PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 10 febbraio 1971
Il Vangelo fonte autentica per la conoscenza di Cristo
In queste settimanali e familiari conversazioni con i Nostri visitatori ci siamo prefissi, a seguito della celebrazione del Natale, di rivolgere qualche riflessione, quasi più per curiosità che non per studio, a Gesù, al suo aspetto esteriore, alla sua figura umana, al suo profilo morale. Tutto resterebbe da dire; ed è già molto se ce ne accorgiamo, e se avvertiamo il fascino di questo tema. Tanto che non sappiamo rinunciare a proporre ancora una duplice sintetica istanza, esortando ciascuno di voi a ripescare nella vostra coscienza cristiana, formata alla scuola della nostra fede cattolica, la duplice risposta: chi era Gesù? che cosa ha fatto Gesù? Personalità ed opera: temi immensi; e proprio questa loro dimensione, superiore ad ogni nostro metro, invece di sgomentarci, ci deve attrarre. Fermiamoci, per questa volta, alla prima suggestiva domanda: chi era veramente Gesù?
Osserviamo subito una cosa. Questa domanda ci pone nel cuore del Vangelo. Si può dire che la storia, di cui il Vangelo ci offre il racconto, è tutta tessuta intorno a questa questione: la identificazione della realtà di Gesù: chi è Gesù? «Non è il figlio del fabbro?» (Matth. 13, 55). Così l’anagrafe dell’opinione pubblica lo classifica. «Non è il figlio di Maria?» (Marc. 6, 3): i più informati sapevano qualche cosa delle sue relazioni domestiche. Appena Gesù appare sulla scena esteriore, Giovanni, il battezzatore, lo vede venire verso il Giordano ed esclama: «Ecco l’Agnello di Dio ...» (Io. 1, 29): un titolo strano, che intravede in Gesù una vittima predestinata ad un sacrificio redentore. L’evangelista riporta il seguito della testimonianza del Precursore, la quale, fin da quei primordi, si conclude: «Questi è il Figlio di Dio» (Io. 1, 34). Giovanni ripeterà, il giorno dopo, il suo grido: «Ecco l’Agnello di Dio» (Io. 1, 36): e uno dei discepoli, Andrea, sarà il primo a decifrare l’annuncio traducendolo in un altro, nel dar notizia dell’accaduto al fratello Simone Pietro: «Abbiamo incontrato il Messia» (Io. 1, 41). Ormai intorno a Gesù aleggia un segreto: insomma chi è questo giovane e misterioso profeta? Giovanni stesso, dal carcere, per erudire i propri discepoli, e forse per cederli al nuovo Maestro, li manda a Gesù stesso per fare un’inchiesta risolutiva: «Sei Tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?» (Matth. 11, 3). La curiosità si allarga, si fa tesa ed inquieta, tanto che Gesù stesso la esplora. Ricordate il celebre colloquio di Gesù con i suoi discepoli, nella regione di Cesarea di Filippo? È Gesù stesso che li interroga, non certo per informarsi, ma per stimolarli a precisare il concetto che s’erano fatto di lui, e a pronunciarsi secondo la nuova scienza, la fede che Dio avrebbe dato loro sopra la sua misteriosa personalità: «Chi dicono che sia il Figlio dell’uomo?» (cioè Gesù stesso; così Egli si nominava) ; e poi, dopo le risposte disparate circa le voci correnti su di Lui, la grande domanda: «E voi, chi dite che Io sia?», subito seguita dalla risposta impetuosa di Pietro, ispirata da Dio Padre: «Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente» (Matth. 16, 13-16). La meravigliosa definizione, gioia dei credenti, problema per gli esegeti, tormento e bersaglio degli increduli, grandeggia per due successive conferme: l’una data da Gesù stesso, a suggello eterno della scoperta verità, con la sua risposta: «Beato te, Simone figlio di Giona (Giovanni), perché non te lo ha rivelato la carne e il sangue (cioè la via naturale della conoscenza), bensì il Padre mio che sta nei cieli, e Io dico a te che sei Pietro» (Matth. 16, 17-18). Com’è bello il commento che vi fa, da pari suo, S. Leone Magno mettendolo sulle labbra di Cristo: «Come il Padre mio ha manifestato a te la mia divinità, così anch’io faccio nota a te la tua eccellenza (Serm. 4, 2; PL 54, 150). L’altra conferma è data dal fatto della trasfigurazione notturna di Gesù, avvenuta sei giorni dopo, sul monte, mentre risuona una voce dalla nube luminosa: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale Io mi sono compiaciuto; ascoltatelo» (Matth. 17, 5; cfr. 2 Pet. 1, 16 ss.).
