PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 15 settembre 1965
La Ss.ma Eucaristia centro e vertice della liturgia e della vita cristiana
Diletti Figli e Figlie!
Anche questa volta, volendo farvi partecipare ai Nostri pensieri, quasi per dare all’udienza un contenuto spirituale comune per voi che qua venite, e per Noi che qui vi riceviamo, vi diremo, assai brevemente, che due sono gli oggetti principali delle Nostre riflessioni in questi giorni; ed è ovvio: l’Enciclica sull’Eucaristia, che abbiamo poco fa pubblicata, e il Concilio ecumenico, di cui abbiamo ieri aperto la quarta sessione. Noi vogliamo credere che nessuno di voi ignora qualche notizia circa questi due temi: l’Eucaristia e il Concilio, temi grandissimi, temi importantissimi, temi bellissimi, che Noi raccomandiamo alla vostra riflessione, se vi preme di non chiudere gli occhi davanti agli aspetti spirituali più significativi dei nostri giorni, e se vi sta a cuore avere con la Chiesa e con questo suo centro un’armonia di sentimenti degna di buoni cattolici e di figli intelligenti. Che l’Eucaristia infatti sia argomento degnissimo di considerazione tutti sappiamo, se solo ricordiamo che l’Eucaristia è il sacramento della carità (come il battesimo si qualifica piuttosto come il sacramento della fede); e la carità, come tutti sanno, è la legge riassuntiva, il vincolo della perfezione (Col. 3; 14), la base, la radice di tutte le virtù cristiane, il fondamento di tutto il sistema morale cristiano; inoltre l’Eucaristia è al centro del culto cattolico e la vita religiosa vi trova il suo momento di pienezza e di più alta espressione; e, ciò che più conta, l’Eucaristia è al vertice dell’economia sacramentale, perché, se tutti i sacramenti ci dànno la grazia e ci uniscono a Cristo, l’Eucaristia ci mette in comunione con Cristo stesso, presente nell’Eucaristia; con Lui, autore dei sacramenti e fonte della grazia; possiamo perciò dire l’Eucaristia base, centro, vertice della vita spirituale del fedele cristiano (cfr. S. Th. III, 65, 3; e III, 73, 3).
E quanto al Concilio siamo tutti facilmente persuasi che si tratta di avvenimento singolare, di rilievo storico, e di grande importanza per la vita della Chiesa, e di riflesso su quella del mondo.
Ma l’interesse di questi accenni sta in un’altra questione; e cioè nel cercare quale rapporto vi può essere fra due temi, l’Eucaristia e il Concilio, apparentemente così diversi l’uno dall’altro. Vorremmo che vi provaste a cercare tale rapporto!
E vi sarà facile intuirlo (comprenderlo, misurarlo sarebbe meraviglioso, ma non poco difficile), se pensate che il Concilio altro non è che un momento, un’espressione, quasi una sintesi della Chiesa. Allora la ricerca si pone in questi termini: quale relazione vi è tra l’Eucaristia e la Chiesa?
Un valente studioso moderno (non forse sconosciuto ad alcuni di voi) ha enunciato tale relazione in bel capitolo d’un suo bel libro con queste due proposizioni: la Chiesa fa l’Eucaristia; e l’Eucaristia fa la Chiesa! (De Lubac). Provate ad esplorare queste due affermazioni, e vedrete quale ricchezza di dottrina ne risulta. Un altro illustre teologo scrive: «Tutta la grazia santificante del mondo è sospesa alla grazia della Chiesa. E tutta Ia grazia della Chiesa è sospesa all’Eucaristia» (Journet, 11, 672).
Contentiamoci ora di ricordare come l’Eucaristia sia simbolo della Chiesa. È questo uno dei punti più studiati è ricorrenti nella storia e nella letteratura relativa al mistero eucaristico. Esso rappresenta e rinnova il sacrificio di Cristo sulla croce; ed è questo il suo primo e sacramentale, significato; ma esso, per via delle specie del pane e del vino, in cui è contenuto, prende figura anche della Chiesa; o meglio della sua unità. Sentiamo S. Cipriano, il vescovo martire del terzo secolo, dottore dell’unità della Chiesa. Egli scrive: «. . . quando il Signore chiama il suo corpo pane, risultante dall’unione di molti grani, vuol indicare il nostro popolo adunato . . .» (Ep. 76, 6; P.L., 3, 1142). E altrove: «nel sacramento stesso si mostra il nostro popolo riunito» (Ep. 62, 13; P.L., 4, 384). La teologia va oltre, e scopre nell’Eucaristia, cioè nella realtà a cui essa tende, nell’effetto ch’essa produce (oltre che la santificazione dell’anima che si comunica), «l’unità del corpo mistico, senza la quale non vi può essere salvezza» (S. Th. III, 73, 3); quell’unità profonda e ineffabile, di cui parlava San Paolo: «. . . noi molti siamo un solo corpo, noi tutti che partecipiamo allo stesso pane» (1 Cor. 10, 17). Così che l’Eucaristia non è soltanto la figura, ma altresì il principio della carità unitiva dei fedeli a Cristo, ed in Cristo fra loro.
E basti questo per vedere nel Concilio (fatto più d’ogni altro realizzatore e rappresentativo dell’unità gerarchica e comunitaria della Chiesa), un estremo postulato, quasi un. totale anelito della Chiesa stessa verso l’Eucaristia; e per vedervi insieme un supremo risultato, quasi un preludio di comunione dei santi, dell’Eucaristia medesima creduta e celebrata dalla Chiesa di Cristo.
