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PAOLO VI

ANGELUS DOMINI

Domenica, 22 novembre 1970

 

Abbiamo tante cosa da raccomandare alla vostra preghiera. Prima fra esse, la grande sciagura del Pakistan: dobbiamo comprensione a tanto dolore, a tanta rovina, a tanta fatica per dare alla zona devastata qualche soccorso e per ridarle qualche normalità di vita. Noi stiamo studiando se ci sia possibile tecnicamente farci una breve sosta, nel Nostro viaggio a Manila, città fin d’ora presente nel Nostro cuore, la quale pure è stata colpita in questi giorni da altro ciclone, non certo di pari gravità, ma tuttavia con vittime e danni non pochi.
Poi la scena del mondo: pace e guerra s’intrecciano e vi si alternano, e la rendono drammatica; la speranza sembra tuttavia avere il sopravvento su le tante delusioni circa il pacifico progresso del mondo.
E per questa Italia, così piena di aspirazioni e di attività, ma così inquieta e divisa anche per cause che coinvolgono rilevantissimi interessi religiosi, morali e sociali, quanta maggiore e affettuosa attenzione non dovremo avere noi tutti in questo periodo?

E poi la vita della Chiesa. Essa conclude quest’oggi il ciclo annuale della sua preghiera liturgica con la festa di Cristo Re; vuol dire col richiamo alla concezione dominante tutto il Vangelo, ch’è appunto «il Vangelo del regno», cioè del piano divino di salvezza e di elevazione soprannaturale, che Dio stesso ha ideato di sovrapporre all’ordine temporale della vita naturale dell’uomo, cioè al regno delle cose terrestri e secolari. Fra i due regni vi può essere equivoco, cioè emulazione e contrasto, tanto che Cristo fu riconosciuto il Re messianico del suo popolo, quando fu messo in croce. Ma l’equivoco, sempre ricorrente nella storia, non avrebbe ragione d’essere, perché, lo ha detto Cristo stesso, il suo regno non è di questo mondo, e non fa concorrenza a nessun potere terreno. E dovrebbe invece, questo regno, che altro non è se non il Vangelo, la lieta novella che apre agli uomini il «regno dei cieli», il regno superiore della giustizia e dell’amore, il regno della comunione con Dio e con gli uomini fratelli, dovrebbe, diciamo, riempire i nostri animi di entusiasmo e di speranza.
Non perdiamo nulla di tutte queste cose, che devono rendere più convinta e più intensa la nostra preghiera.

 



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