Seguire questo filo evangelico ci porta nell’area evangelica di Giovanni, l’evangelista, storico non meno degli altri, ma con intento dottrinale e spirituale, dove la questione circa l’identità sia personale che operativa di Gesù occupa tutta la trama del racconto. Sarebbe interessantissimo, a questo punto, fare l’elenco dei titoli, con cui è designato Gesù nei Vangeli; ciascun titolo potrebbe essere soggetto di studio e, ancor più, di estatica meditazione. Gesù, il Maestro, il Figlio di David, è detto l’acqua che sola disseta (Io. 4, 10), il Pane del cielo (Io. 6, 41), la luce del mondo (Io. 8, 12), la porta della salvezza (Io. 10, 9), il Pastore buono (Io. 10, 11), la risurrezione e la vita (Io. 11, 25), la via, la verità e la vita (Io. 14, 6), ecc. (Cfr. L. DE GRAND MAISON, Gesù Cristo, IV, La Persona di Gesù; L. SABOURIN, Les noms et les titres de Jésus, Desclée de B.; O. CULLMANN, Christologie du N. T., 1955).
E ci porta all’epilogo della vita temporale di Gesù, e precisamente all’istante decisivo del suo processo religioso: Gesù è dichiarato «reo di morte» (Matth. 26, 66), perché alla domanda risolutiva del principe dei sacerdoti giudaici, che lo scongiura nel nome del Dio vivente di dire «se tu sei il Cristo Figlio di Dio» (Matth. 26, 63), Gesù risponde affermativamente: «Tu l’hai detto».
E quante altre affermazioni (Cfr. Matth. 11, 27; Io. 8, 52-58; 17, 1-6) e testimonianze dovremmo raccogliere (Cfr. Matth. 27, 43; 27, 54; Io. 20, 28) se una, un fatto dominante, la risurrezione, non le condensasse tutte e le certificasse, dando alla Chiesa nascente e alla successiva tradizione la fede nella divinità di Cristo. La fede, nell’aderenza rigorosa al dato storico, ma animata dalla chiaroveggenza dello Spirito e dal coraggio dell’amore, riuscirà finalmente a dare la definitiva risposta alla implacabile domanda: chi è Gesù? Ascoltiamo ancora una delle più alte voci, che troviamo nel Nuovo Testamento, quella di Giovanni: «In principio era il Verbo, . . . e il Verbo era Dio, . . . e il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi» (Io. 1, 1, ss.). È Dio, il Figlio di Dio, con noi. Ascoltiamo San Paolo: «Egli è l’immagine del Dio invisibile» (Col. 1, 15). E nel gaudio d’aver raggiunto la vetta della definizione di Cristo proveremo quasi un senso di vertigine, come fossimo abbagliati, e non comprendessimo più: non è Gesù che riconosciamo Cristo e che confessiamo Figlio di Dio, Dio come il Padre, che ci diede i documenti d’una sua sconcertante inferiorità? Fu Lui a dire: «Il Padre è maggiore di me» (Io. 14, 28). Non incontriamo continuamente nel Vangelo Gesù che prega? (Cfr. Luc. 6, 42) Non ascoltiamo angosciati il suo gemito sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Matth. 27, 46). E non lo vediamo morto, sì, morto come ogni altro mortale? Cioè: non vediamo in Lui un Essere, che congiunge in sé la divinità e l’umanità? Sì, proprio così. La definizione di Cristo, raggiunta dai primi Concili della Chiesa primitiva, Nicea, Efeso e Calcedonia, ci darà la formula dogmatica infallibile: una sola persona, un solo Io, vivente ed operante in una duplice natura: divina e umana (Cfr. DENZ.-SCH., 290 ss). Difficile formulazione? Sì; diciamo piuttosto ineffabile; diciamo adatta alla nostra capacità di raccogliere in umili parole e in concetti analogici, cioè esatti ma sempre inferiori alla realtà che esprimono, il mistero inebriante della Incarnazione.
Qui ci fermiamo, felici, forti, attaccati alla Verità, di cui la Chiesa e questa Cattedra su cui Noi stessi indegni sediamo, godono l’infallibile carisma. Ci fermiamo, impegnandoci a vivere in noi il mistero dell’incarnazione, nel quale il battesimo e la fede già ci hanno innestati; a viverlo: credendo, pregando, operando, sperando, amando, ed esclamando: «Per me vivere è Cristo» (Phil. 1, 21), pronti ad esplorare e, con la grazia di Dio, a sperimentare l’altro mistero di Cristo, che pure ci riguarda totalmente: la Redenzione.