E basti ora questo per la vostra devozione verso la Chiesa, in Concilio e per il vostro culto verso Cristo nel SS.mo Sacramento: cose alte, cose altissime; ma quali altre, se non queste vi può presentare quel Vicario di Cristo, che voi siete venuti a cercare nella umilissima persona che vi parla e che ora, in nome di Cristo, vi benedice ?
L’alto ufficio umano e morale dei medici condotti
Salutiamo con piacere il numeroso e cospicuo gruppo dei Medici Condotti, riuniti a Roma, i quali hanno molto gentilmente, voluto procurarci l’occasione d’incontrarci con loro.
Li ringraziamo di tale cortesia, che Ci trova molto sensibili, anche se gli impegni di questi giorni non Ci hanno concesso la possibilità d’una udienza tutta per loro! Ma i Medici Condotti sono persone sperimentate alle difficoltà pratiche della vita vissuta, e vorranno egualmente credere alla stima che facciamo delle loro persone, della loro professione, e perciò anche di questa loro visita.
Cari Signori! Il primo sentimento che sorge nel Nostro animo alla vostra presenza è quello di riconoscenza per i servizi che voi rendete alla società; e quali servizi! Voi assistete e curate il nostro popolo nelle molteplici sue necessità d’ordine sanitario; curate coloro che non hanno possibilità di scegliersi l’assistenza sanitaria di loro gradimento; curate i malati che ancora non entrano nella rete, ormai vasta e complessa, delle assistenze prestabilite dai grandi organismi sanitari moderni; curate i malati nelle loro case, nelle loro contingenze personali e domestiche, dove voi soli potete loro apportare il primo consiglio, il primo rimedio, e dove voi soli sorprendete alla prima radice l’apparizione delle malattie, che potrebbero diventare fatali o contagiose e che trovano invece in voi chi le individua, le previene, le arresta, o loro oppone il soccorso dei più validi interventi, di cui l’organizzazione medica, pubblica o privata, dispone.
Perciò, il Nostro sentimento verso la vostra categoria di sanitari è quello di ammirazione. Sappiamo in quali condizioni voi dovete esercitare la vostra professione, specialmente in campagna o in montagna. Voi dovete assistere tutti! E tutti hanno diritto di chiamarvi, di farvi correre, intervenire; ad ogni ora, ad ogni distanza, ad ogni necessità! È proverbiale il disagio, la fatica, la solitudine, la responsabilità di codesta vostra disponibilità. Siete davvero dei soldati del dovere! Siete coloro in cui la professione medica arriva al grado più alto di dedizione e di disinteresse! Siete i curatori della gente modesta e povera; siete i medici di tutte le malattie, di tutte le categorie di cittadini, di tutte le età. Per questo vi ammiriamo!
Due pensieri sorgono in Noi nel considerare la vostra professione: il primo si è che la deontologia medica, ricca oramai di una vastissima casistica, cade in pieno sopra di voi; voi siete i medici della casistica più ampia e più svariata; e tutto si richiede da voi. Questa circostanza, che sembra aggravare la vostra professione e toglierle il prestigio e la comodità della specializzazione, è ciò che fa del medico condotto il medico tipico, il medico completo, il medico che deve unire alla comune preparazione scientifica di base una versatilità sua propria, che l’incomparabile abbondanza della vostra esperienza educa alla terapia pratica più saggia e più semplice e avvia anche ad una riflessione scientifica per cui il medico condotto, che ha dato all’esercizio dell’arte sua la passione, ch’essa merita, trae onore e stima e fiducia, quali sono dovute al saggio, all’esperto, all’uomo veramente pratico e benefico. E l’altro pensiero è dato dalla somiglianza che l’esercizio del vostro ufficio ha con quello del Sacerdote in cura d’anime, col Parroco. Anch’egli è legato all’assistenza del popolo, come voi lo siete; lui per il bene spirituale, voi per quello fisico; ed entrambi con dedizione e abnegazione che spesso non hanno misura. Perciò vediamo in voi persone buone, persone amiche dell’umile gente, bravi professionisti nei quali l’aspetto umano - anzi l’aspetto cristiano - delle vostre prestazioni acquista uno splendore incomparabile. Parroco e Medico Condotto dovrebbero sempre essere amici e collaboratori; e lo sono in tanti casi, che danno alla vita della comunità un argomento di familiarità, di fiducia, di stabilità morale.
Avremmo tante altre cose da dirvi, tanto è alto e degno il vostro ufficio; ma concluderemo con una duplice raccomandazione: amate la vostra professione! Avete fatto bene a distinguere e a premiare quelli di voi che sono apparsi più meritevoli; è professione che andrebbe tutta premiata! E l’altra raccomandazione riguarda l’«animus» con cui dovete esercitarla: fate che cotesto «animus» abbia in sé un’infusione di sentimento cristiano; è tanto più facile, è tanto più bello, è tanto più meritorio quando si assiste il dolore umano per amore, per amore di Cristo, il grande e misterioso Paziente che soffre, piange e muore in ciascuno dei miseri e dei piccoli, su cui si curva buona e saggia la vostra professione.
Questo vi dica come Noi seguiamo con la Nostra stima, con i Nostri voti; con la Nostra benedizione i Medici Condotti.
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