PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 20 gennaio 1965
L'Unità della Chiesa
Diletti Figli e Figlie!
La vostra visita avviene durante la settimana dedicata alla preghiera e allo studio per la grande causa della ricomposizione nell’unica Chiesa di Cristo di quanti credono in Lui e sono tuttora fra loro e da noi separati.
Voi potete ben pensare come il Nostro animo, sempre tanto sensibile e vigilante in ordine a tale questione, sia in questi giorni anche maggiormente occupato dai problemi, dalle speranze, dalle discussioni, dai doveri, che vi sono connessi; e aprendosi a voi, nello stile semplice e cordiale di quest’udienza settimanale, non possa d’altro parlarvi, se non dell’unità in cui vorremmo, secondo il supremo desiderio di Cristo, vedere raccolti tutti i Cristiani. Sapete che nella seduta pubblica finale della terza Sessione del Concilio è stato approvato e promulgato un Decreto sull’Ecumenismo, che tratta appunto questo tema, tanto complesso e delicato, nell’intento di ricordare il mistero dell’unità, da cui la Chiesa non può prescindere, e di agevolare quanto più sia possibile il godimento della partecipazione piena, viva e sincera di tutti i seguaci del Vangelo alle ricchezze di tale mistero: Noi speriamo che un documento così importante, così aperto, così fiducioso porterà un giorno i suoi frutti; e ne ripetiamo ancor oggi l’esortazione, affinché tutti i fedeli Cattolici siano solleciti a favorirne il conseguimento, con la preghiera specialmente, e con la bontà della loro vita cristiana e degli esempi che irradiano da essa.
A chi non conosce la questione della riunione di tutti i Cristiani se non superficialmente, la soluzione sembra facilissima e di rapida attuazione. Ma a chi conosce i termini storici, psicologici, dottrinali della questione stessa si presentano grandi e molteplici difficoltà, di ogni genere e da ogni parte, tanto che alcuni disperano che si possa risolvere, e altri sperano ancora, ma vedono che occorrerà forse gran tempo, e certo un intervento speciale, quasi prodigioso, della grazia di Dio.
Non vogliamo ora parlarvi di queste difficoltà; ma piuttosto vogliamo richiamare la vostra attenzione sopra una tentazione, facile a sorgere negli animi buoni, che potrebbe suggerire un atteggiamento non buono, non valido per togliere la difficoltà fra tutte più grave, quella, dottrinale; la tentazione cioè di mettere da parte i punti controversi; di nascondere, di indebolire, di modificare, di vanificare, di negare, se occorre, quegli insegnamenti della Chiesa cattolica, i quali non sono oggi accettati dai Fratelli separati. Diciamo tentazione facile, perché può sembrare cosa da poco minimizzare e togliere di mezzo certe verità, certi dogmi, che sono oggetto di controversia, per raggiungere comodamente l’unione tanto desiderata, mentre il cristianesimo è verità divina, che a noi non è dato mutare, ma solo accertare e accettare, a nostra salvezza.
E questo calcolo non illude soltanto coloro che sono profani nelle questioni teologiche; esso si insinua anche in coloro che sono esperti, e che cercano, spesso in buona fede, qualche espediente razionale per spianare la via all’incontro con i Fratelli separati. L’intento è buono, il metodo no.
Che da parte cattolica si voglia riconoscere quanto di bene si trova tuttora nel patrimonio delle Chiese e delle confessioni cristiane, staccate dalla Chiesa nostra, sta bene. Che si voglia presentare la dottrina cattolica nei suoi aspetti autentici ed essenziali, prescindendo dagli aspetti discutibili e non essenziali, sta bene. Che si cerchi di prospettare i .punti controversi nei termini che li possono rendere più esatti e comprensibili anche rispetto a chi non li condivide, ancora sta bene. Questa è pazienza fraterna, questa è apologia buona, questa è la carità a servizio della verità.
Ma pretendere di togliere la difficoltà dottrinale cercando di esautorare, o di trascurare, o di celare affermazioni che il magistero della Chiesa dichiara impegnative e definitive, non è buon servizio. Non è buon servizio per la causa dell’unione, perché crea nei Fratelli separati la diffidenza, il dubbio d’essere mistificati, ovvero genera l’opinione di possibilità fallaci; e perché mette nella Chiesa il timore che si cerchi l’unione a prezzo di verità che non sono discutibili, e solleva sospetti che il dialogo si risolva a danno della sincerità, della fedeltà e della verità.
Noi vorremmo invece rendere i Cattolici sempre più idonei a sostenere il dialogo della fraternità mediante la sincerità più schietta e più umile, mediante la passione e la gioia ch’essi devono nutrire per la luce di verità d’una fede integra e vissuta, mediante la gradualità didattica dell’esposizione del nostro insegnamento, e mediante un rispetto, una stima, una carità verso gli interlocutori, che renda a loro amabile la nostra conversazione, invidiabile la certezza che il Signore ci concede, facile il possederla. Ch’essi vedano che non è dogmatismo aprioristico il nostro, non è imperialismo spirituale, non è giuridismo formale il nostro; ma ossequio totale alla verità totale, che viene da Cristo; e tesoro non geloso la pienezza della fede, ma bene pronto e fraterno, che tanto più ci fa felici, quanto più lo possiamo agli altri donare e dire non nostro, ma di Cristo, di tutti.
Non è che un pensiero fra i tanti, onde è ripieno il Nostro spirito, Figli carissimi; un pensiero, che mentre si affida alla vostra fedeltà, si esprime in immenso amore per tutti quanti, vicini e lontani, possono dire, con San Paolo, superando ogni scisma e ogni divisione: «Ego autem Christi: io sono di Cristo» (1 Cor. 1, 13).
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