DISCORSO DI PAOLO VI
ALLE SUPERIORI MAGGIORI D'ITALIA
Giovedì, 12 gennaio 1967
Signor Cardinale!
Le siamo molto obbligati delle sue buone ed alte parole, e La ringraziamo della partecipazione a questa Udienza, la quale acquista così un nuovo titolo alla riconoscenza, che Noi dobbiamo a Lei, Signor Cardinale, a Mons. Philippe, a P. Andretta e a quanti prestano la loro opera alla Nostra Sacra Congregazione dei Religiosi, mediante la quale la Santa Sede, e per essa la Chiesa, dirige, assiste, promuove, conforta, benedice l’immenso e multiforme campo degli istituti consacrati alla religione; alla ricerca cioè, al culto, all’amore, al servizio di Dio, alla santificazione dei propri membri e delle loro comunità, non che a innumerevoli opere di pietà e di carità, con grande edificazione della Santa Chiesa di Dio.
SALUTO E GRATITUDINE DEL PADRE
Prendiamo occasione di questo incontro per manifestare il Nostro augurio a questo tanto importante e attivo organo della Sede Apostolica, affinché possa adempiere felicemente la sua missione, resa più delicata e complessa dalle questioni post-conciliari, con profitto e con soddisfazione delle Famiglie religiose, e con vantaggio dell’intera Chiesa cattolica.
Alle Religiose Superiore Maggiori in Italia il Nostro paterno saluto nel Signore. Informati del vostro numero - siete più di mille! - e del vostro annuale convegno, ormai divenuto ottima prassi della vita religiosa femminile italiana in via di rinnovamento, non abbiamo voluto rinunciare a questa Udienza, sia pur breve, ma tanto bella e significativa, per assicurarvi della Nostra benevolenza e del Nostro interessamento, per incoraggiare i vostri propositi, che sappiamo rivolti all’applicazione pronta e concorde delle norme conciliari, per ringraziarvi dell’esempio e del servizio che voi offrite alla Chiesa e alla società, per raccomandare il Nostro ministero ed i bisogni del Popolo di Dio alle vostre preghiere, ed infine per chiamare sopra di voi, sopra le vostre rispettive Famiglie religiose e sulle opere in cui è impegnata la vostra attività, la pioggia delle grazie divine, indispensabili per dare valore, efficacia, perseveranza, merito a quanto voi siete e fate; il che faremo mandandovi in pace con la Nostra Benedizione Apostolica, non senza avere prima soddisfatto il vostro desiderio d’avere da Noi una parola.
Che cosa vi diremo? Nulla, che si riferisca direttamente ai temi del vostro Convegno, i quali sappiamo egregiamente trattati da chi vi presiede e da chi è incaricato di svolgerli; Ci basta esprimere la Nostra compiacenza ed il Nostro incoraggiamento per quanto andate studiando per sempre meglio conoscere i vari aspetti dello stato religioso, le sue presenti necessità ed i mezzi migliori per fare delle leggi e dei suggerimenti, che vi sono dati, stimoli benefici e fecondi per l’incremento spirituale ed operativo delle vostre anime e dei vostri istituti. E nulla, che già voi non conosciate benissimo; ma che, ascoltandolo da Noi ripetuto, non possa forse apparire sempre più convincente e degno di continuata riflessione. E cioè: vi diremo, assai brevemente e semplicemente, di alcuni punti della vita religiosa, sui quali il Concilio sembra aver espresso, a vostro riguardo, le sue autorevoli e preferenziali attenzioni.
LA NATURA DELLA VITA RELIGIOSA SECONDO IL CONCILIO
Che cosa dice, in sostanza, il Concilio ecumenico per voi?
Dice che la vita religiosa si definisce da un’esigenza fondamentale, dalla pienezza dell’amore: a Dio, e quindi a Cristo, alla Chiesa, al prossimo, ad ogni creatura (come S. Francesco); una pienezza che non conosce misura (viene alla mente la famosa formula di S. Bernardo: «Modum esse diligendi Deum, sine modo diligere» , non v’è che una misura d’amare Dio, di amarlo senza misura [De diligendo Deo, c. 6, n. 16; P. L. 182, 983]); un amore, che non conosce ostacoli: ecco il senso liberatore dei voti religiosi, che intendono appunto rimuovere ogni impedimento, anche naturale, anche legittimo, all’unico, al sommo, al pieno amore di Dio. Non per nulla il Decreto conciliare, che si riferisce alla vita religiosa, si apre e perciò s’intitola «Perfectae caritatis . . . prosecutionem» , la ricerca della perfetta carità.
