PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 14 settembre 1966
Partecipare nella grazia e carità alla vita della Chiesa
Diletti Figli e Figlie!
Noi siamo presi dal pensiero della vitalità della Chiesa. Se avete avuto qualche sentore delle Nostre parole alle udienze generali di queste settimane avrete notato come questo pensiero offra il tema di questi brevi dialoghi con i Nostri visitatori. Non vogliamo spingere le Nostre semplici considerazioni fino a fare della scienza; Ci basta osservare empiricamente alcuni aspetti della Chiesa, per averne Noi temi di preghiera e di studio, e per darne a chi filialmente Ci ascolta, come voi ora, stimolo a qualche buona riflessione su questa grande e misteriosa realtà, che il Concilio ci ha prospettata e che riguarda la sorte di tutti e di ciascuno di noi.
Guardiamo alla vitalità della Chiesa come il padre guarda il volto dei figli per vedere se sono sani, se sono lieti, se sono buoni. Ovvero come il pastore guarda con avidità e affezione il suo gregge: se sia completo, se sia unito, se sia seguace. Oppure come il medico che osserva nei segni esteriori d’una persona lo stato interiore di salute di essa. Così guardiamo Noi la Chiesa, che sappiamo tanto ricca di anime vive e sante; che vediamo tanto insidiata e soverchiata dal mondo in cui essa si trova; e che vorremmo, dopo il Concilio, piena di coscienza e di energia nuove; e, grazie a Dio, lo è.
LA SUPREMA PREGHIERA DEL SALVATORE
Dunque: uno dei segni che Ci sembra meglio indicare la vitalità della Chiesa, che Noi andiamo indagando, è la partecipazione; la partecipazione, diciamo, dei membri della Chiesa alla sua vita. La Chiesa, è stato detto, è una comunione. È più che una società; è un corpo, è una vita unitaria di Cristo in noi. Quanto più i singoli appartenenti a questa comunità sono consapevoli del mondo unitario e gerarchizzato che li avvolge, e quanto più essi partecipano a promuovere, a difendere, a gustare tale comunione, tanto più essa realizza la sua vitalità e dimostra il mistero in essa contenuto. Ricordiamo e ripetiamo sempre le parole dell’ultima preghiera del Signore Gesù per i suoi discepoli: «Possano essi giungere a perfetta unità (consummati in unum); e così il mondo conosca che Tu (il Padre) hai mandato me (il Cristo)» (Io. 17, 23).
Questo è molto bello e meriterebbe spiegazione e meditazione: l’umanità stessa, di cui è composta la Chiesa, può irradiare l’elemento divino - di verità, di carità, di santità, d’immortalità -, che è in essa, se essa è unita, se essa dentro di sé è organicamente compaginata, se essa manifesta appunto di possedere una sua spirituale e sociale vitalità, risultante dalla partecipazione d’ogni singola persona ai principii costitutivi ed operativi che informano il Popolo di Dio, la comunità cristiana. Ogni singola persona diventa perciò una cellula viva del Corpo mistico del Signore, che è la Chiesa, se procura di partecipare a Ciò che la unifica e la vivifica.
TUTTI SIAMO CHIAMATI ALLA SANTITÀ
Questa considerazione pone una domanda, che ciascuno deve rivolgere a se stesso: sono io veramente partecipe della Chiesa vera e viva? La fede, la grazia, l’adesione all’autorità, che, in nome di Cristo, istruisce, santifica e governa la Chiesa, sono gli elementi indispensabili all’essere della Chiesa, per potersi dire: sono anch’io «Chiesa». E a questo punto un’altra domanda, assai importante e di assai frequente ricorso; chi non è in grazia di Dio, un peccatore, è ancora membro della Chiesa? Le parole della risposta sono facili, ma la realtà ch’esse descrivono è molto grave e complessa: sì, un peccatore (purché conservi la fede) è ancora nella Chiesa, ma senza la circolazione vitale della carità; come membro inerte, come ramo spezzato dal ceppo, anche se tuttora ad esso congiunto. Si vede da ciò come la sorte peggiore per un membro della Chiesa è quella d’esser «scomunicato», posto fuori cioè dalla sua comunione, sia spirituale che giuridica.
E si vede, al contrario, come la sorte migliore del cristiano è quella di partecipare in pienezza alla vita della Chiesa. Chi vi partecipa di più? È chiaro: chi riceve dalla Chiesa la sua santità sacramentale e cerca di trasfonderla nella propria santità morale. I santi sono le membra vive della Chiesa. E tutti siamo chiamati alla santità!
In pratica, Noi vorremmo che ciascuno di voi raccogliesse l’invito fatto dalla Chiesa ai suoi figli con la riforma della Liturgia; riforma che praticamente consiste soprattutto nel far «partecipare» i fedeli alla celebrazione del culto divino e della preghiera ecclesiale. A quale punto si trova la vostra partecipazione? Bisogna, su questo punto, raggiungere l’unanimità, per quanto è possibile! Guai agli assenti, guai agli indifferenti, guai ai tiepidi, ai malcontenti, ai ritardatari! La vitalità della Chiesa dipende, sotto questo aspetto, dalla prontezza, dall’intelligenza, dal fervore dei singoli cristiani, ministri o semplici fedeli che siano.
Poi dovremmo parlare dell’altro invito, che parimente con la voce del Concilio la Chiesa ha rivolto ai suoi figli per la propria vitalità: l’invito a partecipare alla sua missione. La Chiesa è una comunità, ma non chiusa e statica, ma in stato di missione. Perciò ogni figlio della Chiesa è invitato a marciare con lei. Con lei comprendere la vocazione alla salvezza; con lei credere, sperare ed amare; con lei soffrire e godere: con lei dare testimonianza, nell’unione, nell’apostolato. Partecipare: ecco, figli carissimi, l’invito che Noi stessi vi proponiamo; e possa la Nostra Benedizione Apostolica rendervi degni di accoglierlo e capaci di corrispondervi.
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