PAOLO VI
ANGELUS DOMINI
Domenica, 16 gennaio 1972
Noi vogliamo ricordare ai Romani, e del resto a tutti i fedeli della Chiesa latina e greca, che in questa settimana, e precisamente il giorno 21, si celebra la festa di Sant’Agnese, una fanciulla romana, una delle più illustri e venerate sante della Chiesa, che subì il martirio in difesa della sua castità (ag-né, in greco significa appunto casta, pura) all’inizio del quarto secolo, e forse prima; e tale fu l’impressione allora prodotta dalla uccisione inumana di questa innocente e fragile creatura, vittima della propria fortezza e della propria purezza, che il tragico fatto ebbe l’onore non solo del culto, fra i più antichi, già menzionato nel calendario filocaliano, verso la metà del quarto secolo, con l’indicazione della tomba sulla via Nomentana, ma altresì ebbe l’elogio famoso e magnifico di Sant’Ambrogio (nel 375-376) e poi la memoria marmorea di Papa Damaso, e l’inserzione del suo nome nel canone della Messa.
Ciò che a noi preme ora ricordare è il fatto della popolarità di questa santa, una ragazza appena dodicenne, ma già cosciente della sublimità e della bassezza che può assumere il nome dell’amore; martire per essere vergine, modello e campione poi d’una schiera infinita di fanciulle illibate, e fiore simbolico d’un costume severo e gentile, cultore e custode della bellezza cristiana.
E diciamo questo nella pena a tutti comune per fatti recenti, che hanno scosso l’opinione pubblica per l’insidia e per l’offesa al pudore della gioventù femminile, e in genere alla dignità della donna; e pena per la licenza che nella moda, nella stampa, e nello spettacolo demolisce il riserbo dovuto ad uno dei più alti e gelosi valori della persona umana.
Vorremmo che l’esempio di Agnese fosse ancora ricordato e il suo culto ancora celebrato, specialmente a Roma, di cui la giovinetta martire costituisce una delle glorie, ben degne della poesia e del fervore, che per secoli la celebrarono.
E la Madonna, la purissima, c’invita a questi pensieri confortanti e sereni.
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