CELEBRAZIONE DIOCESANA NELLA PARROCCHIA DEL
SANTISSIMO SACRAMENTO A TOR DE' SCHIAVI
OMELIA DI PAOLO VI
Solennità del «Corpus Domini»
Giovedì, 1° giugno 1972
Fratelli,
Noi celebriamo la festa del «Corpus Domini», la festa del Sacramento dell’Eucaristia.
Procuriamo di comprendere qualche cosa di questo mistero, perché, innanzi tutto, dire «sacramento» vuol dire qualche cosa di nascosto. Cioè, di nascosto e insieme di manifestato; nascosto nella sua realtà sensibile, ma manifestato per via di qualche segno. Di quale realtà si tratta? si tratta, niente meno che di Gesù Cristo. Di Lui, proprio di Lui vero e reale, quale ora si trova in cielo, nella gloria del Padre. E per quale segno ci è rappresentato? Un segno che vuole ricordarcelo quale Egli fu all’ultima cena, anzi quale fu nel suo sacrificio della croce, perché anche l’ultima cena fu un segno, una figura rappresentativa della passione. L’Eucaristia è un segno, una memoria; ma non solo segno, ma segno che contiene la realtà che vuole significare, contiene Gesù, rivestito per noi nell’Eucaristia nei segni del pane e del vino, i quali contengono e sono, mediante un miracolo di trasformazione essenziale, la «transustanziazione», carne e sangue di Cristo, cioè Gesù in stato di vittima, di sacrificio.
Noi rimaniamo ammirati, ma confusi. Perché Gesù ha voluto rendersi presente in questa maniera? Questa domanda non è indiscreta, se espressa con umile ed amorosa sincerità. Osserviamo bene, perché vi sarebbero molte cose da dire; scegliamo quella che appare più semplice e più importante. L’intenzione di Gesù, istituendo l’Eucaristia, qual era? Anche un bambino, istruito nel Catechismo, e anche un fedele che guarda queste cose meravigliose, possono rispondere, e dicono: Gesù ha istituito questo Sacramento per la Comunione, cioè per dare Se stesso in comunione a quelli che lo ricevono.
Difatti che cosa vuol dire fare la prima Comunione? ovvero fare la Comunione? vuol dire ricevere quel sacramento prodigioso dell’Eucaristia, cioè del Corpo e del Sangue del Signore, come proprio cibo, come alimento della propria vita. Gesù si è voluto mettere in una condizione tale da poter essere il nutrimento interiore e vivificante della nostra umana e presente esistenza. Ricordate le parole esplicite, anche se difficili a capirsi, di Gesù, che disse: «Io sono il pane della vita . . . Io sono il pane vivo . . . Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed Io in lui . . . Chi mangia me, vivrà di me . . . Chi mangia questo pane, vivrà in eterno» (Io. 6). Parole difficili, ripetiamo; ma parole del Signore, parole vere. Insomma: che cosa voleva dire il Signore enunciando questa Sua intenzione di farsi cibo dei suoi fedeli, di quelli cioè che accettano la sua parola e che ci credono, e accolgono questo superlativo «mistero di fede»? Voleva rendere possibile, anzi doverosa la nostra «comunione» con Lui. Comunione? sì comunione, cioè un’unione intima, profonda, perfetta. Una specie di simbiosi mistica, come diceva San Paolo: «Per me vivere è Cristo» (Phil. 1, 21). Ma è mai possibile, diciamo, fisicamente? Come può da noi, da ciascuno di noi essere avvicinato Gesù? Gesù che visse tanti secoli fa, Gesù che visse in un piccolo paese lontano? tempo e spazio ci separano da lui; come è possibile? e poi, Lui, Figlio di Dio vivo e Dio Lui stesso, Lui il Messia, Lui il Salvatore del mondo, Lui il primogenito dell’umanità redenta, il centro della storia e del mondo? (Cfr. Col. 1) com’è moralmente possibile, a ciascuno di noi, a noi peccatori, venire a contatto con Lui? Vien fatto di dire, col centurione del Vangelo: «Signore, . . . io non son degno!» (Cfr. Luc. 7, 6). Eppure la sua parola risuona così: «Venite a me tutti . . .» (Matth. 11, 28).
