PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 22 marzo 1972
La Pasqua: prova e principio della nostra autenticità di seguaci e fedeli del Redentore
La Pasqua è vicina. Non possiamo, in questa nostra Udienza, staccata da ciò che è fuori di questa aula, per quanto tutti portiamo nell’animo l’esperienza trepida ed intensa della vita vissuta, non possiamo che parlare della Pasqua, che è pure, per noi credenti specialmente, un avvenimento importante della vita vissuta, non foss’altro perché è una giornata che si innesta, con qualche nota singolare di festa e di gioia, nell’assillante vicenda del nostro calendario profano e prosaico.
La Pasqua: che cosa è per noi? Che cosa dev’essere? Un incontro con Cristo. Dicevamo, in un’altra Udienza, un incontro personale. A pensarci, se così è, la Pasqua assume l’aspetto di un fatto molto originale, l’importanza d’un fatto molto interessante, molto bello anche; ma, proprio per questo, non poco imbarazzante. Pensiamo a qualche nostro ipotetico incontro con uno dei personaggi che dominano la scena del mondo; come ci comporteremmo? Che cosa gli diremmo? Faremmo anche noi, come il sarto del Manzoni (A. MANZONI, I Promessi Sposi, Cap. XXIV) all’incontro col Cardinale Federigo, una figura meschina e ridicola? E poi, pensando a Gesù Signore, si profilano davanti alla memoria, come scene alle quali fossimo presenti, gli episodi del Vangelo, nei quali davvero, sensibilmente, Egli, il Maestro divino, s’incontra con la gente di allora, sia prima che dopo la risurrezione, con qualche determinata persona, con cui un discorso si svolge, un fatto, che resterà storico e tipico per sempre, si compie, forse un miracolo si realizza . . .
INCONTRO PERSONALE CON CRISTO
E noi dobbiamo, noi pure, incontrare Cristo, vivo, reale, nell’apparizione, non sensibile, ma sacramentale, concettuale almeno, del suo mistero pasquale? Così dev’essere. E fra le innumerevoli cose, che un tale fatto suggerisce a spiegazione e a commento, noi qui due sole proponiamo un istante alla vostra considerazione.
La prima cosa riguarda il dove ed il come avviene il nostro incontro pasquale con Cristo; diciamo l’incontro che veramente importa e che riveste importanza eccezionale per la nostra esistenza e per la nostra mentalità. L’incontro è interiore. Diciamo interiore, cioè dentro di noi, nella nostra anima, nella cella intima della nostra personalità. Dovremmo aggiungere anche: nella chiarezza della nostra coscienza, e perciò nella folgorante impressione della misteriosa presenza di Cristo in noi, nell’impetuosa confessione della nostra umiltà (Cfr. Luc. 5, 8; Matth. 8, 8), nell’ineffabile esperienza della nostra comunione con Lui (Cfr. Io. 6, 57); ma questa, per sé ovvia, effusione dei sentimenti primordiali della coscienza religiosa (Cfr. Luc. 1, 43, 46), non sempre ci è dato gustare; inesperti siamo e spesso rimaniamo, come fanciulli, come forestieri, come infermi, al linguaggio della devozione psicologica, e ancor più della conversazione mistica. Pazienza. Ciò che importa si è che l’incontro con Cristo avviene dentro di noi, nell’ambito della vita interiore, nella sfera personale della nostra religiosità, e innanzi tutto della nostra fede. Non dimentichiamo, dicendo questo, la veste rituale e la specie sacramentale, che determinano sensibilmente l’incontro di cui parliamo; né tanto meno ignoriamo l’aspetto comunitario in cui si celebra la cena-sacrificio della Eucaristia, e l’effetto (la res) principale che scaturisce dalla partecipazione a tale sacramento, cioè l’unità del corpo mistico (Cfr. 1 Cor. 10, 17; S. TH. III, 73, 3); ma ora la nostra attenzione si ferma sull’interiorità della Pasqua, anzi di tutta la vita cristiana, vista sotto questo suo primo aspetto essenziale e generatore d’ogni sua manifestazione soprannaturale: la sua interiorità.
Ci vengono opportune le parole di S. Agostino, maestro di vita interiore, circa l’asse su cui si svolge la vita religiosa: Noli foras ire, in teipsum redi; in interiore homine habitat veritas (S. AUG. De vera rel., 39; PL 34, 154). Non voler uscire al di fuori, ma ritorna in te stesso, nell’uomo interiore abita la verità. Ora questo invito alla vita interiore e alla ricerca e all’espressione della verità religiosa, nella ricorrenza della Pasqua, si rivolge all’uomo moderno in maniera particolare; e ci dà ragione sia del perché l’uomo, ai nostri giorni, sia facilmente areligioso, o antireligioso; e sia perché dove egli, l’uomo contemporaneo, ritorni religioso, come tale volentieri si comporti e si esprima. Oggi l’uomo vive massimamente fuori di sé; vogliamo dire: estroflesso; anche quando fa professione di libertà, egli è di solito assai condizionato esteriormente. Se libero è colui che è principio dei suoi atti (Causa sui, come dicono i filosofi - cfr. S. TH. I, 83, 1 ad 3; Metaph. II, 9; Contra Gent. II, 48), noi possiamo domandarci se siamo liberi, cioè padroni di noi stessi, quando l’ambiente, i vincoli sociali, l’opinione pubblica, gli interessi temporali, la moda, il linguaggio dei sensi, ci obbligano a vivere prescindendo da un giudizio di verità o di scelta generato dal nostro spirito. Non è la religione che soffoca la libertà; è piuttosto la mancanza di libertà che soffoca la religione, impedisce cioè quell’orientamento razionale e morale e vitale, che nelle sue superiori e naturali esigenze tenderebbe al mondo religioso.
