PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 3 dicembre 1975
Noi siamo presto alla fine dell’Anno Santo. Sorge spontaneo il pensiero della conclusione, non tanto circa i risultati, che sono difficili a calcolarsi, sia nelle statistiche numeriche relative alle persone che vi hanno preso parte, e sia più ancora nei risultati spirituali, di cui questo avvenimento religioso può essere stato principio, ma quanto all’orientamento generico degli animi di coloro che si sono, in qualche modo, arresi e uniformati all’invito programmatico dell’Anno Santo, nella sua duplice formula di rinnovamento e di riconciliazione. Possiamo semplicemente parlare dei propositi, degli impegni spirituali, che questa celebrazione, durata un anno, eminentemente personale e comunitaria, spera raggiungere nella Chiesa di Dio ed in quanti di essa sentono ed accettano il benefico influsso. In altre parole: che cosa resterà, o meglio: che deve restare nella storia spirituale degli anni successivi al Giubileo del 1975? Noi rispondiamo: un aumento di fede.
La parola « fede » nel linguaggio corrente assume diversi significati. Il primo significato, quello che non implica un preciso contenuto teologico, è quello di religione, o più semplicemente di religiosità. Noi vorremmo, noi auspichiamo che l’Anno Santo abbia risvegliato in molti animi di uomini del nostro tempo, di giovani specialmente, un nuovo, un più intimo, un più coraggioso senso religioso.
Due motivi confortano questa speranza: il primo motivo è dato dalle condizioni spirituali, o meglio antispirituali, in cui la generazione presente, devastata dalla tremenda e quasi inesplicabile esperienza delle guerre e delle conseguenti rivoluzioni, si trova: il disordine di per sé turba gli animi ed acuisce la sensibilità dei mali e dei bisogni presenti, delle forze immediatamente impegnate negli aspetti fenomenici degli avvenimenti; lo scandalo dei mali e dei ,dolori prementi genera pessimismo; il bisogno di rimedi derivati da fattori materiali e sperimentali orienta la fiducia in senso positivista e materialista; attenua la speranza trascendente, allontana dalla preghiera. La religione comporta l’ordine; l’ordine superiore e cosmico si fonda su Dio e su la sua Provvidenza; sconvolto l’ordine, la religione sembra illusoria, antiscientifica, alienante.
Secondo motivo: una distinzione sistematica, legittima nel suo principio e nel suo metodo, interessa oggi più che mai l’uomo moderno quando autorizza la cultura profana, la scienza specialmente, a svolgersi razionalmente e liberamente, in modo autonomo, « secondo i propri principii », prescindendo da riferimenti di natura religiosa (Cfr. Gaudium et Spes, 59). Questo sta bene. Ma pur troppo questa mentalità ha fatto spesso dimenticare la complessità del mondo conoscibile, e oppugnare l’esistenza d’un duplice ordine di conoscenza, quello per via di scienza e quello per via di fede, come ci insegna il Concilio Vaticano primo (Cfr. Denz-Schön. 3015). Questa mentalità in molti uomini di pensiero e in moltissima gente seguace dell’opinione pubblica è degenerata in negazione religiosa, in materialismo, in secolarismo, in agnosticismo speculativo, in indifferenza spirituale. L’ateismo, da rifiuto passivo della credenza in Dio, è diventato attivo e pugnace fautore della irreligiosità.
Ecco allora: noi speriamo che l’Anno Santo lasci un solco fecondo di religiosità negli animi di coloro che lo hanno fedelmente celebrato e anche di coloro che ne hanno osservato dal di fuori il significativo svolgimento. La religione è ancora viva ed operante. La fede non è contraria alla ragione, al pensiero, alla cultura, alla scienza, al progresso.
Per di più noi pensiamo che questa rinascenza apologetica e polemica del senso religioso abbia oggi un’altra sorgente, spontanea questa, sgorgante dal vuoto, che il materialismo, ateo o liberale, scettico insomma, ha prodotto negli animi di tanti giovani della nuova generazione, delusi fino alla disperazione, del dubbio e del nulla inoculati nei loro spiriti dal secolarismo di moda e dall’ateismo teorico o politico dei nostri giorni. Ed è da questo vuoto doloroso e tenebroso che un gemito sale di follia talvolta, d’implorazione tal altra, di piangente poesia in alcuni più intelligenti e più sofferenti presso a poco così: De profundis clamavi . . Dal profondo del mio spirito io ho gridato ... (Ps. 129, 1).
Non siamo ancora, a questo punto, al livello della fede. Ma siamo alla denuncia del bisogno della fede. Siamo sul piano della disponibilità, della religiosità soggettiva che aspira a diventare religione vera ed oggettiva; siamo alle porte della fede (Cfr. S. THOMAE Summa Theologiae, II.IIæ, 81, 1).
La quale, sì, diciamolo in questa prossima conclusione dell’Anno Santo: la fede è una fortuna, la fortuna della Realtà divina, raggiunta; è una felicità, la felicità della verità (ricordate il gaudium de veritate di S. Agostino (Cfr. S. Augustini Confessiones, X, 23); è una luce, la luce della Parola di Dio (Cfr. Io. 1, 9-12); è una forza, è un conforto, è una vita: la fede nella Parola di Dio è il principio della vera Vita (Rom. 1, 17).
Ricordiamolo. Con la nostra Apostolica Benedizione.
Saluti
Lavoratori anziani dell’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo ( AGIS)
Tra i gruppi presenti all’udienza vi è quello dell’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo (AGIS). Sappiamo che a questo vasto e composito organismo aderiscono numerosi enti che si occupano del mondo dello spettacolo, tra i quali l’Associazione Cattolica Esercenti Cinema (ACEC).
Vi porgiamo il nostro saluto e vi ringraziamo per questa visita. Voi celebrate il trentesimo anniversario dell’Associazione, e vi accingete a premiare quelli tra di voi che da più lunga data hanno lavorato nelle varie articolazioni di esercizio e di gestione dello spettacolo.
La vostra presenza rievoca nel nostro animo i difficili e delicati problemi che siete chiamati a trattare, e che riguardano anche l’ambito della nostra quotidiana sollecitudine pastorale. Ci permetterete quindi di rivolgervi l’invito, caldo e pressante, ad essere testimoni convinti di fedeltà e di coerenza verso quei valori che maggiormente hanno bisogno di essere sostenuti e difesi attraverso le varie forme dello spettacolo: intendiamo dire soprattutto i valori morali ed autenticamente culturali, che oggi attraversano - per quasi unanime ammissione - una crisi grave, preoccupante e minacciosa. Ogni altro interesse e finalità devono essere subordinati al primato di questi valori, indispensabili per il bene della società e per il suo retto e ordinato sviluppo.
Anche se non tutto - in questo settore - può dipendere da quanti si occupano solo dell’esercizio, è però certo che costoro possono offrire un apporto determinante, affinché il mondo dello spettacolo contribuisca non alla degradazione, ma alla elevazione morale della società.
Quanto più vi impegnerete in tal senso, tanto più sarete benemeriti verso la comunità a cui appartenete.
A tanto noi vi incoraggiamo, e per questo vi impartiamo di cuore la nostra Benedizione Apostolica.
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