DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AI PARTECIPANTI
AL CONGRESSO INTERNAZIONALE DI DIRITTO CANONICO
Lunedì, 19 gennaio 1970
Chiarissimo Signor Professore
e Magnifico Rettore
dell’Università degli Studi di Roma,
La ringraziamo delle alte, franche e amiche parole, che Ella ha testé pronunciate, nelle quali già risuonano alcune di quelle che per questa straordinaria occasione vorremmo rivolgere agli illustri visitatori qua da Lei ora guidati.
E ringraziamo insieme questi stessi visitatori, che con la loro presenza, la loro qualifica ed il loro numero ci attestano l’importanza, l’esito e lo spirito del Congresso Internazionale di Diritto Canonico, celebrato in questi giorni a Roma, domicilio quant’altri mai celebre e fecondo del Diritto, sia civile che ecclesiastico. Tutti li salutiamo, e onoriamo in tutti un titolo da Noi grandemente apprezzato, quello della scienza giuridica relativa alla vita sociale della Chiesa, il Diritto Canonico.
Dobbiamo subito manifestare la Nostra compiacenza per la celebrazione d’un tale Congresso, e per la sede che lo ha degnamente ospitato: l’Ateneo civile romano. Questo fatto è già di per se stesso un riconoscimento d’un aspetto, sia pur esso esteriore e storico della Chiesa, di innegabile rilievo nella vita spirituale e nel progresso civile dell’umanità; e, se ciò è per Noi argomento di soddisfazione, è per voi, per l’Università Romana e per quanti altri Istituti scientifici sono qui rappresentati, un segno di nobile cultura e di aperta intelligenza.
AMPIO PROGRAMMA DI STUDIO
E tanto più siamo lieti dell’avvenimento, di cui voi siete protagonisti, per il tema, che lo definisce, e per il momento storico, in cui esso è collocato: «La Chiesa dopo il Concilio». Chiesa e Concilio assorbono, come tutti possono comprendere, la Nostra attenzione, il Nostro interesse, la Nostra passione. Possiamo Noi pensare ad altro, per l’impegno del Nostro ufficio apostolico e per l’ora critica che stiamo passando, che alla Chiesa ed al Concilio or ora celebrato? Vedere che studiosi di chiarissima fama, quali voi siete, si riuniscono a Congresso, per studiare con la competenza loro propria e con l’intensità d’una riflessione tesa dalla vostra vicendevole conversazione, e sempre - non possiamo1 dubitare - con libera e onestà probità scientifica, ci edifica e ci consola, e suscita in Noi l’obbligo di renderci edotti dei risultati dei vostri studi: corrisponderemo volentieri a questo obbligo, riputandoci fortunati se le tante e troppe cure del Nostro ministero ce ne concederanno il tempo dovuto ed ambìto.
A tanto c’invitano i temi del vostro vasto e vario programma, e ci attrae l’autorità dei vostri nomi. Le poche, ma rilevanti notizie, date dalla stampa circa le trattazioni e le discussioni del vostro Congresso, già ce ne dicono la serietà e il valore; così che Noi ci asteniamo dall’entrare con queste Nostre occasionali parole nel merito delle materie studiate. Tralasciamo perfino dal farvi commento. Qualcuno sarebbe forse necessario da parte Nostra, qualche approfondimento, qualche riserva. Notiamo soltanto le felici formulazioni dei temi, scaturiti dal grande ripensamento che la Chiesa cattolica, riunita in Concilio, ha fatto di se stessa, quali sono principalmente quelli circa la tradizione e l’innovazione nel Diritto Canonico (dottamente trattato dal Prof. Orio Giacchi), circa il Diritto divino e il Diritto umano nella Chiesa, circa il Diritto canonico nei principi conciliari, circa la potestà nella Chiesa (nella chiara esposizione del Prof. Mario Petroncelli); e così via.
