RITO QUARESIMALE A SANTA MARIA DELLA VISITAZIONE
OMELIA DI PAOLO VI
Domenica, 19 marzo 1972
Il Santo Padre si reca, nel pomeriggio, alla chiesa parrocchiale di Santa Maria della Visitazione a Casal Bruciato sulla via Tiburtina, dove celebra la Santa Messa. Dopo il Vangelo egli rivolge la sua parola ai fedeli soffermandosi sull’importanza della verità e realtà religiosa per gli uomini del nostro tempo. Riportiamo i pensieri principali dell’Omelia.
Il Papa saluta i presenti ricordando le parole di Gesù ai discepoli quando essi, durante una burrasca, lo videro che camminava sulle acque. Si spaventarono e dissero: «È un fantasma». Ma Cristo gridò da lontano: «Non abbiate paura, sono io, confidate». «Il saluto di Gesù vuol essere il mio in questo momento - così Paolo VI -. Forse vedete il Papa per la prima volta, e avete qualche timore, qualche riserbo. Ebbene, vi dico: non abbiate paura. Sono io, uomo come voi, bisognoso della misericordia del Signore come voi. Siate tranquilli e siate contenti».
Il Santo Padre esprime quindi la sua riconoscenza al Cardinale Vicario, presente al rito nonostante una recente malattia, elogiandolo per l’opera che presta in sua vece per l’assistenza pastorale di Roma, che tanto si espande e che tanto ne ha bisogno. Poi il Papa saluta e ringrazia il vescovo ausiliare Monsignor Zanera, gli altri Presuli, i parroci della prefettura della zona, la comunità parrocchiale tutta, nella persona del suo parroco Don Gregorio; i sacerdoti che lo assistono, le Suore missionarie Minime del Sacro Cuore, che si prodigano in particolare nell’assistenza ai fanciulli; infine tutte le famiglie. Ha quindi sottolineato alcune delle attività della parrocchia, come il gruppo catechistico e tutte quelle che cominciano a riunire i fedeli in nuclei distinti i quali poi concorrono a fare di tutta la comunità un corpo organico e bene organizzato. «Cercate davvero di comporre la vostra parrocchia in queste forme, che rendono più facile, più efficace, più rispondente alle necessità il ministero del parroco».
ATTIVITÀ, OPERE, IMPRESE
Paolo VI ricorda di aver visto, avviandosi verso la parrocchia, numerosi gruppi di giovani: sono le generazioni nuove che non hanno ancora la conoscenza esatta di che cosa sia la Chiesa. Invita perciò i presenti ad aprire generosamente le braccia a questa gioventù, facendo capire ad essa che nella Chiesa potrà trovare comprensione, aiuto, elementi per dare un senso alla vita. All’insieme della comunità parrocchiale, il Papa intende lasciare, a ricordo della sua venuta, la risposta a una domanda che è ripetuta nel nostro tempo da diversi ambienti, da tante correnti di opinione pubblica: a che cosa serve la religione? Siamo infatti abituati a giudicare ogni cosa dalla sua utilità. Il nostro mondo è ricco di attività, di opere, di imprese. Per ciascuna, ci si chiede di solito quale sia la sua funzione; e questo interrogativo non risparmia la religione, la fede, la Chiesa. Che utilità v’è nel costruire una chiesa per radunare la gente, per far sì che si preghi? Tanti, purtroppo, rispondono che non serve a niente, che nel nostro tempo non c’è bisogno della religione. Si può vivere bene - sostengono - anche senza questa espressione dello spirito umano, senza questa organizzazione speciale che compone la comunità, cioè senza la Chiesa. Sembra che il mondo, anche prescindendo dalla fede, vada avanti lo stesso. Si compiono infatti opere grandi; gigantesche realizzazioni coprono la faccia della terra. L’industria, il commercio, la cultura, la scuola, la scienza, la sanità sono tutti campi dell’attività umana dove la religione non appare direttamente. Oggi si cerca di secolarizzare la vita, di renderla cioè spoglia di tutti i vincoli, di tutti i ricordi che possono unirla a una fede religiosa. Vogliono liberare (così dicono) il mondo da questa sopravvivenza, che le generazioni venute prima di noi hanno tanto amato e professato, e reso celebre con chiese, monumenti e opere d’arte.
Il mondo moderno, invero, mostra di tendere a questa secolarizzazione. Ma è bene che sia così? Si può vivere senza la fede? Specialmente coloro che vivono a Roma possono vivere senza sentirsi membri della Santa Chiesa di Cristo?
In realtà questo mondo, che ha tante opere grandi, belle, ricche, nuove, non è contento di sé. Non è soddisfatto, non è tranquillo. Sentite, ha domandato il Papa, il disagio che c’è nel mondo? Non vedete la vita sociale turbata da tante inquietudini, da tante lotte, da tante cosiddette ideologie irriducibili e in contrasto fra loro? La gente, in fondo, è infelice. E tanto più gode, tanto più è scontenta. Tanto più possiede, tanto più si sente insoddisfatta. Manca qualcosa; nel mondo c’è una disfunzione. Qui manca la libertà, là manca il pane, qui manca la giustizia, là manca la cura necessaria per lo sviluppo.
Il mondo manca di Dio, manca di fede, manca di ciò che da Dio gli può venire. L’uomo non vive di solo pane, cioè soltanto di tutte le cose che vengono dalla terra. L’uomo ha bisogno di qualcosa che viene da più in alto, di ciò che scende dalle labbra di Dio: della Parola di Dio.
