DISCORSO DI PAOLO VI AI MEMBRI
DELLA FEDERAZIONE UNIVERSITARIA CATTOLICA ITALIANA
Lunedì, 28 giugno 1971
E adesso carissimi?
Ci troviamo, quasi in sogno, dopo tanti anni, ciascuno col volto nuovo - quantum mutatus ab illo! -, non certo per segni di giovani anni, ma per quelli del vespro della nostra giornata terrena. Ma che cosa è mai che ci riconosciamo, come se ieri soltanto ci fossimo lasciati? Noi ci ricerchiamo per riconoscerci ancora quelli d’un tempo, e godiamo. Lo sguardo nella sua ricerca, ahimé!, trova dei vuoti tra noi: e quanti, e quali! Ma il ricordo degli amici scomparsi è così vivo, così personale, che sembra riportare fra noi, non come larve evanescenti, ma come figure reali, e più belle, e più nostre di allora, quelli che nos praecesserunt cum signo fidei et dormiunt in somno pacis: Monsignor Gian Domenico Pini, Igino Righetti . . . Non li vogliamo nemmeno tutti chiamare per nome, per non incorrere in involontarie omissioni; e poi: per non lasciarci vincere dalla commozione. Sono tutti presenti; e basta. Ma non sono qui soltanto anziani e defunti; sono qui anche non pochi rappresentanti delle nuove generazioni, figli e nipoti; e ci procura grande piacere farne la conoscenza diretta in questa occasione; sono loro ora i protagonisti; tocca a loro continuare, se vogliono, la nostra storia.
La nostra storia, quella della FUCI: eccone qui il libro, il racconto. Il documento. È certo il disegno significativo, la linea esemplare d’un movimento, modesto nel numero e nei fatti, un piccolo gruppo, un’esigua minoranza rispetto alla massa universitaria, ma piena di idee, di forze morali, di giovanili entusiasmi, di coscienza di sé. Noi vedremo volentieri queste pagine, e tanto più volentieri quanto più storiche, che celebrative: ci compiacciamo intanto con chi ha avuto l’accortezza e la pazienza di metterle insieme, con chi ne ha curato la bella pubblicazione, e con Lei, Onorevole Spataro, e con tutti gli amici che a Lei uniti ce la offrono; e con quale intenzione! quella di onorare con tale gesto il nostro giubileo sacerdotale! Non possiamo non essere molto sensibili a codesta cortesia, e molto attenti al suo valore spirituale. Dio vi benedica per l’affezione e per la devozione che voi, così cordialmente e così fedelmente, attestate all’antico Assistente.
Dunque è così, carissimi Amici e Figli non meno diletti, che ci sentiamo un momento strettamente uniti per ripetere insieme le due formule, che danno occasione a questo incontro: FUCI e Laureati Cattolici.
E potrebbero da sé essere tutti il nostro discorso. Parlano da sé; e a noi, stretti ora da tanti impegni, e resi poveri di tempo e di lena, piace piuttosto che ciascuno di voi costruisca sopra le due formule stesse la sua riflessione senza attendere da noi ciò che sopra di esse si potrebbe dire: troppi ricordi, troppi avvenimenti, troppi uomini, troppi problemi sono collegati con questi appellativi per farne qui in breve degna menzione. E poi non sapremmo se rievocandoli ci dobbiamo riferire al passato, al presente, o all’avvenire: toccherà ad ogni modo a coloro che oggi sono di scena nella FUCI e fra i Laureati recitare liberamente la loro parte.
Ma tuttavia non sappiamo rinunciare, quasi per antica abitudine . . . professionale, a sintetizzare in alcuni aspetti salienti e dinamici di tali movimenti le loro caratteristiche, quelle almeno che ci sembrano risultare evidenti e meritevoli d’essere assicurate non solo alla memoria passata, ma altresì all’attività avvenire dei cattolici italiani.
RICERCA DELLA VERITÀ
FUCI e Laureati vollero essere, innanzitutto, movimenti intellettuali. Non nel senso teoretico e scolastico, ma piuttosto nel senso morale e pedagogico. Studiare e pensare, primo dovere. Cercare e sapere, questo innanzitutto. Dare al momento degli studi universitari, e a quello successivo professionale la sua impronta umana superiore e caratteristica, l’impegno razionale, la ricerca della verità; e fare di essa la luce del proprio sentiero nella vita, questo fu il criterio direttivo della FUCI ai nostri giorni, e poi dei Laureati cattolici. Nell’assalto e nel trambusto delle correnti operative, politiche e sociali, guidate senza logici e solidi principi da passioni volontariste e da interessi di potere, avere la virtù di imporre a se stessi il primato della ragione, dello studio, dell’onestà del pensiero, del silenzio, della critica costruttiva, della concezione resa personale sul mondo degli esseri, degli avvenimenti, dei doveri, in una parola sulla vita, fu la norma che orientò senza alcuna pedanteria speculativa, a quei tempi almeno, i due movimenti; e le vicende storiche e culturali di quegli anni ne collaudarono la bontà. Furono movimenti di pensiero. Studium fu la loro insegna, e lo è tuttora; e vuol dire «cercare con amore» la verità.
