PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì delle Ceneri, 3 marzo 1965
Il senso storico e liturgico del tempo di Quaresima
Diletti Figli e Figlie!
Noi non possiamo oggi, mercoledì delle Ceneri, all’inizio della sacra Quaresima, parlarvi d’altro che di questo particolare periodo dell’anno liturgico, che nel pensiero e nella disciplina della Chiesa è rivestito di grande importanza. Tutti sapete quanto si è scritto e parlato su questo tema; e, se avete la fortuna di «vivere cum Ecclesia», sentirete quanto ancora se ne parla e quanto oggi si cerca di rinnovare nei fedeli il senso spirituale proprio di questa stagione sacra.
Anzi la premura, e quasi lo sforzo, che i Pastori della Chiesa e con loro i maestri di vita religiosa mettono per rialzare ed illustrare il concetto della Quaresima, indica due cose: prima, l’interesse di coloro che nella Chiesa hanno responsabilità di guida e potestà d’iniziativa per una valutazione nuova e adeguata di questa varia e laboriosa preparazione pasquale (perché tale è la Quaresima); e seconda, la difficoltà che la gente del giorno d’oggi ha di comprendere tale disciplina ecclesiastica, che sembra aver perduto il titolo, oggi indispensabile, dell’attualità.
Che ne pensate voi? la Quaresima è ancora attuale? cioè interessante? cioè importante? cioè utile? cioè possibile?
La Quaresima ha avuto attraverso i secoli e nei diversi paesi forme diverse di attuazione, e ai nostri giorni ha perduto non poco delle sue esigenze e delle sue esplicazioni, specialmente per quanto riguarda l’osservanza ascetica, che le era caratteristica, cioè il digiuno (ridotto ora a due giorni soltanto con l’astinenza: oggi, giorno delle Ceneri, e il Venerdì Santo, ferma restando per ora la solita legge dell’astinenza, ogni venerdì). Ma non ha perduto, possiamo ben dire, la sua necessità, se è vero che la vita cristiana ha bisogno di raccoglimento, di silenzio, di meditazione, d’interiorità, di conversione e di riforma continua, di preghiera, di penitenza, di ginnastica ascetica, di senso mistico; e ancor più di risveglio della coscienza cristiana, di misericordia e di grazia di Dio, d’unione viva e generatrice con i misteri della Redenzione, con la Passione cioè e con la Risurrezione di Cristo. La vita religiosa è cosa grave, è cosa seria, è cosa difficile, è cosa meravigliosa, è cosa indispensabile: non ne possiamo, non ne dobbiamo fare a meno; e non si conquista senza particolare applicazione, senza qualche esercizio accurato e metodico, senza sforzo di rinnovamento interiore, senza ricorso, al momento decisivo, al contatto sacramentale con l’azione vivificante di Dio Padre, per Cristo, nello Spirito Santo.
Sentirete certamente parlare di tutto questo nelle predicazioni quaresimali: fatevi attenzione; fermate un istante il ritmo fuggente dei saliti pensieri profani; pensateci un po’.
Chi volesse classificare le ragioni d’interesse della Quaresima, cioè della sua attualità, potrebbe, semplificando, catalogarle in relazione ad un triplice senso, di cui l’uomo moderno, se almeno qualche po’ sensibile ai valori religiosi, è tuttora riccamente dotato. Diciamo: il senso storico, il senso morale, il senso liturgico. La Quaresima attraversa la storia della nostra civiltà: riti, usi, costumi, canti, libri, sermoni, concilii, leggi, edifici sacri, sono derivati dall’osservanza della Quaresima e ad essa rivolti; e ancora quel che resta di questa grande espressione religiosa: nel calendario, nel messale, ad esempio, dice quanto essa abbia marcato il processo storico della nostra civiltà. La Quaresima è stata una scuola, prolungata per secoli, applicata ad ogni aspetto della vita, non solo a quello religioso, per la formazione dell’uomo, per la liberazione dalle sue interiori catene di passioni e di vizi, per la sua unificazione spirituale, per la sua educazione alla bontà, alla carità, al perdono, alla pace sociale, alla riparazione del male compiuto, alla speranza d’ogni bene possibile, alla virtù sincera, alla vita nuova.
È incalcolabile il progresso morale e civile, a cui questo ricorrente e potente esercizio ascetico e spirituale ha dato, lungo i secoli dell’era cristiana, impulso e sviluppo. Un riferimento a ciò che avviene ai nostri giorni si presenta alla mente; possiamo infatti ricordare come proprio in questi ultimi anni, in ossequio ed in virtù della disciplina quaresimale, sull’esempio della Chiesa cattolica germanica, sono state promosse quelle collette, rese possibili da qualche sacrificio penitenziale, da qualche generoso «fioretto», le quali vanno ad alleviare la fame nel mondo: un’astinenza, suggerita dallo spirito della Quaresima, si traduce in valore economico, e questo diventa pane «per la fame nel mondo», per una moltitudine cioè di poveri, lontani e sconosciuti, che godono così della carità sgorgante dall’osservanza quaresimale. Ci sembra d’ascoltare l’eco d’un sermone per la Quaresima di San Leone Magno: «Laetemur in refectionibns pauperum, quos impendia nostra satiaverint»; godiamo del ristoro dei poveri, che le nostre oblazioni abbiano sfamati (Sermo 40, de Quadr. II, P.L. 54, 270). Non è questo molto bello, e non merita forse che Noi lo segnaliamo alla vostra pietà e alla vostra carità? S. Agostino, con tanti altri, ci ammonisce: «Quod detrahit temperantia voluptati, addat misericordia caritati»; ciò che la temperanza toglie al piacere, la misericordia lo destini alla carità (Sermo 208, P.L. 38, 1045).
E del senso liturgico della Quaresima che cosa diremo? Nulla, per non dir troppo poco! Esso è il grande tirocinio alla grazia del battesimo e della penitenza, è la grande pioggia fecondatrice della Parola di Dio, è la grande meditazione preparatoria alla Pasqua. In nessun altro momento dell’anno la spiritualità della Chiesa è più ricca, più commossa, più lirica, più attraente, più benefica: chi la studia la scopre stupenda; chi l’avvicina la trova profonda; chi la sperimenta la sente umana; chi la vive, sì, la gode divina.
E perciò sempre attuale, Figli carissimi, ai quali miglior augurio oggi non possiamo rivolgere, insieme alla Nostra Benedizione, che quello di buona e santa Quaresima.
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