DISCORSO DI PAOLO VI
AL SENATO ACCADEMICO DELL'UNIVERSITÀ DEL SACRO CUORE
Domenica, 5 aprile 1964
Quante cose, illustri Professori, cari Studenti, bravi Signori e reverendi Assistenti, quante cose sarebbero da dire in questo incontro che dalla meditazione religiosa, or ora compiuta in San Pietro, ci porta alla considerazione diretta della nostra Università Cattolica! Quante memorie, così vive, così prossime e incombenti da tentare questa breve parola a dedicarsi soltanto ad esse, e a sostare in commento degli avvenimenti passati tanto importanti allora, quando si iscrissero nel vostro calendario e tanto determinanti tuttora, mentre ne accettiamo le conseguenze e ne continuiamo la tradizione! La tentazione si farebbe ancora più forte, quando il ricordo rievoca persone veneratissime e carissime e così stampate nella storia e nella scena dell’università Cattolica da sollecitarci di venir a dialogo con loro, con P. Gemelli, con Mons. Olgiati specialmente, non foss’altro per ringraziarli ancora una volta dell’opera loro e per assicurarli che gli eredi saranno gelosi, e vigili e forti per conservarla, per continuarla!
E delle memorie l’attenzione andrebbe alle cose, a questa grande impresa ch’è l’università Cattolica, da mantenere (e come?), da amministrare, da sviluppare, da irrobustire, da perfezionare. I problemi sono molti e sono gravi; sono attraenti e inebrianti: quelli amministrativi, per primi; trovare i mezzi e bene usarli è sempre difficoltà che fa pensare, fa soffrire; e fa anche pregare e sperare. Non ci possiamo disinteressare di questo aspetto della grande impresa: una Università libera è un’Università povera! Poi quelli edilizi, quelli costruttivi d’una Facoltà estremamente impegnativa, com’è quella di Medicina, qui a Roma, già iniziata e già avviata a felice compimento; ma con quali ostacoli da superare, con quali conti da regolare, con quale antiveggenza da esercitare!
E i problemi accademici? Le questioni si fanno ancora più complicate, se si riflette che uno Statuto, per saggio che sia, esige due cose, sempre ardue e delicate: la sua applicazione, cioè il suo passaggio dalla lettera allo spirito, dalla formulazione astratta a quella viva e personale, dalla carta cioè alla vita d’un’istituzione così sensibile, così bisognosa di vigore e di saggezza, di precisione e di comprensione, di umanità e di spiritualità; e l’altra cosa esige sempre uno Statuto: il suo aggiornamento, cautissimo per un verso, se si vuole che l’Università abbia una fisionomia stabile e propria e una consistenza vittoriosa degli anni e degli avvenimenti accidentali della società in cui vive; vigilante l’aggiornamento, per un altro verso, alle indicazioni collaudate dall’esperienza, e alla evoluzione della norma generale scolastica ed ai bisogni dei tempi. E questa legge vissuta d’un Ateneo sempre fiorente e sempre moderno quali e quante altre questioni particolari poi trae con sé! Tanto che la vita accademica, da serenissima nella sua maestosa e tradizionale apparenza, si dimostra nella realtà piena di casi nuovi, di problemi insorgenti, di bisogni imprevisti, di affanni infiniti. E v’è di più: ciò che l’Università vuol essere, quale problema! Vuol essere un’officina di ricerche, di studi, di insegnamenti, di pubblicazioni, di iniziazione pedagogica, forte ed umana, alle più severe forme del pensiero e alle più alte funzioni delle professioni; una scuola superiore, non immemore della storia e del genio propri di una Università, ma nello stesso tempo recettiva degli impulsi culturali dell’età nostra e tutta tesa a dominarli e a generarne dei nuovi; enorme compito, che naturalmente rende insonne chi vi dedica l’occhio e la mano.
Per voi ancora altri superiori problemi! Quelli della vostra professione cattolica, che comporta particolarissimi riflessi sia nello studio che nell’insegnamento, ed esige alla fine una coerenza con la vita personale di ognuno e con l’espressione generale dell’istituto, da costituire una suprema difficoltà, quella di pareggiare nella realtà vissuta l’impegno assunto con quello stupendo e formidabile appellativo di cattolico; quello, diciamo pure, di far santa la scuola e di far santi se stessi servendone e vivendone la vicenda e lo spirito.
