MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 1973
La solennità di Pentecoste ci ha sempre offerto l’occasione di indirizzare ai Pastori ed ai fedeli il nostro Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, nella convinzione che tale data fosse quant’altre mai significativa e propizia per richiamare l’attenzione sul problema della predicazione del Vangelo, che è missione essenziale e primaria della Chiesa. Pensavamo, infatti, e pensiamo che, nel giorno sacro allo Spirito Santo, fossero più disposti ed aperti i cuori e le menti ad accogliere il suo soffio divino, che solo suscita ed alimenta il fervore missionario. E se in quello stesso giorno è stato dato inizio nelle Chiese locali al movimento spirituale dell’Anno Santo, che culminerà a Roma nell’Anno Santo 1975, ciò non distoglie il nostro pensiero dalla causa missionaria, che non è né avulsa né estranea alle finalità di quell’importante evento religioso.
Il tema del rinnovamento e della riconciliazione degli uomini con Dio e tra di loro dovrà fin d’ora polarizzare l’interesse, la riflessione e le iniziative sia delle Chiese di antica tradizione cristiana, sia delle Chiese giovani esistenti nei Paesi di missione: sarà esso materia di comune ricerca, sarà indirizzo convergente, sarà come la traccia coordinatrice ed unificatrice di energie e di propositi. Il rinnovamento comprende di certo il rinnovamento dello spirito missionario della Chiesa, e, del resto, la meta ultima e finalistica della sua azione evangelizzatrice non è forse la riconciliazione? E non è la riconciliazione l’aspetto saliente che configura e definisce e rivela l’avvenuta «conversione»? Diciamo conversione non già nel senso desueto ed improprio di un’estrinseca e trionfalistica conquista o di un superficiale proselitismo, ma in quello autenticamente evangelico dell’orientamento dell’anima verso Dio, sotto la spinta della fede che in lui vede il vertice di tutta la realtà e l’autore dell’ordine morale e, più ancora, per la forza della carità che lo riconosce Padre amoroso e misericordioso.
Questo Messaggio per la Giornata Missionaria si colloca, dunque, in esatta prospettiva con l’avviata celebrazione del Giubileo, e noi vogliamo sperare che quanti lo ascolteranno, proprio intuendo tale fondamentale consonanza tematica, sapranno condividere le nostre ansie e corrispondere, secondo le loro concrete possibilità, all’invito che esso contiene.
IL FENOMENO DELLA DIMINUZIONE
DELLE VOCAZIONI MISSIONARIE
C’è, infatti, quest’anno un argomento particolare che si sta molto a cuore e richiama, ad un titolo speciale, la nostra sollecitudine di Pastore della Chiesa, perché nasce dalla constatazione di un fenomeno doloroso, che è da qualche tempo sotto gli occhi di tutti. Intendiamo il diminuito numero delle vocazioni missionarie, che si verifica proprio nel momento in cui più necessario è l’apporto di forze nelle nostre missioni. È superfluo ricorrere ora al linguaggio delle cifre e delle statistiche, né vogliamo tentare dei calcoli comparativi o interpretativi. Ci basta la scoperta del fatto, per valutare il significato ed i pericoli di questa carenza di «personale» in un settore vitale per lo sviluppo della fede e per la crescita della Chiesa. Ci basta la realtà del dato, per farci ripetere, con senso di profonda trepidazione, la parola di Cristo Salvatore: Messis quidem multa, operarii autem pauci (Matth. 9, 37-38; cfr. Luc. 10, 2).
Non mancano certamente le ragioni di ordine storico e sociologico che spiegano questa carenza; qualcuno dirà che è la crisi religiosa del mondo secolarizzato, che è la critica sistematica di certi valori spirituali, che è la contestazione di certi metodi, usati in passato, che hanno determinato il grave fenomeno. Diminuiscono un po’ dappertutto i Sacerdoti, e non meraviglia, quindi, che diminuiscano anche i Missionari ed i loro collaboratori. Si tratta allora di un’eclissi di fede o di un esaurimento dell’annuncio evangelico? Non sarebbe un sano atteggiamento intristire nella denuncia dei fatti negativi, per dispensarsi, poi, dall’azione personale e dall’impegno responsabile. La carenza deve esser, piuttosto, motivo per riflettere, per stimolare alla generosità, per rinnovare all’intera comunità ecclesiale l’appello del Cristo a pregare il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe (Ibid.).
IL RAPPORTO TRA I MISSIONARI INDIGENI
E I MISSIONARI PROVENIENTI DA ALTRI PAESI
C’è un’espressione del Concilio Vaticano II che ci illumina in proposito e ci aiuta a considerare quali siano i nostri doveri in ordine alle Missioni: «La Chiesa, per essere in grado di offrire a tutti il mistero della salvezza e la vita apportata da Dio, deve inserirsi in tutti i raggruppamenti umani con lo stesso movimento - eodem motu - con cui Cristo stesso, mediante la sua Incarnazione, si legò a quel determinato ambiente socio-culturale degli uomini, in mezzo ai quali Egli visse» (Ad Gentes, 10). Anche in questo Gesù è il nostro Maestro, indicandoci quale dev’esser la via perché la missione sia efficace e feconda: quella del contatto diretto, dell’affinità psicologica, della consuetudine di vita con le popolazioni a cui è portato l’annuncio del suo Vangelo.
