vedere abolita e totalmente eliminata la schiavitù, che sotto un giogo crudele teneva moltissimi fra i mortali. Infatti, diligente custode della dottrina del suo Fondatore, che personalmente e con la parola degli Apostoli aveva insegnato agli uomini la fratellanza che li stringe tutti insieme, come coloro che hanno una medesima origine, sono redenti con lo stesso prezzo, e sono chiamati alla medesima eterna beatitudine, la Chiesa prese nelle proprie mani la causa negletta degli schiavi, e fu la garante imperterrita della libertà, sebbene, come richiedevano le circostanze e i tempi, si impegnasse nel suo scopo gradualmente e con moderazione. Cioè, procedeva con prudenza e discrezione, domandando costantemente ciò che desiderava nel nome della religione, della giustizia e della umanità; con ciò fu grandemente benemerita della prosperità e della civiltà delle nazioni.

Nel corso dei secoli non rallentò mai la sollecitudine della Chiesa nel ridonare la libertà agli schiavi; anzi, quanto più fruttuosa era di giorno in giorno la sua azione, tanto più aumentava nel suo zelo. Lo attestano documenti inconfutabili della storia, la quale per tale motivo designò all’ammirazione dei posteri parecchi Nostri antecessori, fra i quali primeggiano San Gregorio Magno, Adriano I, Alessandro III, Innocenzo III, Gregorio IX, Pio II, Leone X, Paolo III, Urbano VIII, Benedetto XIV, Pio VII, Gregorio XVI, i quali posero in opera ogni cura perché l’istituzione della schiavitù, dove esisteva, venisse estirpata, e là dove era stata sterminata non rivivessero più i suoi germi.

Una così gloriosa eredità, lasciataci dai Nostri predecessori, non poteva essere ripudiata da Noi, per cui non abbiamo tralasciato alcuna occasione che Ci si offrisse di biasimare apertamente e di condannare questo flagello della schiavitù; espressamente ne abbiamo trattato nella epistola scritta il 5 maggio 1888 ai Vescovi del Brasile, con la quale Ci siamo congratulati per quanto essi avevano con lodevole esempio operato pubblicamente in quel paese per la libertà degli schiavi, e insieme abbiamo dimostrato quanto la schiavitù si opponga alla religione ed alla dignità dell’uomo.

Invero, quando scrivevamo tali cose, Ci sentivamo fortemente commossi per la condizione di coloro che sono soggetti all’altrui dominio; e molto più raccapriccio provammo al racconto delle tribolazioni da cui sono oppressi tutti gli abitanti di alcune regioni del centro dell’Africa. È cosa dolorosa ed orrenda constatare, come abbiamo saputo da sicure informazioni, che quasi quattrocentomila Africani, senza distinzione di età e di sesso, ogni anno sono violentemente rapiti dai loro miseri villaggi, dai quali, legati con catene e percossi con bastoni durante il lungo viaggio, sono portati ai mercati dove, come bestie, sono messi in mostra e venduti.

Di fronte alle testimonianze di coloro che videro queste cose e alle recenti conferme di esploratori dell’Africa equatoriale, Ci siamo accesi dal vivo desiderio di venire, secondo le Nostre forze, in aiuto di quegli infelici e di recare sollievo alla loro sventura. Perciò, senza indugio, abbiamo incaricato il diletto Nostro figlio Cardinale Carlo Marziale Lavigerie, di cui Ci sono noti l’energia e lo zelo Apostolico, di andare per le principali città dell’Europa a far conoscere l’ignominia di questo turpissimo mercato e ad indurre i Principi e i cittadini a portare soccorso a quelle infelicissime popolazioni.

Noi dobbiamo rendere grazie a Cristo Signore, Redentore amantissimo di tutte le genti, il quale nella sua benignità non permise che le Nostre sollecitudini andassero perdute, ma volle che riuscissero quasi come seme affidato a suolo fecondo, che promette una copiosa raccolta. Infatti i Reggitori dei popoli e i cattolici di tutto il mondo, e tutti coloro che rispettano i diritti delle genti e della natura, gareggiarono nell’indagare quali mezzi soprattutto siano necessari per sradicare del tutto quel commercio inumano. Un solenne Congresso tenuto testé a Bruxelles, al quale convennero i Legati dei Principi d’Europa, e una recente assemblea di privati, che col medesimo intento e con generosi propositi si radunarono a Parigi, dimostrano chiaramente che la causa dei Negri sarà difesa con quella energia e quella costanza che richiede la mole delle sciagure da cui quei miseri sono oppressi. È per questo che non vogliamo trascurare la nuova occasione che si presenta di rendere le meritate lodi e i ringraziamenti ai Principi d’Europa e agli altri personaggi di buona volontà: al sommo Dio domandiamo fervidamente che voglia dare felice riuscita ai loro disegni ed all’impianto di una così grande impresa.