RENDERE LOGICA LA NOSTRA VITA
Paolo VI richiama questa frase di Gesù letta poco prima nel Vangelo: «Quando si cammina nelle tenebre, non si sa dove si va». Si va a tentoni. Il mondo contemporaneo, nel suo aspetto visibile, corre, moltiplica i suoi passi, ma è un cieco che cammina nelle tenebre. Abbiamo bisogno di luce, di verità, di principi, cioè di poter rendere la nostra vita logica, derivata da alcune affermazioni che ci mettono in contatto con Dio. L’uomo oggi è nel mondo senza sapere donde viene, dove va e perché vive. Il perché della vita gli sfugge. È bravissimo l’uomo moderno, ma non sa perché lavora. Non a caso si nota che la cosiddetta contestazione di questi anni, che è una forma di ribellione contro ciò che il mondo crea di più bello e di più grande, nasce specialmente là dove il mondo si è affermato con maggiori opere e con maggiori documenti della sua potenza e della sua sapienza. Proprio dalle nazioni più evolute sale questo senso di nausea della vita, questo malcontento di ciò che si fa, questa insoddisfazione radicale.
«Se uno cammina nelle tenebre, non sa dove va». Occorre che si accenda una luce. E questa luce è la fede, è la nostra religione, è la Parola di Cristo che ci dice donde veniamo, dove andiamo e perché esistiamo. Il segreto della nostra esistenza è in questa rivelazione che ci è data da Cristo, dal suo Vangelo e da questo strumento della Sua voce che si chiama la Chiesa. Il Papa è veicolo, tramite della Parola di Cristo che illumina. Quando in un ambiente oscuro, nella notte, si accende una luce, gli occhi vedono le cose. Le cose acquistano un posto, una figura, un senso. Ebbene, ciò che dà un senso alla nostra vita è la luce centrale della fede.
Quando si ha la luce, si opera, si cammina, si tocca, si sente, si parla, si crea un vincolo sociale di comunità. La Chiesa, con la sua luce, crea la comunità vera tra gli uomini. Dalla verità nasce la carità, nasce l’amore, nasce la simpatia verso il mondo, verso le cose, verso gli altri. Nasce l’impulso a volersi bene vicendevolmente perché ci si conosce. E ci si conosce come fratelli: siamo tutti figli di Dio, destinati a quell’esperimento che si chiama vita presente, per guadagnarci la vita futura.
COME RISOLVERE LE QUESTIONI SOCIALI
Nasce il desiderio di ringraziare il Signore perché ci dà il pane. E nasce l’ansia di trovare il pane per chi ha fame, di diventare cioè provvidi, solerti, solleciti, bravi a dare una soluzione a tutte le questioni. Le questioni sociali, ha osservato il Papa, sono quelle che oggi premono di più sulla coscienza della vita pubblica. Bisogna risolverle. Ma come daremo giustizia, pane, libertà, diritti a chi non li ha? Chi solleverà il povero, l’oppresso, e lo renderà uomo degno e cittadino civile come gli altri? Ebbene, è la verità, che ci guida, che ci parla dall’alto e ci fa intendere il vero significato, il fine, la bellezza, la gioia dell’opera di Dio. Bisogna derivare dalla fede, dal fatto che ci si riunisce in chiesa per pregare il Padre e per incontrare Cristo benedetto nella Eucaristia, l’impegno per la giustizia. E nel cercare di rendere vive e operanti nella vita le parole del Vangelo ci si trova di fronte a due grandi doveri. Il primo ci impone di amare Dio con tutto il cuore, con tutte le forze, con tutta l’ansia delle nostre aspirazioni. Dobbiamo cercare di essere uomini religiosi non per abitudine, o solo perché viviamo in una società cosiddetta cristiana, ma per coerenza con la nostra convinzione interiore.
Il secondo dovere consiste nell’amore per il prossimo. Dobbiamo amarci gli uni gli altri. Ha detto Gesù, congedandosi dalla sua vita temporale per andare, dopo la Croce, all’eterno Padre e alla vita eterna: ricordatevi che si riconoscerà se siete o no miei seguaci se vi amerete gli uni gli altri. Si riconoscerà che siete cristiani dall’amore che saprete effondere dalle vostre anime verso gli altri.
La Chiesa si adopera per radunare i fedeli, per insegnare loro ad amarsi, a formare quella società, quel Corpo Mistico di Cristo, che è la carità, l’amore degli uomini derivato dall’amore di Dio. È qui la risposta alla domanda: a che serve la religione? Serve per vivere. Non si può vivere veramente - conclude il Santo Padre - senza la fede, senza Cristo. Ricorda, in proposito, il racconto evangelico della Risurrezione di Lazzaro, in cui Cristo dà una definizione di se stesso da meditare attentamente come una grande apertura di luce che il Signore ha fatto con le sue parole. Davanti a una tomba, davanti alla morte che sembra inesorabile, che non ha rimedio, che un giorno tutti ci consumerà, si leva la voce di Cristo onnipotente che dice: lo sono la Risurrezione e la Vita. «Cristo è la nostra Risurrezione e la nostra Vita. Stiamo vicino a Cristo, cerchiamo davvero di essere uniti a Lui e avremo in noi la soluzione dei nostri problemi, avremo la speranza e la sicurezza della vita eterna».
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