PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 31 dicembre 1969
Rivedere la scala dei valori reali nel tempo che passa
Diletti Figli e Figlie!
Siamo all'ultimo giorno dell’anno; e la riflessione si porta istintivamente e fortemente su questa parola notissima e indefinibile, ch’è il tempo, con la banale e tanto misteriosa osservazione che il tempo passa. E l’aspetto originale di questa osservazione è questo: che noi stiamo continuamente misurando questo fatto relativo alla mobilità e alla contigenza delle cose, con i nostri orologi, con i nostri calendari, con i nostri calcoli cronometrici e astronomici esattissimi, e non poniamo mente abbastanza all’inesorabilità, indipendente dal nostro volere e dal nostro potere, del fenomeno cronologico. «Vássene il tempo, e l’uomo non se n’avvede» (DANTE, Purg. 4, 9); e quando si pone avvertenza a questa legge cosmica e storica subentra nell’animo il senso pauroso della sua irreversibilità; cioè il tempo non torna mai più indietro; «pensa che questo dì mai non raggiorna»! (ancora DANTE, Purg. 12, 84).
L’INFLUSSO DELLA PROVVIDENZA
Questa meditazione, sì, è conturbante se si pone mente alla sua oscurità e alla sua fatalità, riferite alla nostra vita personale, al nostro destino, alla nostra sorte, che nel tempo trova la sua fortuna e la sua rovina (cfr. MACHIAVELLI, c. VII, circa il suo Principe, che a tutto aveva pensato, fuorché al caso ch’egli doveva inaspettatamente morire). È un tema di pensiero senza fine; filosofi e letterati vi hanno speso occhi abbagliati e non mai stanchi.
E noi cristiani? Anche noi faremo bene a porvi grande attenzione, perché è tema che investe essenzialmente il nostro essere fragile ed effimero, e che ci obbliga a rivedere la scala dei valori, quali siano i veri, quelli meritevoli di annettervi il cuore, e quali no. Ricordiamo il Vangelo, dove Gesù, presentando il profilo dell’uomo ricco e pago delle sue sostanze, insinua la terribile frase: «Stolto, questa notte ti sarà tolta la vita; e le cose che hai accumulate di chi saranno?» (Lc. 12, 20). Cioè la considerazione della precarietà della vita, del dominio di Saturno che divora i suoi figli, può essere fonte di orientamenti morali decisivi, sia in senso edonistico (cfr. il «carpe diem!» di Orazio), sia in senso spiritualista (pensiamo ancora alla parola di Cristo: «Camminate, finché avete la luce . . .»: Io. 12, 35). Ma sono pensieri che difficilmente trovano posto nel trepido momento in cui si bada alla fine dell’anno civile e si inaugura la prima pagina del nuovo calendario: un’ora di festa spensierata prevale.
Un pensiero buono e pio invece per l’ultimo giorno di dicembre è quello del ringraziamento: si canta il Te Deum; e ricordando le vicende dei dodici mesi trascorsi, ci si accorge che «tutto è grazia», che tutto è stato penetrato e diretto da un influsso misterioso e benefico, quello della Provvidenza divina, che, guidando, o permettendo, rivolge a bene ogni nostra cosa (cfr. Rom. 8, 28): e questa è una delle osservazioni più belle e più sapienti, che noi possiamo fare oggi sul tempo passato, e che ci fa incontrare a questo traguardo la Paternità ineffabile di Dio, donde viene, per cui si svolge, e dove va il nostro pellegrinaggio nel tempo. Questo è cristiano.
GUARDARE AVANTI
E se vogliamo completare a questo riguardo l’effusione dei nostri sentimenti cristiani dobbiamo fare un altro passo. Non basta guardare indietro; dobbiamo guardare avanti. E non solo con i programmi preventivi per l’anno nuovo, e non certo con oroscopi fantastici sull’avvenire; ma piuttosto con lo sguardo al disegno essenziale della nostra vita proiettata nel futuro, sia temporale, sia eterno, quale la nostra fede ci annuncia, anche se, durante questa vita mortale, solo «in aenigmate» , come dice San Paolo (1 Cor. 13, 12), nella penombra. È questa un’esigenza fondamentale della nostra fede: il pensiero della vita futura non ci deve mai abbandonare. Esso penetra il messaggio evangelico. La visione, così detta, escatologica, cioè delle ultime realtà, è sempre presente nell’insegnamento di Gesù, tanto da costituire un elemento essenziale e terminale del suo messaggio della salvezza.
Ed è visione troppo spesso dimenticata, anche dalla mentalità di tanti che si professano cristiani. L’attualità ci assorbe. Il presente sembra solo valere, sia come tempo, sia come quadro della vita che nel tempo si svolge; è una delle conseguenze della secolarizzazione, dell’orizzontalismo, dell’attualismo, dell’incredulità. Qui bisogna ben fare attenzione: anche il cristiano vive nel tempo; e del tempo, con tutti i suoi doveri e valori, egli deve fare grande calcolo, anzi più degli altri: è nel tempo che si compie l’esperimento, l’esame, per la sorte del suo futuro ed eterno destino, ed è nel tempo che si deve edificare la città terrena, sviluppata, giusta ed umana, nel suo progresso e nella sua storia, impegnandovi l’attività dei credenti, cittadini della terra; ma è altresì nel tempo che si annuncia e s’inizia il regno di Dio, che avrà oltre il tempo la sua pienezza. Occorre aver sempre presente allo spirito questa bivalenza del tempo per il cristiano: è dono presente, è promessa per il futuro; e l’attenzione a questa promessa fa sì che il dono presente non è svalutato; si bene è intensamente impiegato e saggiamente goduto (cfr. Gaudium et spes, nn. 39-40).
LA CHIESA PELLEGRINA
Una qualifica è ora in uso nel nostro linguaggio spirituale, la quale torna a proposito per questa esortazione di fine d’anno; la qualifica che raffigura tutti come «Chiesa pellegrina». È stupenda. È vera. Il Concilio la adopera molto spesso nei suoi documenti; e in una delle sue pagine più ispirate, piena di riferimenti scritturali, ci parla appunto della Chiesa pellegrina sulla terra, nel mondo e nel tempo, ma nell’instancabile tensione della manifestazione finale dei figli di Dio (Lumen Gentium, nn. 48-49).
Questa valutazione del tempo e questa visione dei cristiani viandanti verso una meta, che lo trascende e che si realizza oltre quel terribile confine, ch’è per noi la morte temporale, siano davanti alla nostra coscienza continuamente, ci ammoniscano a purificare con salutari ricordi la vita passata, e ad accogliere, come un dono dall’alto e come all’alto un invito, il tempo che viene, il quale ancora è concesso al nostro transito nella fugace scena del mondo (1 Cor. 7, 31).
Buon anno dunque nel Signore, con la Nostra Benedizione.
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