Ma, oltre alla cura di difendere la libertà, un’altra cura più grave, più da vicino riguarda il Nostro ministero Apostolico, quella cioè che impone di adoperarci perché nelle regioni dell’Africa si propaghi la dottrina del Vangelo, che con la luce della verità divina illumini quelle popolazioni giacenti nelle tenebre e oppresse da cieca superstizione, affinché diventino con noi partecipi dell’eredità del regno di Dio. Questo impegno poi lo curiamo con tanto maggior zelo, in quanto quei popoli, ricevuta la luce evangelica, scuoteranno da sé il giogo della schiavitù umana. Infatti, dove sono in vigore i costumi e le leggi cristiane; dove la religione insegna agli uomini a rispettare la giustizia e a onorare la dignità umana; dove ampiamente si diffuse quello spirito di carità fraterna, che Cristo c’insegnò, quivi non può esistere né schiavitù, né ferocia, né barbarie; ma fioriscono la soavità dei costumi e la libertà cristiana accompagnata dalla civiltà.

Già parecchi uomini Apostolici, quasi avanguardia di Cristo, sono andati in quelle regioni dove, per la salute dei fratelli, diedero non solo il sudore, ma anche la vita. Tuttavia la messe è molta, ma gli operai sono pochi; per cui è necessario che moltissimi altri, animati dallo stesso spirito di Dio, senza timore alcuno né di pericoli, né di disagi, né di fatiche, vadano in quelle regioni dove si esercita quel vergognoso commercio, per recare ai loro abitanti la dottrina di Cristo congiunta alla vera libertà.

Però un’impresa di tanta gravità domanda mezzi pari alla sua ampiezza. Infatti non si può provvedere senza grandi disponibilità all’Istituto dei missionari, ai lunghi viaggi, alla costruzione delle residenze, alla erezione e alla dotazione delle chiese e ad altre simili cose necessarie: dovremo sostenere tali spese per alcuni anni, finché, in quei luoghi dove si saranno fissati, i predicatori del Vangelo possano provvedere autonomamente. Dio volesse che Noi avessimo i mezzi con cui poter sostenere questo peso! Ma ostando ai Nostri voti le gravi angustie nelle quali Ci troviamo, con paterna voce Ci appelliamo a te, Venerabile Fratello, a tutti gli altri Vescovi e a tutti i cattolici, e raccomandiamo alla vostra e alla loro carità una così santa e salutare opera. Infatti desideriamo che tutti partecipino, anche con una piccola offerta, affinché il peso, diviso fra molti, diventi più leggero e tollerabile da tutti, e perché in tutti si diffonda la grazia di Cristo, trattandosi della propagazione del suo regno, e a tutti arrechi la pace, il perdono dei peccati e qualunque dono più prezioso.

Decidiamo pertanto che ogni anno, nel giorno e dove si celebrano i misteri dell’Epifania, venga raccolto denaro come offerte a favore dell’Opera ora ricordata. Scegliamo questo giorno solenne a preferenza degli altri, perché, come bene intendi, Venerabile Fratello, in quel giorno il Figlio di Dio per la prima volta si palesò alle genti, mentre si fece conoscere ai Magi, i quali perciò da San Leone Magno, Nostro antecessore, sono appunto chiamati le primizie della nostra vocazione e della fede. Speriamo pertanto che Cristo Signore, commosso dalla carità e dalle preci dei figli, i quali ricevettero la luce della verità con la rivelazione della sua divinità, illumini pure quella infelicissima parte del genere umano e la tolga dal fango della superstizione e dalla dolorosa condizione, in cui da tanto tempo giace avvilita e trascurata.

Vogliamo poi che il denaro raccolto in detto giorno nelle chiese e nelle cappelle soggette alla tua giurisdizione, sia trasmesso a Roma alla Sacra Congregazione di Propaganda. Sarà poi compito di essa ripartire questo denaro tra le Missioni che esistono o verranno istituite nelle regioni Africane, soprattutto per estirpare la schiavitù; il riparto sarà fatto in modo che le somme di denaro provenienti dalle nazioni che hanno proprie Missioni cattoliche per redimere gli schiavi, come ricordammo, vengano assegnate a mantenere e a promuovere le stesse. La rimanente elemosina sia poi ripartita con prudente criterio fra le più bisognose dalla stessa Sacra Congregazione, la quale conosce i bisogni delle Missioni.

Non dubitiamo che Dio, ricco in misericordia, accolga benignamente i voti che formuliamo per gli infelici Africani, e che tu, Venerabile Fratello, ti adopererai spontaneamente con la volontà e con il tuo lavoro perché siano abbondantemente soddisfatti questi propositi. Confidiamo inoltre che con questo temporaneo e speciale soccorso, che i fedeli daranno per abolire la piaga del traffico disumano e per sostentare i banditori del Vangelo nei luoghi dove essa esiste, non diminuirà la liberalità con la quale si sogliono promuovere le Missioni cattoliche con l’elemosina raccolta dall’Istituto che, fondato a Lione, fu detto della Propagazione della Fede. Quest’opera salutare, che già raccomandammo ai fedeli, presentandosene l’opportunità elogiamo nuovamente, desiderando che largamente estenda i suoi benefici e fiorisca in lieta prosperità.

Intanto, Venerabile Fratello, a te, al clero e ai fedeli affidati alla tua pastorale vigilanza, affettuosissimamente impartiamo la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 novembre 1890, anno decimoterzo del Nostro Pontificato.

 

LEONE PP.XIII



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