Questo è noto. Ma ciò che deve fermare l’attenzione è il richiamo al carattere amoroso della vita religiosa, carattere che la distingue, la qualifica, la finalizza; e non in un modo puramente giuridico, convenzionale, esteriore, ma in un modo intimo, profondo, totale, esclusivo, intenso, assoluto. Questo aspetto assoluto dell’amore proprio della vita religiosa ricorre sovente nella nuova e sovrana legislazione del Concilio; contentiamoci ora d’una sola citazione: «I membri di qualsiasi istituto ricordino anzitutto che, con la professione dei consigli evangelici, essi hanno risposto ad una chiamata divina in virtù della quale non solo essi sono morti al peccato (cfr. Rom. 6, 11), ma, rinunziando anche al mondo, devono vivere per Dio solo, e ciò costituisce una speciale consacrazione, che ha le sue profonde radici nella consacrazione battesimale, e ne è l’espressione più perfetta» (Perfectae caritatis, 5).
NEL VANGELO LA SORGENTE DELLA SANTITÀ
Tutto è chiaro ed ovvio. Ma una tale riaffermazione circa la natura, il fine ed i mezzi essenziali della vita religiosa acquista grande importanza in ordine, innanzitutto, alla tradizione storica e spirituale di essa: ecco che i concetti costitutivi di questo genere di vita arrivano a noi intatti, quasi rigenerati perché sono derivati dalle loro fonti più pure e più autorevoli, dal Vangelo e dallo sforzo di fedeltà e di santità, che attraversa i secoli del cristianesimo mediante la consacrazione e l’organizzazione di anime invase dalla carità di Cristo e dall’ansia di possederla e di irradiarla secondo le leggi sue proprie, alla perfezione cioè, concepita come unione con Dio ed imitazione di Cristo. È un fatto spirituale di misterioso significato; nella presenza attiva dello Spirito Santo bisogna ricercarne il segreto; ed è un fenomeno paradossale agli occhi del mondo, il quale osserva, e subisce davanti ad esso le reazioni più varie: di meraviglia, di ripulsa, di disprezzo, di attrattiva e di curiosità, di fiducia e di venerazione; oggi specialmente quando il movente religioso sugli animi si affievolisce e viene socialmente quasi a mancare. Ed ecco che la vocazione religiosa nella società moderna, nel mondo femminile specialmente, invano coperta dal suo silenzioso riserbo, dalla sua voluta umiltà, si accende allo sguardo di tutti, come un episodio singolarissimo, di libertà, di coraggio, di consapevolezza, di generosità, di spiritualità, e possiamo pur dire di fortezza e di bellezza. Così si presenta la vita religiosa in questo secolo ventesimo: dove sono oramai le vocazioni religiose imposte da considerazioni patrimoniali o da tradizioni familiari, ovvero vocazioni riservate a soggetti deboli e minorati, inetti ad affrontare i doveri e le vicende d’una professione profana o d’un matrimonio, oppure sbocciate in ambienti chiusi col favore della timidità remissiva da una parte, da un’oppressione autoritaria dall'altra? Ditelo voi alle anime avide di perfezione e aperte all’idealismo evangelico, delle quali ancora è scintillante la nostra gioventù, dite che cosa sia una vocazione religiosa, a cui la Chiesa offre la sua severa, ma corroborante palestra ascetica, e apre gli orizzonti delle più inebrianti ascensioni dello spirito; dite che cosa valga una vita a cui l’amore, nella sua espressione più pura e più forte, l’amore di Dio, infligga il suo delizioso tormento e infonda la sua letizia che non si spegne; dite quale missione può essere riservata ad un’esistenza che s’immola con Cristo nel sacrificio senza ritorno, e che assume nella Chiesa e nel mondo significato e forza di altrui redenzione.
LA PERFEZIONE CRISTIANA È UN APOSTOLATO
Noi confidiamo, Figlie in Cristo carissime, che questo concetto purificato e splendente della vita religiosa, della vostra specialmente, sia, per virtù del Concilio e di voi, che ne seguite la traccia, ripresentato al Popolo di Dio e alla società moderna; e, nuovamente idealizzato dal suo autentico contenuto di perfezione cristiana nella carità, Noi auguriamo che riacquisti a riguardo di spiriti di elezione il suo originario ed arcano potere di attrazione, come se risonasse tutto della soave e potente voce di Gesù: «Vieni e seguimi!». Auguriamo che crescano così di numero le vocazioni, di cui tanti istituti oggi soffrono penuria; ma non possiamo prevedere se il Signore esaudirà questo voto comune; ma è certo che, se non di numero, le vocazioni saliranno in qualità.
Ma questa nuova, e del resto tradizionale, presentazione dell’ideale religioso esige proprio quel rinnovamento, nello spirito e nelle forme, che voi andate cercando; e a Noi non resta che incoraggiare l’aggiornamento, che con la guida dei maestri e dei superiori ecclesiastici e con l’impulso dei vostri fervorosi Capitoli, voi state promovendo. Ma vi sono altri due punti che, nello spirito del Concilio, meritano da Noi particolare menzione.