E non dovremmo parlare anche delle correnti del pensiero moderno? e degli strumenti per la cultura superiore? e dei libri, dei congressi, dei concorsi, delle carriere, delle riforme? e come non ricordare il trattamento economico, le borse di studio, le biblioteche, i pensionati? e il grande problema delle associazioni universitarie? e delle imprese collettive di studio, dei seminari, degli istituti specializzati? Quante cose, quante, dicevamo, potrebbero dar tema a conversazioni, anche per noi interessanti; ma dovrebbero essere più distese e meno formali della presente!
Cosi che, chiarissimi Professori e carissimi Studenti, vi basti ora sapere che Noi conosciamo e valutiamo la complessità della grande istituzione, che insieme vi unisce; e che vorremmo anche meglio conoscerla per meglio apprezzarvi e sostenervi.
E vi basti, in quest’occasione, che Noi vi ringraziamo di questa visita, vi elogiamo per la vostra attività, e incoraggiamo l’opera vostra con alcune elementari e affettuose esortazioni.
La prima riguarda lo spirito della vostra Università: non vi dispiaccia di trovarlo, come dicevamo, nel nome cattolico di cui essa è insignita. Pari alle altre Università per sforzo e per valore scientifico, emula anzi dei loro esempi e delle loro conquiste, l’Università Cattolica non deve temere di apparire differente e originale per il battesimo di tale appellativo, non per farsene peso, ma per farsene stimolo; non per straniarsi dal mondo della cultura, ma per entrarvi con passo più amico e più franco; non per darsene vana gloria, ma per convertirlo in impegno.
Ricordate che la caratteristica fisionomia che quel titolo imprime al vostro Istituto non è un ornamento puramente decorativo o arbitrario, non è un’etichetta puramente distintiva; ma è ragion d’essere, argomento intrinseco della vostra professione di maestri e di alunni; per non dire anche ch’esso è titolo primo e forse praticamente unico alla fiducia peculiare della Chiesa e dei cattolici italiani, non che all’obolo dei generosi e dei fedeli per il suo mantenimento e per il suo incremento. Se così è: oh! sappiate non usare di tale titolo come di argomento utile a risolvere i problemi pratici ed economici dell’Università, ma sappiate idealizzare la vostra appartenenza all’Università Cattolica, come lo merita la causa ch’essa persegue e l’anima che la pervade. Vocazione sia la vostra qualifica universitaria; missione la vostra fatica; energia il senso profondo di responsabilità che tutti e ciascuno variamente vi investe; gloria il vostro servizio al pensiero e alla cultura. Sappiamo che cotesto è l’animo vostro! Dio vi benedica!
Ci è facile aggiungere allora una raccomandazione superflua, ma che qui torna bene e che equivale ad un riconoscimento del vostro valore accademico: tenete alto, sempre, il prestigio dei vostri studi. L’Università Cattolica è stata palestra e modello di serietà, di severità, di rigore, sia scientifico che scolastico; tale sia sempre. Non vi lusinghi successo che non sia meritato da lungo ed effettivo impegno di studio. Non vi fermate a quanto già conoscete, ma spingete avanti nella ricerca, nell’esperimento, nel perfezionamento la vostra fatica.
Dedizione cotesta che porterà da sé ad altre forme di sviluppo spirituale della Università Cattolica: accenniamo a due. Una sarà il bisogno di dare sia ai vostri studi che alla vita accademica qualche migliore carattere di fraterna coesione, di mutua conversazione: studiare insieme - e voi lo potete! - è una delle forme più alte e più belle della vita spirituale; le collaborazioni intellettuali che nascono da una fede comune, sincera e discreta, e da uno sforzo comune, moderato ed intenso, portano effetti che fortificano e poi trascendono il fatto culturale, creano conversazioni, corrispondenze, amicizie e suscitano emulazioni, che danno alla vita, spesso solitaria e compressa dello studioso, incomparabili conforti. Nessun centro come l’Università Cattolica è predisposto a diventare una comunità di pensiero, di ideali, di fede, di lavoro. Dio voglia!
E l’altra forma prodotta dall’oblazione totale di sé alla cultura universitaria è il bisogno più sentito, è l’attitudine più raffinata alla vita interiore, che, per spiriti religiosi e credenti quali voi siete, sfocia in un’originale capacità di preghiera. La formula classica dell’ora et labora non raggiunge mai, in altri campi, Noi crediamo, una pienezza pari a quella a cui siete voi per primi chiamati. Voi stessi Ce ne potreste dare conferma. Allora non Ci resta per adesso che congratularCi con voi, incoraggiando tutti a perseverare nella vostra magnifica attività, e rimandando ad altra volta altre considerazioni ed altre esortazioni, affidiamo la validità dei Nostri sentimenti e dei Nostri voti alla Benedizione Apostolica che ben di cuore vi impartiamo.
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