Bisogna riconoscere che, dall’inizio dell’era cristiana fino ad oggi, i Missionari hanno compiuto sforzi ammirevoli, predicando il Vangelo secondo la mentalità ed il linguaggio degli uomini, ai quali erano mandati. Essi han posto le fondamenta su cui poggiano l’esistenza e l’indipendenza delle Chiese giovani, di cui noi stessi abbiamo ammirato l’originale e consolante vitalità durante i nostri viaggi in Africa, in Asia ed in Oceania.
Ma oggi, sotto l’incalzare di tante trasformazioni sociali e culturali, sono molti i Missionari che si domandano con cuore angosciato: «Quale sarà lo sviluppo dell’opera, da noi cominciata?». Certo, il seme evangelico ha fruttificato e, in rapporto al passato, son più numerosi i Missionari indigeni che proclamano il Vangelo, ma ancora per tanto tempo i Paesi africani e asiatici avranno bisogno di vocazioni, cioè di Sacerdoti, di Suore e di laici per soddisfare alle esigenze dell’evangelizzazione. Sentiamo tuttora tanti Vescovi che ripetono l’invito: «Venite, voi Missionari, venite dai vostri nei nostri Paesi ad aiutarci!».
L’aumento proporzionale degli indigeni che compiono il mandato missionario si intreccia, così, con la diminuzione in assoluto dei Missionari di origine europea, americana e canadese che si decidono a lasciare il loro Paese. Si aggiunge il fatto, anch’esso inquietante, del limite di età, perché la metà del personale di origine straniera è già avanzata negli anni, mentre son pochi i giovani che prendono il loro posto.
Che cosa si deve fare in questa situazione? Vogliamo richiamare, anzitutto, i termini del problema: c’è il personale autoctono, il quale è chiamato ad assumere un ruolo crescente nell’evangelizzazione della propria gente; c’è il personale originario di altre Chiese che, animato da sincero spirito di servizio, deve continuare nel suo impegno missionario. Non è soltanto questione di equilibrio: la causa comune del Regno di Dio associa strettamente l’una e l’altra schiera dei messaggeri evangelici per una collaborazione sempre necessaria e indubbiamente fruttuosa. Non diciamo, perciò, un semplice rapporto di «forze di lavoro», ma, piuttosto, la loro armonica coordinazione che è anche, deve essere, anzi, esemplare espressione della comunione ecclesiale. Per questo noi rinnoviamo ai nostri Fratelli nell’Episcopato l’urgente invito a considerare se le diocesi non possono e non debbano favorire l’invio di Sacerdoti, in modo che il loro numero sia meglio distribuito nelle diverse Chiese. È, questa, un’opera di programmazione pastorale che ormai si impone, al di là dei limiti nazionali o regionali, ed avrà il suo riflesso nel futuro ordinamento canonico.
LA CURA DELLE VOCAZIONI INDIGENE
Ma lo stesso appello rivolgiamo, altresì, in favore delle vocazioni indigene, perché esse abbiano una formazione adeguata e non siano mai spente o soffocate per ragioni di ordine economico o ambientale. Nessuna vocazione deve andare perduta, nessuna deve restare nell’incertezza, nessuna deve mancare di maturazione per difetto di mezzi! Tocchiamo, qui, un altro aspetto del problema. Le Chiese giovani, per la maggior parte, condividono la condizione di povertà e di precarietà economica degli uomini e dei popoli, tra i quali compiono la loro missione. Sorge, così, per tutti i cristiani il dovere di aiutare e di render giustizia ai Sacerdoti, ai Religiosi, alle Religiose ed ai fratelli ed ai catechisti che lavorano, senza mezzi o con mezzi scarsissimi, per il bene dei loro connazionali. Già nell’Enciclica Populorum Progressio abbiamo detto che lo sviluppo è il nuovo nome della pace (Nn. 76-77). Ora non si deve dimenticare che, nell’impresa gigantesca per lo sviluppo sociale ed economico dei popoli nuovi, son proprio i Missionari tra i primi collaboratori e assistenti, perché meglio conoscono i bisogni dei propri concittadini, ed inscrivono anche questo servizio nel loro mandato missionario. Sono essi che, nella misura degli aiuti che ricevono, accolgono i malati negli ospedali, dirigono le scuole, promuovono, per tanta parte, lo sviluppo spesso faticoso della loro gente. Prendersi cura della formazione del personale indigeno significa, dunque, servire la causa evangelica ed insieme la causa del progresso e della pace.
GLI ELEMENTI DELLA NOSTRA SPERANZA
Se abbiamo, finora, delineato il quadro delle necessità più urgenti, dobbiamo pure ricordare, perché sia completa l’analisi e sereno il giudizio, gli elementi che fondano la nostra fiducia. C’è sempre Dio dietro i nostri sforzi, perché sua è la causa del Vangelo: tutta la nostra fiducia è in Lui, e soprattutto per il lavoro apostolico sufficientia nostra ex Deo est (Cfr. 2 Cor. 3, 4-6). Ma ci piace, altresì, richiamare quanto di positivo già si intravede nell’orizzonte della Chiesa missionaria. Pensiamo, anzitutto, con vivo compiacimento a tanti giovani dei vecchi Paesi che si recano, sia pure ad tempus, nelle parrocchie e nei posti di missione, dove offrono una magnifica espressione della loro personalità e raccolgono esperienze preziose: lì conoscono senza schermi deformanti i problemi veri e concreti dello sviluppo, lì esercitano le loro capacità creatrici, mentre apportano alle popolazioni indigene utili contributi in campo organizzativo, culturale e sociale.
Pensiamo, poi, ai Sacerdoti, regolari e secolari, che dalle diocesi o dalle sedi dei loro Istituti si portano nei Paesi dell’America Latina e dell’Africa, stabilendo e sviluppando singolari rapporti di «gemellaggio» tra i luoghi di origine ed i luoghi di missione: dietro di loro ci sono le antiche Chiese e parrocchie, che ne sostengono il lavoro ed aiutano, con impegno diretto, le loro iniziative apostoliche e caritative. Pensiamo, infine, ai contattti, a livello ecumenico, dei missionari cattolici con i missionari di altre Comunità ecclesiali: ispirati alla carità evangelica, questi contatti, specialmente nel campo dell’assistenza sanitaria e civile, come in quello della cultura e dello sviluppo, servono a cancellare la cattiva impressione delle residue divisioni della famiglia cristiana e ad accelerare - speriamo - la ricomposizione di quell’unità, a cui tendono gli uni e gli altri per una univoca e convincente testimonianza di fede.
Era necessario, era giusto dire anche questo, perché il doloroso fenomeno, che è stato oggetto del presente Messaggio, fosse convenientemente inquadrato e non offuscasse la visione della realtà missionaria.
LE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE COME STRUMENTO
PER LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA MISSIONARIA
La Giornata Missionaria, che si celebrerà nel prossimo ottobre, deve avere un effetto stimolante e salutare, come un colpo d’ala che ridesti nel cuore dei fedeli il dinamismo missionario, che è elemento immanente della nostra fede. Questo rinnovato spirito missionario non solo porterà ad offrire a Dio preghiere ed opere di penitenza, ma farà sbocciare nuove vocazioni con l’afflusso di quegli aiuti, di cui le Missioni han bisogno (Cfr. Ad Gentes, 36).
Ma ancora una volta, a conclusione delle nostre considerazioni, torniamo a raccomandare le Pontificie Opere Missionarie, come istituzioni che, al servizio del Papa e dei Vescovi, favoriscono le fraterne relazioni tra le Chiese locali e sono particolarmente adatte per accrescere lo spirito missionario di tutto il Popolo di Dio. Lo scopo principale di tali Opere è appunto la formazione della coscienza missionaria (Cfr. Ad Gentes, 38) e, se son dette pontificie, non è perché siano distaccate dal quadro diocesano, ma perché la Chiesa locale, grazie al loro servizio, possa meglio esplicare la sua funzione nell’insieme della Chiesa missionaria. Se ora sottolineiamo la loro importanza, è per rispondere alle dichiarazioni del Concilio, che ad esse ha assegnato una posizione di più rilevante responsabilità. Esortiamo, perciò, tutti i cristiani a sostenerle ed a seguirne il lavoro, che è veramente universale, mentre sollecitiamo i Vescovi e i Sacerdoti a promuovere nelle rispettive Chiese e parrocchie, dando ad esse la necessaria articolazione.
Benedica il Signore la Giornata Missionaria, in favore della quale rivolgiamo questo insistente appello. Vogliamo metterla sotto la speciale protezione di S. Teresa del Bambin Gesù, della quale celebriamo il centenario della nascita, e la collochiamo nelle prospettive pastorali del nuovo Anno Santo. Per la Chiesa non è ancora passata l’ora della missione, anzi per molti popoli essa comincia proprio adesso. Valgono, nell’ora attuale della Chiesa, le parole sapienti del nostro Predecessore Pio XI di v.m.: Nihil actum, si quid agendum. Nulla è fatto, se tante, troppe cose restano ancora da fare!
Dal Vaticano, nella solennità degli Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno dell’anno 1973, undicesimo del nostro Pontificato.
PAULUS PP. VI
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