PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 31 marzo 1965
E' un dovere l'unità operante dei cattolici
Diletti Figli e Figlie!
Queste udienze generali Ci presentano un quadro d’insieme, che Ci fa sempre pensare e sempre Ci commuove, non solo per la moltitudine delle persone accorse attorno all’umile Nostra persona, ma per la varietà altresì dei gruppi che compongono questa assemblea, e che, se bene comprendiamo i loro sentimenti, sono lieti d’essere folla, d’essere popolo raccolto in un solo complesso e in un solo sentimento, e forse ancor più lieti d’essere di diversa origine, di diversa lingua, di diversa età, di diversa cultura; e di sentirsi insieme, come se si fossero sempre conosciuti. Non sarà facile che un simile incontro si riproduca; capiterà a tutti voi certamente d’essere in mezzo a masse di gente varia e disparata e tenuta insieme da particolari contingenze; di viaggio, di spettacoli, di affari, di comizio, eccetera; ma ciò avverrà senza che una profonda e fraterna unità di sentimenti si realizzi in quelle riunioni, spesso più esteriori che interiori; talvolta riunite dagli stessi contrasti che le dividono; in chiesa certo l’assemblea dei fedeli assume una unità spirituale meravigliosa, dove «unum corpus multi sumus», i molti formano un solo corpo (1 Cor. 10, 17); ma di solito la comunità orante possiede già una certa omogeneità e una certa abituale coesione; qui invece la riunione trova la sua interiore armonia soltanto per la stessa fede e per la stessa carità, che alla presenza del Papa acquistano, forse come raramente altrove, la loro espressione di unità, non solo occasionale, ma ecclesiale e spirituale.
Ora è proprio questa unità interiore della Chiesa che Noi vogliamo, questa volta, fare a voi notare, come uno dei principii costitutivi della Chiesa - essa non può non essere intrinsecamente unita -, che la definisce, che la dimostra animata da un influsso superiore, dallo Spirito Santo, che le conferisce questa sorprendente capacità, di mettere insieme gli uomini più disparati rispettando, anzi valorizzando le loro specifiche caratteristiche purché positive, cioè veramente umane, la capacità cioè d’essere cattolica, d’essere universale. Non solo. L’unità non è soltanto una prerogativa della Chiesa cattolica; è un dovere, una legge, un impegno. Cioè l’unità della Chiesa dev’essere ricevuta e riconosciuta da tutti a da ciascun membro della Chiesa, e da tutti e da ciascuno dev’essere promossa, amata, difesa. Non basta dirsi cattolici; bisogna essere effettivamente uniti. I figli fedeli della Chiesa devono essere i costruttori dell’unità concreta della sua compagine sociale, i seguaci della sua spiritualità comunitaria. Maestro Tommaso insegna che l’unità della Chiesa si deve considerare sotto due aspetti: il primo, nella connessione dei membri della Chiesa fra loro, nell’unità di comunione; il secondo nel riferimento di tutti i membri della Chiesa stessa all’unico Capo, che è Cristo, di cui il Papa fa qui in terra le veci, nell’unità di convergenza (II-IIæ, 39, 1). La promozione di questo duplice criterio unificatore è uno dei grandi doveri del cattolico; e questo diciamo perché voi stessi, a ricordo di questa udienza, siate sempre gelosi e zelanti cultori dell’intima unità della nostra santa Chiesa.
E forse v’è oggi di ciò particolare bisogno. Tanto si parla ora dell’unità da ricomporre con i Fratelli separati; e sta bene; è questa una meritevolissima impresa, al cui progresso dobbiamo tutti collaborare con umiltà, con tenacia e con fiducia; ma non si deve da noi trascurare il dovere di operare tanto di più per l’unità interna della Chiesa, tanto necessaria per la sua vitalità spirituale e apostolica. Come daremo ai Fratelli separati l’esempio dell’unità, come ne offriremo loro il dono inestimabile, se noi stessi cattolici non la viviamo nella fedeltà e nella pienezza, ch’essa richiede? Non sempre riceviamo buone notizie circa la fedeltà dei cattolici al dovere dell’unità interiore del Corpo ecclesiastico. Non Ci riferiamo, in questo momento, alle raccomandazioni sovente ripetute in favore dell’unità operativa dei cattolici, sempre reclamata per la difesa e l’affermazione dei loro principii e dei loro diritti nel campo civile; Ci riferiamo piuttosto all’obbligo per tutti urgente di alimentare quel senso di solidarietà, di amicizia, di mutua comprensione, di rispetto al patrimonio comune di dottrine e di costumi, di obbedienza e univocità di fede, che deve distinguere il cattolicesimo; esso ne costituisce la forza e la bellezza, e ne dimostra l’autenticità realizzando in questo spirito di concordia e di amore la parola di Gesù: «Sarete da tutti riconosciuti quali miei discepoli, se sarete stretti da vicendevole dilezione» (Io. 13, 35).
Che dovremmo dire di quelli che invece non altro contributo sembra sappiano dare alla vita cattolica che quello d’una critica amara, dissolutrice e sistematica? di coloro che mettono in dubbio o negano la validità dell’insegnamento tradizionale della Chiesa per inventare nuove e insostenibili teologie? di quelli che sembra abbiano gusto a creare correnti l’una all’altra contraria, a seminare sospetti, a negare all’autorità fiducia e docilità, a rivendicare autonomie prive di fondamento e di saggezza? o di coloro che per essere moderni trovano tutto bello, imitabile, e sostenibile ciò che vedono nel campo altrui, e tutto insopportabile e discutibile e sorpassato ciò che si trova nel campo nostro?
Non vogliamo certo censurare il processo di purificazione e di rinnovamento, che ora travaglia e rigenera la Chiesa, e che essa per prima reclama e promuove; vogliamo soltanto invitare tutti quanti sentono la dignità e la responsabilità del nome cattolico ad amare fortemente, profondamente il mistero della sua interiore unità, a venerarlo nella parola e nell’opera per dare alla Chiesa il gaudio d’essere quello che è, magnificamente una e per accrescere lo splendore, che da ciò le deriva per l’illuminazione del mondo. Non è, credetelo, questo uno spirito chiuso, statico, egoista; non è spirito di «ghetto», come oggi si dice; è lo spirito genuino di Cristo, trasfuso nella sua Chiesa; ed è, per chi ha occhio per vedere, un fenomeno di sovrana, spirituale bellezza;. ce lo ricorda S. Agostino, ammonendoci come «omnis . . . pulchritudinis forma unitas sit»; il segreto della bellezza è l’unità (Ep. 18; P.L. 33, 85).
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