RIFERIRE OGNI INTENTO ED OPERA A DIO
Quello dell’esercizio dell’autorità e conseguentemente della pratica dell’obbedienza nell’ordinamento e nella pedagogia dei vostri Istituti. Diremo forse che l’autorità ha perduto il suo prestigio, la sua ragion d’essere, la sua responsabilità nella compagine d’una Famiglia religiosa, che proprio dall'autorità. è generata, diretta, animata, educata e santificata? E diremo che l’obbedienza s’è disciolta in dialogo democratico e nel volere d’una maggioranza numerica o d’una minoranza intraprendente, quando sappiamo che questa virtù è essenziale per la vita religiosa e per la comunità religiosa, e che anzi, come insegna S. Tommaso, «fra tutti i voti della religione il voto d’obbedienza è il più grande, maximum est»? (Summa Theol. II-IIæ, 186, 8). No certo; anzi confermeremo la necessità sia d’un sapiente esercizio dell’autorità, sia d’una sincera pratica dell’obbedienza: la compagine e lo spirito della vita religiosa sarebbero fatalmente compromessi, ove autorità e obbedienza venissero a mancarle. Ma l’una e l’altra, voi lo sapete, reclamano forme nuove, più alte, più degne della società ecclesiale, più virtuose e più, conformi allo spirito di Gesù Cristo: dev’essere questo duplice problema, dell'autorità e dell’obbedienza, uno dei temi più studiati nel rifacimento delle vostre regole e nell’evoluzione della vostra mentalità religiosa, e reclamerà attenzione, prudenza e fiducia per essere portato alle soluzioni che i tempi suggeriscono e che il Concilio reclama. A voi, Superiore, Noi non faremo ora che citare una celebre e sempre saggia parola di S. Agostino circa quanto riguarda l’atteggiamento responsabile di colei che dirige una comunità di religiose; dice questo santo maestro nella sua famosa lettera alle inquiete monache del suo tempo (a. 423), che la Superiora non si consideri dominatrice per autorità, quanto piuttosto felice di servire per carità: «Ipsa vero non se existimet potestate dominante, sed charitate serviente» (Ep. 211; P.L. 33, 964). (Aveva pur detto poco prima: alla Superiora si obbedisca come ad una madre, col debito onore, per non offendere Dio in lei: «Praepositae tamquam matri obediatur, honore servato, ne in illa offendatur Deus!».
COMUNIONE IN PIENEZZA DI VIRTÙ CON LA CHIESA
E l’altro punto, con cui concluderemo queste poche osservazioni, dev’essere da noi ricordato come una delle idee dominanti tutta la dottrina del Concilio, e intenzionalmente applicata anche alla vita religiosa; e cioè il rapporto, anzi la comunione che essa deve avere con la Chiesa intera. La vita religiosa non è una Chiesa a parte; è un’espressione dell’unica Chiesa di Cristo; e questo sia detto tanto per lo spirito che anima la vita religiosa, quanto per la sua organizzazione canonica. S’incontra talora nella mentalità dei fedeli e dei religiosi la persuasione che questi ultimi fanno parte a sé; l’esenzione giuridica, che il diritto ecclesiastico loro riconosce, e la peculiarità delle loro strutture e della loro spiritualità sembrano autorizzare in alcuni una concezione distinta, autonoma e punto solidale del mondo dei religiosi rispetto a quello della comunità ecclesiale; e se ciò per fortuna non ha profonda incidenza nella realtà della Chiesa, diminuisce in essa il senso della sua interiore unità e l’efficienza della sua organica operosità, mentre priva sovente i religiosi dell’onore e dell’affetto loro dovuto da tutto il Popolo di Dio. Voi sapete quanto il Concilio abbia invece insistito sulla appartenenza dello stato religioso alla Chiesa; ricordate ciò che, ad esempio, dice in proposito la Costituzione «Lumen Gentium» riguardante appunto la concezione generale della Chiesa, e ciò che raccomanda il Decreto «Perfectae caritatis» sul rinnovamento della vita religiosa; ecco un saggio: «Tutti gli istituti partecipino alla vita della Chiesa e, secondo la loro indole, facciano proprie e sostengano nella misura delle loro possibilità le sue iniziative» (n. 2).
È ciò, del resto, che già voi fate e vi proponete di fare, sia nel campo della preghiera, dell’educazione e dell’assistenza caritativa, sia in quello, sempre più vasto e impegnativo, della cura pastorale. Bene lo sappiamo, e ve ne esprimiamo la Nostra lode, la Nostra riconoscenza, il Nostro incoraggiamento, che a voi, brave e fedeli Superiore, sono principalmente dovuti.
Ed è con questo quadro della vostra esemplare ed operante presenza nella Chiesa di Dio, davanti agli occhi del Nostro spirito, che imploriamo sopra voi tutte la protezione della Madonna, e che impetriamo l’abbondanza delle grazie divine, auspice. la Nostra paterna Benedizione Apostolica.
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