Noi ci limitiamo ora a raccogliere la testimonianza, che risulta in tal modo dal vostro Congresso sopra un duplice ordine di principi, quello che riguarda le verità fondamentali relative alla natura e alla costituzione della Chiesa, e quello che riguarda il rinnovamento del Diritto Canonico secondo gli insegnamenti e i voti del Concilio. Dalle autorevoli parole stesse del Prof. Pietro Agostino D’Avack Noi abbiamo ora ascoltata la testimonianza che voi date, innanzi tutto, alla legittimità e alla necessità dell’esistenza d’un Diritto Canonico nella Chiesa. Voi avete riconosciuto che la Chiesa, fondata da Cristo, è una società visibile: l’idea che la Chiesa possa essere invisibile, com’è stato affermato da studiosi e da correnti d’un’interpretazione puramente spiritualista e liberale del cristianesimo in altri tempi, si dimostra utopistica, per non dire addirittura contraddittoria nei termini; così la tendenza, oggi alquanto diffusa nelle persone e nelle file cristiane, ad attestare una loro propria voce carismatica, libera o autorevole che dir si voglia, per affrancare la propria e l’altrui coscienza, la propria e l’altrui condotta dalla potestà normativa della Chiesa, si dimostra aliena dalla genuina concezione comunitaria e gerarchica della Chiesa stessa, e ci ricorda l’energico ragionamento di San Paolo, dispensatore, sì, dei misteri di Dio (1 Cor. 4, 1), ma nello stesso tempo organizzatore delle prime comunità cristiane, come nuclei ben distinti, governati dall’autorità apostolica e appartenenti ad un unico medesimo corpo sociale, il corpo mistico di Cristo; ad un certo punto, quasi polemizzando, egli scrive: «La parola di Dio è forse uscita da voi, o a voi soli è pervenuta? Se qualcuno si ritiene per profeta, o per uomo ispirato, sappia che le cose che io scrivo a voi, sono precetti del Signore» (1 Cor. 14, 36-37). La Chiesa è un Popolo costituito corpo sociale organico, in virtù d’un disegno e di un’azione divina, mediante un ministero di servizio pastorale, che promuove, dirige, ammaestra, educa e santifica in Cristo l’umanità, che a Lui aderisce nella fede e nella carità (Cfr. DE LUBAC, Méditations sur l’Eglise, p. 203).
È ciò che risulta dal Concilio. Esso ha approfondito la dottrina della Chiesa, ha messo in rilievo l’aspetto mistico che le è proprio, ed ha perciò obbligato il Canonista a ricercare più profondamente nella Sacra Scrittura e nella teologia le ragioni della propria dottrina. Questo fatto lo ha scosso nella sua abitudine, solita per lo più a fondare in una secolare e indiscussa tradizione il suo insegnamento, e a confortarlo con il confronto e con l’apporto, dapprima del Diritto Romano («quod ratio scripta est merito nuncupatum», come dicevano i Canonisti), poi con quello dei Popoli verso i quali la Chiesa ha rivolto la sua missione evangelizzatrice; ciò che per troppo ovvi motivi ella continuerà a fare nel suo pensiero e nella sua storia; ma, fedele, in quest’ora Post-conciliare, all’impulso dottrinale e disciplinare del grande Sinodo, ella cercherà in se stessa, nella sua intima e misteriosa costituzione, il perché ed il come della sua antica e rinnovata disciplina canonica (Optatam totius, 16).
NECESSITÀ DI UNA «LEX FUNDAMENTALIS»
Questa sembra a Noi la novità, che entra oggi nello studio e nella formulazione del Diritto Canonico; novità dalla quale germina la revisione del Codice vigente; e non già, come quasi sempre sono nate nella storia del Diritto le grandi compilazioni giuridiche, per uno scopo principalmente pratico, ad communem et maxime studentium utilitatem (Cfr. Decret. Gregorii IX), o, come fa dire Dante a Giustiniano: d’entro le leggi trassi il troppo e il vano (Paradiso, 6, 12), ma per derivare la legge canonica dall’essenza stessa della Chiesa di Dio, per la quale la legge nuova e originale, quella evangelica, è l’amore, è la gratia Spiritus Sancti, quae datur per fidem Christi (S. TH., I-II, 106, 1; e 108, 1); così che, se questo è il principio interiore che guida la Chiesa nel suo operare, esso dovrà manifestarsi sempre più nella sua disciplina visibile, esteriore e sociale, con quali conseguenze è più facile ora intravedere che dire. Vedremo sorgere innanzi tutto da questa introspezione mistico-etica della Chiesa un bisogno, quello della Chiesa stessa di definirsi in una «Lex fundamentalis», che la Teologia ancor più che il Diritto va approfondendo, e che, qualora fosse formulata in canoni espliciti, risolverebbe, fors’anche susciterebbe, molte e gravi questioni circa la vita cattolica nel nostro tempo.
AUTORITÀ DELLA TRADIZIONE
Questa più stretta parentela fra la Teologia e il Diritto Canonico infonderà in quest’ultimo caratteristiche nuove, alle quali certamente il vostro Congresso ha già rivolto lo sguardo, riconoscendo nel Diritto Canonico non tanto una legge dominante, un’espressione di potere autocentrico, un «iussum» dispotico e arbitrario, ma piuttosto una norma che tende massimamente a interpretare una duplice legge, quella superiore, divina, e quella interiore, morale, della coscienza, e perciò norma promovente e proteggente, equilibratrice, quanto meglio è possibile alla nostra condizione umana, dei diritti e dei correlativi doveri, della libertà e della responsabilità, della dignità della persona e nel contempo della sovrana esigenza del bene comune, e - ciò ch’è proprio della Chiesa - dell’immutabile sua costituzione unitaria e comunitaria e della sua versatile adattabilità nelle attività contingenti di lingua e di costume alle peculiari esigenze delle varie civiltà e delle peculiari condizioni storiche dell’umano consorzio. La Tradizione avrà, come sempre, ma ora con rinnovato prestigio, nel Diritto Canonico, una voce sommamente autorevole e gradita, un titolo di sapienza e di autenticità, ed il suo alimento altresì che sollecita la comunità ecclesiale a inverarsi nella perenne e non mai del tutto raggiunta perfezione della vocazione cristiana.
Quante, quante cose suggerirebbe anche ad un semplice discorso, come questo, un tema di tale ampiezza e di tale importanza!
Ma Noi lo concluderemo con l’espressione del Nostro plauso e con la Nostra esortazione per la continuazione dei vostri studi sul Diritto Canonico e su quello ecclesiastico, tanto più degni del vostro impegno quanto maggiore il Concilio ne dimostra la nuova fecondità e le nuove referenze alla vita della Chiesa e a quella, in non piccola parte, della società moderna.
CHIESA E SOCIETÀ CIVILE
Lasciate che Noi, messi dalla Provvidenza, con Nostra confusione, ma con immenso (vorremmo poter dire: incomparabile! - Cfr. Io. 21, 15) amore a capo visibile della Chiesa, della quale Cristo è il solo e sommo Capo generatore ed eterno, lasciate che vi invitiamo a guardare la Chiesa, anche nel suo aspetto esterno, temporale e giuridico, per ciò ch’ella realmente è, e per ciò a cui è realmente destinata. Il Concilio vi aiuta, quasi vi obbliga, a questa nuova visione, più profonda e più realistica. Se di giuridismo e di formalismo non dovrebbero più essere colpevoli gli uomini di Chiesa, anche quando devono legiferare e governare, vedete che queste accuse ricadono su quegli studi canonici che si attengono alle vecchie posizioni del positivismo giuridico, o dello storicismo giuridico. Sappiate anche voi vedere nella Chiesa, oltre lo schermo della sua profanità, la «societas spiritus» (Phil. 2, 1; S. AUG., Serm. 71, PL 38, 462); non crediate che, venendo ella a confronto con la società civile, da questa si separi o a questa si opponga (Cfr. Gaudium et spes), o in questa infonda la sua animazione per dominarla (Cfr. Ep. ad Diognetum, V-VI), o accordandosi con essa, la Chiesa voglia ancor oggi concedere, o chiedere privilegi, e non piuttosto, priva ormai di temporale potenza, né ambiziosa di ricuperarne il peso e il vantaggio, che ella altro desideri se non che effettivamente le sia assicurato il libero esercizio della sua spirituale e morale missione, mediante eque, leali e stabili delimitazioni delle rispettive competenze. Non temetela; anche voi, amatela piuttosto. Vi diremo con S. Agostino: Amate hanc Ecclesiam, estote in tali Ecclesia, estote talis Ecclesia! (Serm. 138, PL 38, 769) E abbiate anche voi la percezione del riferimento unico, personale e vitale, che questa misteriosa istituzione, la quale possiamo, sì, chiamare il sacramento della salvezza (Lumen gentium, 48), ha con ciascuno di noi come tramite obbligato e risolutivo della questione centrale e inevitabile del nostro destino, la questione religiosa; perché è sempre vera e urgente la parola di Cipriano: «Affinché uno possa avere Dio come Padre, deve prima avere la Chiesa come madre» (De cath. unitate, c. 6, PL 4, 503).
A tanto, o Signori e Figli, vi sia propizia la Nostra Apostolica Benedizione.
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