LETTERA DEL SANTO PADRE PAOLO VI
A SUA ECCELLENZA GIUSEPPE SARAGAT,
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA*
A Sua Eccellenza Giuseppe Saragat
Presidente della Repubblica Italiana
Signor Presidente!
La ricorrenza centenaria che l’Italia si appresta a celebrare, non ci trova, com’è ovvio pensare, né immemori, né indifferenti, ma essa riempie il Nostro animo di ricordi, di esperienze e di presagi. La eccezionale importanza di quell’avvenimento non può certo sfuggire alla Nostra riflessione specialmente per i suoi due aspetti storici principali: la fine del potere temporale dei Papi su gli «Stati Pontifici», e l’annessione di Roma all’Italia, che consolida in essa la sua unità e vi fissa la sua Capitale.
Ci consenta, Signor Presidente, di aprirle il Nostro cuore con sincera semplicità. Il triste dissidio fra Chiesa e Stato, prodottosi allora per quell’avvenimento, la famosa «questione romana» cioè, che tenne divisi tanto aspramente e lungamente gli animi degli Italiani, è stato con libero e mutuo accordo concluso.
Ci asteniamo perciò di proposito da ogni retrospettiva valutazione storica, giuridica, politica e sentimentale, Fermiamo al presente la Nostra attenzione, e consideriamo con limpida e pastorale benevolenza il secondo aspetto di quello stesso avvenimento nelle sue felici risultanze per l’Italia, per questo Paese, che non possiamo non amare con particolare ed intensa dilezione.
Noi vogliamo pertanto esprimere a Lei, Signor Presidente, e a tutto il Popolo Italiano, i Nostri voti migliori per le sue presenti e future civili fortune. Quali mai voti può avere il Papa per una Nazione, che commemora il fatto culminante del suo risorgimento? I Nostri voti sono di stabilità, di concordia, di prosperità, di progresso sociale e morale, di pace per tutto il Popolo Italiano. I Nostri voti sono tanto più vivi quanto più complesse e più gravi furono le vicende del primo secolo di codesta unificata vita nazionale, e quanto pari all’onore è l’impegno dell’Italia d’aver fatto proprio il nome augusto di Roma: onore grande, impegno grande.
Molti e diversi giudizi potranno essere fatti sul Papato nei riguardi di questa singolare e secolare Città; ma nessuno, Noi pensiamo, vorrà disconoscere la stima e l’amore che i Papi portarono all’Urbe e al suo retaggio culturale. Noi siamo sicuri che l’Italia, sovrana a Roma ed erede del suo incomparabile patrimonio di civiltà umana e cristiana, documentato, ad esempio, nei monumenti, nella lingua latina, nel Diritto Romano, ne sarà sempre premurosa e geniale custode, non solo nella conservazione dei suoi altissimi valori, ma nella sua propria capacità di trarne per se stessa e per il mondo l’inesauribile fecondità. La passione stessa, con la quale l’Italia subentrava alla gestione pontificia nel possesso di Roma e dei suoi territori, fa garanzia a tale riguardo d’una nobile, insonne ed operosa coscienza. Di ciò Noi siamo sinceramente lieti, e formiamo per ciò auspici felicissimi e cordialissimi, quali Noi, osiamo dire, non meno d’alcun altro possiamo esprimere.
Perché, Signor Presidente, Noi ancora siamo Romani, e tali restiamo per inestinguibile titolo, quello a Noi proprio di Vescovo di questa dilettissima Urbe, e per ciò stesso Capo della Chiesa cattolica. Siamo dunque tuttora profondamente legati a questa eterna Città e, per quanto ci riguarda, solo solleciti di quella libertà e di quella indipendenza, che consentano alle Nostre spirituali funzioni, nell’Urbe e nel mondo, il loro normale esercizio, sempre convinti, anzi curanti, che questa Nostra dimora romana per nulla contrasti alla sovranità e alla libera espansione della vita civile italiana; Noi vogliamo anzi credere che la Nostra presenza sulla sponda del Tevere non poco conferisca all’amore e all’onore del nome di Roma in tutta la terra.
Esiste oggi una onorata e pacifica condizione di rapporti fra l’Italia e la Sede Apostolica; un delicato e prezioso equilibrio fra Stato e Chiesa è stato raggiunto, com’è ben noto, mediante quei Patti Lateranensi, dei quali la Costituzione Italiana, con sagace e lungimirante visione, ha voluto, mediante particolare, solenne garanzia, assicurare la validità. A Noi pare che questi Patti, il Trattato, cioè, così come il Concordato - del quale ultimo la Santa Sede si è dichiarata pronta a riconsiderare di comune intesa quelle clausole che richiedessero eventuale revisione -, possano essere ricordati con gratitudine a Dio e ad onore del Popolo Italiano nella menzionata ricorrenza centenaria di quel contrastato avvenimento come suo provvido coronamento giuridico e come suo felice epilogo morale e spirituale, non solo locale e temporaneo, ma generale e perpetuo. Ed è con questa congiunta rievocazione, Signor Presidente della Repubblica Italiana, che Noi la preghiamo di gradire il Nostro deferente omaggio, il Nostro augurale saluto, la Nostra Apostolica Benedizione.
Dal Vaticano, 18 Settembre 1970.
PAULUS PP. VI
*AAS 62 (1970), p.639-641;
Insegnamenti di Paolo VI, vol. VIII, p.894-896;
OR 20.9.1970, p.1.
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