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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 17 marzo 1965

 

Partecipazione dei fedeli alla Santa Messa

Diletti Figli e Figlie!

La nostra conversazione familiare, in un’udienza come questa, non può non ritornare sul tema del giorno: l’applicazione della riforma liturgica alla celebrazione della santa Messa. Nostro desiderio sarebbe di chiedere a voi, se il carattere pubblico di questo incontro non lo impedisse, come facciamo in altri incontri a carattere privato, quali siano le vostre impressioni su questa grande novità. Essa merita che tutti vi facciano attenzione. Ebbene, Noi pensiamo che la vostra risposta alla Nostra domanda non sarebbe dissimile da quelle che Ci pervengono in questi giorni.

La riforma liturgica? Si possono ridurre a due categorie queste risposte. La prima categoria è quella delle risposte che notano una certa confusione, e perciò un certo fastidio: prima, dicono questi osservatori, si stava tranquilli, ciascuno poteva pregare come voleva, tutto era conosciuto circa lo svolgimento del rito; ora tutto è novità, sorpresa, cambiamento; perfino il suono del campanello al Sanctus è stato abolito; e poi quelle preghiere che non si sa dove andarle a trovare, quella comunione ricevuta stando in piedi; e la fine della Messa che termina in tronco con la benedizione; tutti che rispondono, molti che si muovono, riti e letture che si recitano ad alta voce . . .; insomma non c’è più pace e si capisce meno di prima; e così via.

Non faremo la critica di queste osservazioni, perché dovremmo mostrare come esse rivelano scarsa penetrazione del senso dei riti religiosi, e lasciano intravedere non già una vera devozione e un vero senso del significato e del valore della santa Messa, ma piuttosto una certa indolenza spirituale, che non vuole spendere qualche sforzo personale d’intelligenza e di partecipazione per meglio comprendere e meglio compiere il più sacro degli atti religiosi, a cui siamo invitati, anzi obbligati ad associarci. Ripeteremo ciò che in questi giorni da tutti i Sacerdoti pastori d’anime e da tutti i bravi maestri di religione si va ripetendo: primo, che si produca al principio qualche confusione e qualche fastidio è inevitabile; è nella natura d’una riforma pratica, oltre che spirituale, di abitudini religiose inveterate e piamente osservate, produrre un po’ di sommovimento, non sempre a tutti piacevole; ma, secondo, una qualche spiegazione, una qualche preparazione, una qualche premurosa assistenza tolgono presto le incertezze e danno subito il senso ed il gusto d’un nuovo ordine. Perché, terzo, non si deve credere che dopo qualche tempo si ritornerà quieti e devoti o pigri, come prima; no, il nuovo ordine dovrà essere diverso, e dovrà impedire e scuotere la passività dei fedeli presenti alla santa Messa; prima bastava assistere, ora occorre partecipare; prima bastava la presenza, ora occorrono l’attenzione e l’azione; prima qualcuno poteva sonnecchiare e forse chiacchierare; ora no, deve ascoltare e pregare. Speriamo che presto celebranti e fedeli possano avere i nuovi libri liturgici e che questi rispecchino anche nella nuova forma, sia letterale che tipografica, la dignità di quelli precedenti. L’assemblea diventa viva ed operante; intervenire vuol dire lasciare che l’anima entri in attività, di attenzione, di colloquio, di canto, di azione. L’armonia d’un atto comunitario, compiuto non solo col gesto esteriore, ma con il movimento interiore del sentimento di fede e di pietà, imprime al rito una forza e una bellezza particolari: esso diventa coro, diventa concerto, diventa ritmo d’una immensa ala volante verso le altezze del mistero e del gaudio divino.

La seconda categoria dei commenti che a Noi giungono circa le prime celebrazioni della nuova Liturgia, è invece quella degli entusiasmi e delle lodi. Chi dice: finalmente si può capire e seguire la complicata e misteriosa cerimonia; finalmente ci si prende gusto; finalmente il Sacerdote parla ai fedeli, e si vede che agisce con loro e per loro. Abbiamo testimonianze commoventi, di gente del popolo, di ragazzi e di giovani, di critici e di osservatori, di persone pie e desiderose di fervore e di preghiera, di uomini di lunga e grave esperienza e di alta cultura. Sono testimonianze positive. Un vecchio e distintissimo signore, di grande animo, e di finissima, e perciò sempre insoddisfatta, spiritualità, si sentiva obbligato, al termine della prima celebrazione della nuova Liturgia, a presentarsi al celebrante per dirgli candidamente la sua felicità per aver finalmente partecipato, forse per la prima volta in vita sua, in pienezza spirituale al santo sacrificio.

Può darsi che questa ammirazione e questa specie di santa eccitazione si calmino e si distendano presto in una nuova tranquilla consuetudine. A che cosa non si abitua l’uomo? Ma è da credere che non verrà meno l’avvertenza della intensità religiosa che la nuova forma del rito reclama; e con essa la coscienza di dover compiere simultaneamente due atti spirituali: uno di vera e personale partecipazione al rito, con quanto di essenzialmente religioso ciò può comportare; l’altro di comunione con l’assemblea dei fedeli, con la «ecclesia»; atti che tendono il primo all’amor di Dio; all’amore del prossimo il secondo. Ecco il Vangelo della carità che va attuandosi nelle anime del nostro tempo: è veramente cosa bella, nuova, grande, piena di luce e di speranza.

Ma avete compreso, carissimi Figli e Figlie: questa novità liturgica, questa rinascita spirituale, non può avvenire senza la vostra volonterosa e seria partecipazione. Tanto Ci preme questa vostra corrispondenza che, come vedete, ne facciamo tema di questa Nostra parola; e nella fiducia che voi davvero le facciate buona accoglienza, Noi vi promettiamo tante e tante grazie del Signore, che appunto fin d’ora la Nostra Apostolica Benedizione vuole a ciascuno di voi assicurare.

                                            



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