LA NOSTRA AUTENTICITÀ CRISTIANA
Il punto d’incontro naturale con Dio è nel cuore dell’uomo. E così è anche nell’ordine del regno di Dio, annunciato da Cristo. Tutto ciò che l’economia evangelica ci offre d’esteriore è mezzo, è via, è segno, è sacramento per condurci a quella realtà soprannaturale, che si celebra al contatto dello spirito umano con lo Spirito di Dio. Citiamo ad esempio, «Quando tu vuoi pregare (cioè incontrarti con Dio), entra nella tua camera, chiudi la porta, e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti esaudirà» (Matth. 6, 6). Del resto la nostra religione non è una adesione alla Parola di Dio? Per questo ci ammonisce S. Paolo: «La parola di Dio abiti in voi abbondantemente» (Col. 3, 16). E questa adesione, che altro non è se non la fede, quale primo effetto produce? Ancora S. Paolo risponde: «Per mezzo della fede abita Cristo nei vostri cuori» (Eph. 3, 17); a tal punto ch’egli dirà di sé ciò che ogni cristiano dovrebbe poter applicare a se stesso: «Io vivo, ma non più io, vive in me Cristo» (Gal. 2, 20).
A quale grado d’interiorità si consuma l’incontro con Cristo! Esso tende ad una identità. Questo ci dimostra quanto sia saggio lo sforzo della preparazione pasquale, il quale ci aiuta a rientrare in noi stessi, ab exterioribus ad interiora, quando ci invita all’ascoltazione della parola di Dio, ad un po’ di silenzio interiore ed esteriore, ad un po’ di riflessione cosciente, a qualche ritiro spirituale, cioè ad una libera disponibilità all’incontro di Cristo. L’appuntamento vero con Lui che passa (Pasqua vuol dire passaggio) è nel cenacolo silenzioso della nostra persona. Saremo noi là, dentro di noi, pronti all’appuntamento pasquale?
La seconda cosa circa l’incontro pasquale, che potrebbe dare tema ad altro discorso (a cui ora rinunciamo) è l’autenticità; la nostra autenticità cristiana. «Fare la Pasqua», come ordinariamente si dice, significa appunto questo: confrontare la nostra vita con l’impegno che la qualifica cristiana, e attingere da Cristo stesso la grazia per renderla tale. Ma non vogliamo tediare oltre la vostra pazienza. Vi basti sapere che il «fare la Pasqua» è la prova ed è il principio della nostra autenticità di seguaci e di fedeli di Cristo. Ed è questo il nostro augurio per voi, per noi tutti, con la nostra Apostolica Benedizione.
Missionari Comboniani
Partecipa a questo incontro un bel gruppo di Missionari Comboniani, delle Missioni Africane di Verona, i quali han concluso di recente uno speciale corso di aggiornamento e stanno per far ritorno alle loro sedi. Pensiamo che non sia necessario, figli carissimi, nel rivolgervi questa breve parola, di esprimere di nuovo o di riaffermare i sentimenti di commozione e di stima che ci procura, ogni volta, la presenza di chi, come voi, è attivamente e specificamente impegnato nel lavoro di evangelizzazione. Voi siete operai qualificati del Vangelo e svolgete, perciò, nella Chiesa una funzione di primaria ed essenziale importanza. La coscienza di tale servizio vi ha portato a Roma per riflettere ancora sulla vostra vita e sulla vostra missione: ci piace vedere, in questa parentesi, come una sosta davvero opportuna che vi ha dato modo di fare il punto sulle esperienze già maturate, di confrontarle e di metterle a comune profitto, e che vi consentirà di riprender presto, con rinnovato vigore, il contatto con le Comunità, alle quali portate l’annunzio della salvezza.
Noi vi ringraziamo di cuore e desideriamo incoraggiarvi nelle vostre iniziative, nei vostri sforzi, e soprattutto nei sacrifici, tanto più meritori quanto più nascosti, che sono componente quotidiana e costante nell’itinerario di ciascuno di voi. Vi sia di conforto la Benedizione Apostolica, che ora vi impartiamo e vorrete estendere, a nostro nome, ai collaboratori, ai catechisti ed a tutti i fedeli delle vostre Chiese lontane.
Studenti di New York
We greet the "Marching Kings" group and their families. Music is always a great joy: for the one who plays and the one who listens. Your music is an expression of your enthusiasm and your willingness to work together in unity and with discipline. In this way you create beauty and harmony, and so bring happiness to your audiences. For this you are to be commended. You are preparing yourselves to work in a World that needs to be renewed by the harmony of peace, justice and love. We assure you of our prayers that God will guide and assist you always.
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana