OMELIA DEL SANTO PADRE
PAOLO VI
NELLA PARROCCHIA DI GESÙ DIVINO MAESTRO
Domenica di Pasqua, 2 aprile 1972
"Il Signore è risorto". Il Papa si dice felice di poter ripetere direttamente l'annuncio pasquale a una rappresentanza della sua diocesi, la diocesi di Roma. È il mandato affidato dal Signore ai Sacerdoti, e soprattutto ai Vescovi. È l'annuncio che per prima la Maddalena fece agli Apostoli, e che fu raccolto da due di essi: Giovanni, l'apostolo dell'amore, e Pietro, che aveva ancora nell'anima il peso di aver abbandonato Gesù e di averlo rinnegato proprio il giorno della sua Passione. Correvano. Pietro correva, e sentiva quasi il timore di doversi incontrare con Cristo. Arrivarono, e videro che il sepolcro era vuoto. E allora capirono quello che poi altri fatti avrebbero confermato: il Signore è risorto.
È una realtà che tutti investe e che penetra nelle anime, l'annuncio che il Papa viene ancora una volta a portare ai fedeli. Paolo VI sente tutta la gioia e la responsabilità di questa Parola, e si dice lieto di condividerla con gli altri Pastori: il Cardinale Angelo Dell'Acqua, suo Vicario per la diocesi romana; il Cardinale Wright, titolare della chiesa di Gesù Divin Maestro, già Arcivescovo di Pittsburgh (una delle più belle diocesi degli Stati Uniti, una città. mineraria, industriale), ed ora qui a Roma a servire la Chiesa; i Vicegerenti Ausiliari e il Vescovo della zona; il Vescovo Ausiliare di Brescia Monsignore Pietro Gazzoli, giunto a Roma per festeggiare la Pasqua in una chiesa che a Brescia deve in gran parte la sua vita; il parroco e i suoi coadiutori, provenienti appunto dalla diocesi di Brescia, così cara al cuore del Papa che nel suo seno fu iniziato al sacerdozio. Una parrocchia nuova, una chiesa nuova.
Dalle cose il senso della novità passa negli animi e trova il suo riflesso, la sua eco, la sua voce nel Vangelo della Risurrezione, che risuona tra le nuove mura nel giorno della Pasqua, giorno di novità. Si sente dire che la Chiesa sarebbe vecchia, conservatrice, passata, ormai fuori tempo, che non avrebbe il senso del nuovo da cui tanto è caratterizzato il nostro tempo. La novità, d'altra parte, è l'aspirazione centrale della nuova generazione, che è stata abituata dall'onda delle trasformazioni circostanti a desiderare sempre qualche cosa di diverso. La chiesa parrocchiale di Gesù Divin Maestro corrisponde, nelle sue strutture, a questo rinnovamento che invade tutta la società d'oggi, che si ripercuote sulle case, sui quartieri, sulle istituzioni, ma soprattutto sui pensieri, sulla mentalità, e che a volte diventa precipitoso, impaziente, addirittura rivoluzionario.
Questa mentalità trova nei cristiani, nella nostra fede, una precisa rispondenza. Un'analisi approfondita ci porterebbe a riconoscere che, se il mondo di oggi sente tanto l'urgenza della novità, lo deve proprio al cristianesimo, alla fede cristiana che ha messo il fermento nel cuore degli uomini. Il cristianesimo dice all'uomo: "quello che sei, quello che hai non basta; devi aspirare a qualche cosa di nuovo, a qualcosa di più".
Lo dice e l'ha detto in tanti modi che la gente, le generazioni, la storia, i costumi, la mentalità hanno assorbito questa lezione. Spesso gli uomini che sentono questa spinta, questo fermento non si domandano donde provenga, da che cosa sia stato originato. Ma il senso del rinnovamento del genere umano, la speranza di poter crescere, di progredire, di avere la possibilità di sviluppare i doni e i talenti che il Signore ci ha dato, sono radicati nel cristianesimo.
Proprio perché siamo cristiani, sottolinea Paolo VI, dobbiamo avere il senso del nuovo. La novità che si celebra nel giorno della Pasqua, poi, è così grande, così impensabile, così miracolosa, così bella che non l'avremo mai meditata abbastanza. Questo giorno, ripete un canto del popolo, l'ha fatto il Signore. Ha fatto cose grandi, ha fatto cose che sono al di là della nostra immaginazione. I primi ad averne notizia - gli apostoli, le donne che videro il sepolcro vuoto, i discepoli ai quali Cristo successivamente apparve - non erano, infatti, predisposti; erano anzi diffidenti. Ed è proprio questo che rende più credibile la loro testimonianza.
Paolo VI cita San Gregorio, il quale disse che credeva volentieri alla gente che non credeva. Se quei testimoni fossero stati pronti a credere, potrebbe nascere il dubbio che abbiano giocato di fantasia, che si siano lasciati illudere. Essi invece erano dubbiosi, restii, quasi incapaci di credere. L'avevano visto crocifisso, vestito di sangue, straziato in ogni maniera, morto, sepolto con una gran pietra fatta scivolare sulla bocca di una piccola grotta scavata nel sasso: una pietra che nessuno poteva rimuovere, tanto era pesante. Ma la pietra è stata ribaltata, i custodi sono fuggiti, il sepolcro è stato trovato vuoto. Alcune donne che l'hanno incontrato dicono che è risorto.
Non è, però, una risurrezione come quella che abbiamo incontrato in altre pagine del Vangelo. Non è come quella di Lazzaro, che da uomo è ritornato uomo, cioè quello che era. Né come quella del figlio della vedova di Naim, che era un ragazzo morto ed è tornato un ragazzo vivo, proprio come quello di prima. Gesù è tornato vivo, nell'identità fisica, psicologica, morale, umana di prima, ma - ecco il salto, la novità che ci rende esterrefatti - spiritualizzato. È come se l'anima fosse diventata più piena, più forte e avesse vitalizzato di una nuova energia il corpo di Cristo, e non per farlo morire di nuovo, come sono poi morti nuovamente quelli che Gesù aveva risuscitato, ma per consacrarlo alla vita eterna.
Lo Spirito che di natura sua è immortale ha animato il corpo di Cristo risorto così da renderlo vivo a tutt'oggi.
Gesù è vivo. Dov'è? Non lo sappiamo, perché non lo vediamo, ma sappiamo che Gesù esiste, vivo, con i suoi occhi, con le sue mani, con le sue piaghe come le ha mostrate quando entrò nel Cenacolo e disse: "Vedete, toccate, questa è la mia carne". Gli apostoli lo videro mangiare e bere con loro. Ma videro che c'era in Lui ,qualcosa di fisico e qualcosa di superspirituale: una nuova vita. Il pensare a questa nuova vita è caratteristico della nostra fede cristiana. Noi crediamo la Risurrezione di Cristo, noi crediamo che davvero Gesù ha fondato una nuova forma di vita, che ha promesso agli altri.
La Pasqua di Gesù, questa Pasqua miracolosa, prodigiosa, superiore alle nostre capacità di pensare e di immaginare, è assicurata per noi. Siamo tutti destinati a risorgere come Gesù. Il Signore farà il miracolo di estrarre dalle tombe e dalla dispersione il nostro povero essere umano e ridarà ad esso la sua fisionomia, la sua statura, la sua realtà, ma in una forma particolare di perfezione, di bellezza, di completezza, di eleganza, di vitalità, di pienezza.
È la pienezza della vita eterna - ricorda il Papa - che si celebra nel giorno di Pasqua. È la Risurrezione non solo di Gesù, ma anche nostra. Il fatto miracoloso della Risurrezione dei morti avverrà alla fine dei tempi, alla fine dei secoli, quando cioè il Signore ha stabilito nel suo orologio eterno di cui non conosciamo la misura. Ma sarà. E adesso? Adesso, noi abbiamo già in anticipo il pegno della Risurrezione. Non siamo soltanto uomini in carne ed ossa. Abbiamo un principio, un seme, un segreto immesso nel nostro essere. È il principio di questa Risurrezione, di questa immortalità beata che ora ci è promessa come fede e come speranza, ma che domani sarà nella sua pienezza e nella sua realtà. Questo principio si chiama la Grazia, cioè la vita divina comunicata a noi. Viviamo di questa energia misteriosa che ci garantisce la vita eterna. Ci è data nel Battesimo, in cui siamo rigenerati. Paolo VI cita, in proposito, l'Inno della Risurrezione, ascoltato ancora una volta nella Basilica di San Pietro la sera del Sabato Santo, uno dei migliori inni di tutta la letteratura non solo sacra ma umana, in cui è detto: non ci sarebbe valso nascere se non avessimo potuto rinascere.
La vita umana così com'è sarebbe una bellissima, ma povera cosa, così breve, così piena di malattie, di fatiche, di dispiaceri, tanto che molta gente, e proprio quella che dalla vita ha di più, si sente infelice. Il Papa accenna, addolorato, ad un recente sconcertante episodio, di cui la cronaca si è ampiamente occupata. Che cos'è la nostra vita se non ha l'infusione della Grazia, se non è innestata nel circuito della vita divina, se non è in contatto con il Dio immortale? Questo contatto con la immortalità di Dio, questa grande novità che ci è data col Battesimo, infonde in noi un'energia, un seme di vita superiore che un giorno fiorirà, scoppierà: e saremo risorti.
Adesso è sepolto nel cuore, ed abbiamo una terribile responsabilità. Come se fosse una luce, possiamo accenderla, tenerla accesa ma anche, con un soffio, spegnerla. Cioè possiamo mantenere in noi la Grazia di Dio animatrice della nostra esistenza, e possiamo spegnerla, quando diventiamo così sciagurati da commettere qualche volontario e grave peccato. Con il peccato, la vita divina in noi si spegne. All'apparenza restiamo quelli di prima; nella realtà siamo dei morti.
Abbiate gelosamente cara - è la esortazione pasquale del Santo Padre - la Grazia di Dio; fate che mai quella morte che si chiama peccato abbia a privarvi di questa luce miracolosa che viene a posarsi dentro di noi e accende in noi il principio e la speranza sicura della vita soprannaturale ed eterna.
La prima e grande novità che ci reca la Pasqua è la vita della Grazia. Se siamo cristiani, siamo in comunicazione con Cristo, e da Lui riceviamo quell'alito che respira dentro di noi e ci fa candidati alla vita eterna. Ma basta così? San Paolo sviluppa la riflessione su questo nuovo stato dei cristiani: se siete rinati con la Grazia, vivete una vita nuova; siate logici, siate coerenti. Cristiano, sii cristiano, vivi da cristiano. Una nuova legge, una nuova fortuna è venuta dentro di te. Tu hai la legge dell'amore, la legge della presenza di Cristo nella tua anima. Devi vivere perciò in conformità a questa predilezione di Dio, a questa tua fortuna. Devi vivere da cristiano.
Cambiano le forme, ma il nostro stile di vita deve essere sempre caratterizzato da queste novità. Tante volte esse si vedono anche esteriormente. Paolo VI indica, ad esempio, i ragazzi, che vivono senza neanche accorgersene, nella loro innocenza, la Grazia del Signore. E tante anime elette che vivono la vita nel mondo (operai, impiegati, padri di famiglia, secondo il ruolo che la vita sociale comporta per ciascuno) portano in sé questa novità perenne, questa sorgente che continuamente obbliga ad essere nuovi, buoni, perfetti.
È un'esigenza tale che non lascia mai quieti. Gesù ha detto agli uomini che devono diventare perfetti come è perfetto il Padre Suo; ha offerto un modello insuperabile, infinito. Ha chiesto uno slancio affannoso, inquieto. A volte avviene che la promessa, il desiderio, l'ansia di essere cristiani rendano l'anima sempre sveglia. Vigilate e pregate, ci dice il Signore. Non dobbiamo essere anime addormentate.
Il cristianesimo non è un soporifero che fa addormentare gli uomini, o che li rende sì tranquilli, ma come macchine. I cristiani sono anime vive, lucerne ardenti, fiamme che non possono stare tranquille. Il Papa ci esorta ad avere sempre lo slancio interiore verso la vita buona, il genio del bene; ed a cercarne le forme sempre nuove e adeguate, come ha fatto anche nella recente Lettera Apostolica Octogesima Adveniens dedicata alla posizione del cristiano di fronte alle trasformazioni sociali. Abbiate la fantasia del bene - dice il Papa - cercate di saperlo immaginare, di saperlo creare.
Tante famiglie religiose, per esempio, sono nate proprio dal desiderio della novità, di far qualcosa di personale, di nuovo, di generare un cristianesimo sempre in primavera, e non un cristianesimo vecchio, abituale, consuetudinario, stanco, incapace di affrontare i bisogni nuovi. "Credete voi - domanda il Santo Padre - che noi abbiamo paura di tutte le novità del mondo che ci circonda? Che il cristianesimo non sarà capace di affrontare tutte le grandi novità sociali, politiche, economiche che ci nascono davanti, e ingigantiscono, e talora portano dentro di sé il destino di capovolgersi?".
Accade che scoperte magnifiche, destinate alla felicità dell'uomo, si trasformino poi nella sua disgrazia. Se ne ha un esempio dalla questione dell'ecologia. Talora il progresso produce la morte. Abbiamo inventato armi così strepitose che potrebbero distruggere addirittura il mondo. Abbiamo scoperto tanti segreti del creato e abbiamo ancora il grande mistero che ci consuma l'anima fino alla disperazione: non sappiamo perché viviamo, dove andiamo. Abbiamo questo grande desiderio di conoscere il tutto che è Dio, ma abbiamo ancora gli occhi ciechi davanti a questa luce.
I cristiani, però, sono abituati ad accogliere la novità come una primavera, e soltanto nel suo aspetto positivo e buono. Possiamo vivere bene, accettare i doni del progresso, ma con la misura, con la libertà di spirito, con la superiorità che un cristiano deve avere. Il nostro destino non è qui. Adoperiamo le cose perché sono opere provenienti sì dalla mano dell'uomo, ma in ultima analisi dal genio di Dio. Stiamo bene nel mondo in cui il Signore ci ha chiamato a vivere, ma sempre con il desiderio del più, il desiderio di salire, il desiderio del nuovo. Abbiamo l'obbligo - è l'esortazione finale del Papa - di vivere sempre una vita nuova: la vita di Gesù risorto.
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