Qui ci fermiamo. E impavidi lasciamo che la bufera delle avverse cristologie, del secolo scorso specialmente, e di oggi, del nostro secolo tutto luce e tutto tenebre, si scateni contro la nostra fede cattolica. Ammireremo lo sforzo estremamente erudito della cultura moderna su Cristo e su quanto riguarda la sua Persona, la sua storia, la sua documentazione; impareremo anzi anche noi a studiare di più. Ma saremo vigilanti, anzi diffidenti, osservando scuole succedere a scuole, e rilevando che nell’enorme erudizione di tanti maestri di solito s’insinua una loro ipotesi, un loro pregiudizio, una loro discutibile filosofia, che venendo in combinazione col tesoro scientifico da loro accumulato conduce spesso le conclusioni al naufragio nel dubbio invincibile o nella negazione radicale e irrazionale (Cfr. M. J. LAGRANGE, Le sens du christianisme . . . .; G. RICCIOTTI, Vita di Gesù Cristo par. 194-224; L. de GRAND MAISON, Gesù Cristo; S. ZEDDA, I Vangeli e la critica oggi, Treviso 1965; e per le recenti teorie negative: G. DE Rosa, La secolarizzazione del Cristianesimo, Civ. Catt. 1970, 2877, 2878).
Vigilanti e fidenti: «Chi ci potrà separare dalla carità di Cristo?» (Rom. 8, 35). Cantiamo il nostro Credo! Con la Nostra Apostolica Benedizione.
Direttori di Esercizi Spirituali
Con particolare compiacimento salutiamo stamane il gruppo dei Direttori di Esercizi Spirituali presenti a Roma per i lavori del loro III Convegno Internazionale.
Abbiamo saputo, figli carissimi, che l’argomento del vostro incontro è la formazione dei Direttori di Esercizi Spirituali per rendere sempre più efficace e più adatto agli attuali bisogni delle anime un lavoro apostolico tra i più fruttuosi nella Chiesa. Ce ne rallegriamo e ci congratuliamo di tutto cuore con voi. Vi guidi il Signore in questo encomiabile impegno, da cui Noi ci attendiamo preziosi risultati, e vi ispiri le misure più idonee a conservare e far rifiorire dovunque una pratica che la Chiesa tanto raccomanda ad ogni ceto di fedeli, onde ritemprare nel raccoglimento e nella preghiera le energie spirituali ed alimentare sempre più l’anelito alla santità e la fiamma della carità apostolica. A questo scopo, come segno della Nostra affettuosa stima e pegno delle più elette grazie celesti, impartiamo a voi tutti la propiziatrice Apostolica Benedizione.
La scuola pontificia «Pio IX»
Porgiamo ora il Nostro particolare saluto al numeroso gruppo - sono circa milleduecento! - della Pontificia Scuola «Pio IX», di Roma: superiori, insegnanti, alunni e loro familiari. La vostra presenza, come già il 29 gennaio 1969, ci procura la gioia di vedere attorno a Noi la grande famiglia del «Pio IX», di quell’istituzione che, fondata da quel grande e non dimenticato Pontefice come prova della sua sollecitudine per la formazione intellettuale della gioventù romana, prospera da 112 anni sotto la guida esperta, prudente, illuminata dei Fratelli di Nostra Signora della Misericordia. Da allora, la Scuola ha preparato numerose generazioni della gioventù, in maggior parte dei quartieri più vicini alla Sede Apostolica, ma anche di altre zone dell’Urbe, con la serietà dell’impostazione didattica, con Ia bontà del metodo pedagogico, con l’impronta familiare dell’ambiente scolastico, col sano agonismo dell’esercizio sportivo. Con quale spirito essa abbia adempito e adempia alla sua missione, ce lo dice la vostra venuta qui, oggi: un vero pellegrinaggio alla Sede di Pietro, per portare al Papa l’omaggio della pietà e dell’affetto, in cui si esprime la vostra fede cristiana.
Ve ne ringraziamo di cuore, ed esortiamo voi, carissimi giovani, a profittare dei tesori di luce e di grazia, che la Scuola «Pio IX» offre alla vostra intelligenza e al vostro cuore, per andare incontro alla vita con la quadratura necessaria ai nostri tempi. Voi sapete qual conto faccia la Chiesa delle scuole cattoliche: ne ha parlato in termini assai alti il Concilio Vaticano II, quando ne ha delineato i compiti nell’aiuto che esse devono dare agli adolescenti perché sviluppino la propria personalità in pienezza di vita cristiana, e nel dovere di «coordinare l’insieme della cultura umana col messaggio della salvezza, sicché la conoscenza del mondo, della vita, dell’uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dalla fede» (Gravissimum educationis).
Camminate in questa luce, carissimi alunni, mettendo a profitto gli insegnamenti dei vostri professori, che integrano la formazione ricevuta dai genitori, ai quali esprimiamo il Nostro compiacimento per l’appoggio che essi danno, con sacrificio, alla buona causa. Su tutti discendano copiose le grazie divine di letizia, di pace e di amore, di cui vuol essere pegno la Nostra Apostolica Benedizione.
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana