PAOLO VI
LETTERA APOSTOLICA IN FORMA DI MOTU PROPRIO
CATHOLICA ECCLESIA
RIORDINAMENTO DELLE ABBAZIE
NON DIPENDENTI DA ALCUNA DIOCESI
La Chiesa cattolica, che «cammina insieme con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena, ed è come il fermento e quasi l'anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio» (CONC. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 40: AAS 58 (1966), p. 1058), eserciterà la sua missione a favore degli uomini tanto più validamente quanto più sollecitamente si dimostrerà attenta a riformare le proprie strutture, tenuto conto anche dell'evoluzione dei popoli.
Perciò, avendo il Concilio Ecumenico Vaticano II espresso il desiderio che i monaci - nel rispetto del carattere del proprio istituto - rinnovino le antiche benefiche tradizioni e le adattino alle odierne esigenze delle anime, e inoltre che «gli Istituti religiosi, i quali per regola o per ordinamento uniscono strettamente la vita apostolica all'ufficio corale e alle osservanze monastiche» (CONC. VAT. II., Decr. sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis, n. 9: AAS 58 (1966), p. 706) armonizzino il loro genere di vita con le esigenze dell'apostolato che loro conviene, e dal momento che per realizzare il fine proprio una Diocesi deve manifestare con evidenza la natura della Chiesa nella porzione del popolo di Dio che la compone (CONC. VAT. II, Decr. sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, n. 22: AAS 58 (1966), p. 683), la speranza di un avvenire migliore diverrà molto più solida se la venerabile istituzione della vita monastica sarà fedelmente conservata e se rifulgerà sempre più nel suo spirito autentico.
Del resto questo cambiamento non sminuisce l'autorità e «le insigni benemerenze verso la Chiesa e la società acquisite lungo il corso dei secoli» (CONC. VAT. II, Decr. sul rinnovamento della vita religiosa Perfertae caritatis, n. 9: AAS 58 (1966), p. 706) dagli istituti regolari che sono fioriti fin dal tempo dei Santi Padri e dagli Istituti monastici, particolarmente quelli che hanno assunto dal fondatore Benedetto il nome e, oltre a leggi santissime, anche una mirabile efficacia sul piano dell'azione e della pazienza per il bene degli uomini. In effetti, quando l'impero romano stava andando in rovina e i barbari invadevano in massa le sue province e quando la stessa Roma si presentava «con le mura diroccate, le case saccheggiate, le chiese distrutte dalla bufera» (S. GREGORIO M. Dialogorum, 1, II, 15: PL 66, 162), i monaci con la croce, il libro e l'aratro hanno mansuefatto questi popoli rudi e ribelli e furono per la Chiesa cattolica una validissima protezione e difesa.
Essendo quindi «l'ufficio principale dei monaci quello di prestare umile e insieme nobile servizio alla divina Maestà entro le mura del monastero, sia dedicandosi interamente al culto divino con una vita di nascondimento, sia assumendo legittimamente qualche opera di apostolato e di carità cristiana» (CONC. VAT. II, Decr. sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis, n. 9: AAS 58 (1966), p. 706) è sembrato opportuno rivedere alcune norme canoniche, che regolano le Abbazie non dipendenti da alcuna Diocesi.
Perciò, dopo aver sentito i competenti Dicasteri della Curia Romana e dopo aver attentamente esaminato i loro pareri, con scienza certa e in virtù della Nostra suprema e apostolica autorità, abbiamo deciso di pubblicare le seguenti norme riguardanti le Abbazie non dipendenti da alcuna Diocesi, abrogando al tempo stesso le prescrizioni in vigore che in qualunque modo fossero contrarie a tali norme.
1. In futuro non saranno più erette Abbazie non dipendenti da alcuna Diocesi (Cf CIC, can. 319 § 1), salvo che circostanze particolarissime, che si risolvono per il bene delle anime, non consiglino diversamente.
2. Dopo aver sentito il parere della Conferenza episcopale interessata, le Abbazie non dipendenti da alcuna Diocesi attualmente esistenti, escluse quelle regolate da un diritto particolare (Cf ib.§ 2), siano più idoneamente definite quanto al territorio o siano trasformate in altre circoscrizioni ecclesiastiche, secondo le norme stabilite dal Concilio Ecumenico Vaticano II (CONC. VAT. II, Decr. sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, n. 23: AAS 58 (1966). p. 684).
3. L'Abbazia non dipendente da alcuna Diocesi, il cui territorio sia stato totalmente convertito in altra circoscrizione ecclesiastica, sarà regolata dal diritto comune o da un diritto particolare, secondo quanto avrà stabilito la Sede Apostolica per ciascun caso.
4. Non sia conferita agli Abati la pienezza del Sacramento dell'Ordine con la consacrazione episcopale, a meno che non la richiedano l'autorità spirituale e lo stato particolare dell'Abbazia che si estende su una porzione del Popolo di Dio (Cf ib. N. 11: l.c., p. 677).
Quanto è stato da Noi decretato con questo Motu proprio per tutta la Chiesa, ordiniamo che sia stabile e ratificato, nonostante qualunque disposizione in contrario, anche degna di specialissima menzione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 23 ottobre 1976, anno quattordicesimo del Nostro Pontificato.
PAOLO PP. VI
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