Qui dobbiamo fermarci. Chi ha l’intelligenza delle cose vere, delle cose profonde, chi ha il coraggio della verità e dell’amore, chi ha intuito quale sia la Parola creatrice, che esce dalle labbra di Cristo, di Colui che aveva moltiplicato i pani per sfamare la folla, chi insomma crede in Cristo, deve pur dire a se stesso: anch’io sono invitato; Egli è Pane di vita anche per me; la comunione con Lui \e pronta; è offerta anche per me. Purché purificato dal peccato, anch’io, chiunque io sia, piccolo, misero, infelice, malato e vecchio, ovvero carico e sovraccarico di fatiche e di faccende, anche io sono invitato; Egli mi aspetta; Egli è per me . . . «Egli mi ha amato, e ha dato la sua vita per me» (Gal. 2 , 20). La comunione è pronta. Questa è la realtà, questa è la festa, questo è il «Corpus Domini». Siamo tutti attesi alla mensa del Signore, che vuole a Sé incorporarci, incorporandosi a noi.
La meraviglia è al colmo. La porta della vita nuova, sopra il piano della vita naturale, è aperta. La vita del regno di Cristo, anche ai livelli dell’intensità spirituale, dell’esperienza mistica, del preludio e del pegno della vita eterna, ciascuno può dire, è anche per me. La comunione con Cristo, in profondità estremamente personale, è per me.
Ma non è tutto: ancora, ancora: questa elementare riflessione Sull’Eucaristia ci svela un’altra comunione. Sì, le comunioni prodotte dall’Eucaristia sono due. Una è con Cristo, abbiamo detto. L’altra è con gli uomini. Precisiamo: è con quegli uomini che siedono alla stessa mensa divina, che mangiano quello stesso Pane vivo, che è Cristo. Conosciamo tutti le parole rivelatrici di San Paolo a questo riguardo. Egli scrive: «Il pane che noi dividiamo non è forse comunione del corpo di Cristo? allora unico è il pane ed unico il corpo che noi, pur essendo molti, formiamo, poiché tutti partecipiamo ad un unico pane» (Cfr. 1 Cor. 10, 16-17). Così che la nostra comunione individuale con Cristo produce una comunione sociale con i Cristiani. La stessa vita divina circola in tutta la comunità di coloro che condividono la medesima fede, la medesima grazia, la medesima società ecclesiale: diciamo di più: il medesimo corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa. Il corpo reale e sacramentale del Signore alimenta e fa vivere del suo Spirito il corpo spirituale e sociale, che siamo noi, membra dell’umanità compaginata in Cristo. Bisogna dare molta importanza a questa teologia fondamentale, che stabilisce una corrispondenza fra le due comunioni, una con Cristo vivo e personale in Cielo, che a noi si concede nel segno memoriale e sacrificale dell’amore profuso per noi, l’altra con Cristo presente negli uomini resi nostri fratelli dall’identico amore. Il tema è fecondo d’altre visioni: questa seconda comunione, quella con i fratelli, è preventivamente richiesta dal Signore come requisito per sedere alla sua mensa (Cfr. Matth. 5, 23); non si può accedere all’altare con l’odio nel cuore, o col rimorso d’avere offeso un fratello; e non si può lasciare la mensa del Signore, dimenticando il «precetto nuovo», ch’Egli con intenzionale gravità, dandosi a noi, ci ha trasmesso: «amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato» (Io. 13, 34). L’Eucaristia diventa in noi la grande sorgente dell’amore fraterno, anzi della carità sociale. Noi che onoriamo l’Eucaristia dovremmo dimostrare nel sentimento, nel pensiero, nella pratica, che sappiamo davvero amare il nostro prossimo, anche quello che non siede alla mensa del Signore con noi, anche quel prossimo che manca ancora di comunione di fede, di speranza, di carità, di unione ecclesiale, ovvero manca di qualche cosa necessaria alla vita: di dignità, di difesa, di assistenza, di istruzione, di lavoro, di pane, di ottimismo, di amicizia; ogni deficienza umana diventa programma alla scuola di Cristo. L’insegnamento d’amore, che scaturisce dall’Eucaristia, ci deve trovare tutti alunni disposti a perdonare, a beneficare, a servire il nostro prossimo, fin dove sono allargabili i confini delle nostre possibilità. Non è utopia, non è iperbole; è la radice della società umana, non fondata sull’egoismo, sull’odio, sulla vendetta, sulla violenza, ma sull’amore. Questo, dopo l’Eucaristia, sarà il distintivo dei vari discepoli: l’arte di amarsi a vicenda (Io. 13, 35; 15, 12).
O Fratelli e Figli carissimi, che ascoltate la nostra umile voce, vogliate ascoltare quella divina che parla dal sacramento che ora stiamo adorando e meditando, per la salvezza vostra, per l’onore di questa Roma cristiana, per la prosperità e la pace del mondo in cui viviamo; l’invito alla comunione sacramentale con Cristo, e alla comunione sociale in Cristo con gli uomini tutti.
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