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DISCORSO DI PAOLO VI
AGLI ALUNNI DEL SEMINARIO ROMANO MAGGIORE

Sabato, 20 febbraio 1971

 

Vi ringraziamo di questa bella appendice. Vi ringraziamo delle parole belle e vere di ciascuno interpretate da Lei, ma come se fossero sulle labbra di. tutti questi cari alunni del nostro Seminario. Come sarebbe bello questo momento poterlo vivere tutti qui seduti; io in mezzo a voi per dirvi: perché devo essere io a parlare? Avete voi qualcosa da dire a me? Avete qualche desiderio? Chissà quante mormorazioni! Questo sarebbe forse il momento (perciò deleghiamo il vostro rettore a raccogliere le vostre espressioni eventuali) che mi diceste che cosa desiderate dal vostro Vescovo; il Papa, che cosa in particolare desiderate che faccia per voi. Come dobbiamo fare per dare a questo Seminario proprio una atmosfera, uno stile, una capacità pedagogica e sacerdotale da farvi felici e da farvi bravi per il ministero che vi aspetta? Perché è per la strada dell’incertezza che tanta gioventù va vagando e non sa bene dove andare.

La vostra risposta anche per me sarebbe forse interessante; ma ora sono io a dirvi quello che ho nel cuore per salutarvi. Ecco: vorrei che voi vi affrancaste dal mimetismo che è diventato così costringente e così diffuso nel nostro mondo. Anche fra noi, specialmente fra i giovani che si atteggiano a indipendenti ed emancipati. Sono quelli poi che più sono conformisti! Siate voi stessi, pensate che avete raccolto una parola del Signore, ma questa si deve affrancare da tutte queste suggestioni che il mondo moderno proietta sulla gioventù di oggi.

Dovete dire: sì, interpreto il mio tempo, vivo anch’io con i miei coetanei, ma con una forza ed una coscienza che mi liberano da questa paralisi collettiva che adesso grava sulla gioventù. E anche da tutti quei pensieri strani che sono diventati una moda; e non c’è niente di più vincolante che la moda. E guardatevi da quel decadentismo, che vuol tutto distruggere, tutto buttar giù, e diventa rivoluzionario senza sapere poi che cosa vuol costruire, pur di essere in questo atteggiamento negativo pugnace e aggressivo. E perciò due cose ora vorrei dirvi (mi dispiace che qui la predica diventa troppo lunga!).

Prima cosa: cercate di avere una vita interiore, di essere, dicevamo, «reduplicative» viventi: a contatto con la vita esteriore e poi con la coscienza personale, la quale ha, per chi le ascolta, le sue molteplici voci: psicologica, morale, spirituale . . . Questa ultima specialmente la chiamiamo vita interiore, che poi si direbbe meglio una voce ascoltata, un’eco dello Spirito «qui loquitur in vobis», la vocazione, il colloquio segreto, delicato e potente del Signore col nostro cuore, e che da parte dell’anima si esprime in un linguaggio di fede e di religiosa preghiera. Oh, sì! Cercate di pregare il Signore. Non pregate meccanicamente. Non lasciate l’incontro abituale e prescritto con Dio senza estrarre da voi un grido personale di sincerità e un istante affettuoso di colloquio con Lui. Dunque, ricordate: prima cosa, vita interiore.

E seconda: la seconda cosa è questa. Procurate di dare un carattere forte, austero e diritto alla vostra condotta, date alla vostra esistenza, quando occorre, una capacità di resistenza severa, non «borghese», non molle, non distratta, non dissipata. Siate davvero energici, anche se vi dovete sottoporre qualche volta a qualche disciplina del nostro ambiente, a qualche obbedienza, a qualche mortificazione, a qualche penitenza cristiana. Il prete deve avere un carattere temprato a questa energia spirituale e morale. E prima su se stesso per poi potere agli altri indicare con parole umane, anche dolci e convincenti, le vie difficili del Regno di Dio: «La mia via è stretta» ha detto il Signore. Non vi si può andare comodamente, quasi camminando alla buona, col minimo sforzo, pigramente e tristemente. Bisogna camminare eroicamente dietro i passi di Cristo.

Siete alunni del Seminario Romano: è inammissibile che ci sia mediocrità, che ci sia dissipazione, che ci sia mollezza, che vi siano i pasticci di certe esperienze profane e mondane, nella vita del Seminario Romano. Perché da ultimo: non dovete credere che per conoscere il mondo occorra farne la deplorevole esperienza: dico l’esperienza cieca, istintiva e disordinata. Colui che resta intatto da tale cattiva esperienza, può poi conoscere meglio il mondo - «beati i puri perché vedranno» - e così anche voi: non ambite di avere contatto diretto e sperimentale con il male che è nel mondo.

Bisogna pur conoscere le cose e le miserie di questa vita, ma come il medico, che studia e cura, senza prendere la malattia. Cerca anzi di immunizzarsi, e quanto più è immunizzato tanto più allora è idoneo a curvarsi sul malato, a curarlo e a guarirlo. Così noi: dobbiamo essere immuni da questa invadente profanazione, da questa contaminazione, da questa impurità, da questo assalto di sensualità, che viene oggi da tutte le parti. E se siamo davvero capaci di immunizzarci, di essere risoluti e avveduti nella nostra condotta morale, se sappiamo dare al nostro timbro spirituale una energia di fedeltà, che è segnata poi dal segno della croce, qualche cosa di degno della nostra vocazione, con le grazie del Signore, potremo combinare durante il nostro cammino nel tempo, verso l’eterna speranza.

Pregherò per voi, carissimi Figli, perché la Vergine santa illumini e protegga sempre il Seminario Romano.



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