Anche perché la Verità, genetica, congeniale e terminale, perseguita in questo sforzo intellettuale, era ed è non solamente quella scientifica e nemmeno, per sé, quella filosofica, con i suoi drammi e le sue scoperte; era lo Spirito, lo Spirito di Verità, lo Spirito che la fede ci dice essere il Maestro interiore, lo Spirito di Cristo, la vera luce che «illumina ogni uomo che viene a questo mondo» (Cfr. Io. 1, 9). Così c’insegnarono i primi maestri dei due movimenti. E questi ebbero subito e sempre perciò un aperto carattere religioso. Religione e studio furono una sintesi vissuta in pienezza e in gaudio per la FUCI prima, per i Laureati poi. Forse questi esperimenti furono, parzialmente almeno, precursori in Italia della rinascita liturgica e cultori sinceri d’una profonda spiritualità. Non nascosero mai, ma nemmeno ostentarono mai vanamente il loro nome confessionale ed il loro sentimento cattolico.
COMUNITÀ E COMUNIONE
E i soci di questi movimenti vissero insieme per prima, forse, rispettivamente, questa professione religiosa e questa esperienza spirituale: furono a loro modo comunità; o meglio: comunione. Furono e sono associazione, movimento collettivo. Altro aspetto caratteristico questo, anche se non originale: ma di originale ebbe la perfetta, spontanea, esaltante coincidenza degli animi, fino a fare di cotesto spirito associativo uno stile. Tempo addietro l’organizzazione, in quanto tale, era più facile, era una forma comunemente preferita di convivenza, normale della vita associata; ora forse lo è meno; ma anche allora, ai tempi nostri, il vero vincolo unitario era l’amicizia, come lo è tuttora; era l’identità di fede e di ideali; era, anche sotto questo aspetto, lo Spirito di unità e di amore, una pienezza cristiana, il vero cemento di aggregazione e di fusione. Chi ha vissuto, come tanti di voi, questa comunione di animi, può dire se vi fu mai l’eguale a paragone con altre forme di cameratismo, di vita comunitaria e sociale. Non è meraviglia se la letizia, anche un po’ di burlesca goliardia, sebbene non mai volgare, né eversiva (Cfr. S. AUG. Conf. III, 3), riempiva ed animava allora l’associazione, rinomata per i suoi canti e per la sua vivacità. Ora, ci dicono, la gioventù non gusta più queste festose e spensierate espressioni di spontanea allegria. Forse oggi la gioventù è più seria; e sta bene; ma Dio non voglia che essa sia più amara ed avversa.
FEDELTÀ E AMICIZIA
E non era quella della FUCI e dei Laureati, che da essa derivarono, una dissipazione; era piuttosto anch’essa un’espressione significativa, una testimonianza della serenità e della gioia cristiana, non mai dimentica di un altro irrinunciabile carattere dei vostri movimenti, quello diciamo pure, militante ed apostolico. Ragion d’essere, oltre quella della propria formazione, è sempre stata per voi l’accostamento leale e fraterno, polemico anche talvolta, ma sempre inteso ad avvicinare e a persuadere l’ambiente di cultura e di vita nel quale si svolge la vostra azione. Il senso della fortuna e della responsabilità d’essere cattolici non vi ha mai permesso di considerarvi privilegiati e chiusi in un vostro ambiente di iniziati, ma vi ha sempre posto nel cuore l’ansia espansiva della vostra fede e dei tesori della vostra vocazione cristiana, ed insieme il rispetto e la stima degli altri per fare anche di loro, se degni, se capaci, degli amici non insensibili alla vostra conversazione; al vostro dialogo, come oggi si dice.
Questi a Noi sembrano i caratteri più evidenti dei movimenti di cui voi ci portate il ricordo, il saluto, il segno di fedeltà e di amicizia; e se Noi li abbiamo ora fuggevolmente ricordati è perché Noi stessi li abbiamo sperimentati nobili e benefici, e perché crediamo che conservati, in nuove e moderne espressioni, lo possano essere ancora alla presente e alla ventura generazione.
Sarà dovere, grato dovere certamente, per gli anziani tenere sempre fede all’impronta intellettuale, religiosa, comunitaria, apologetica della formazione cattolica, della quale loro stessi, in grande parte, sono stati gli ottimi artefici; e toccherà ai giovani ad individuare quali forme del cattolicesimo precedente possano sopravvivere, e quali, specialmente dopo la scuola del Concilio, debbano essere rinnovate e integrate, traendo, come l’uomo del Vangelo, dal proprio tesoro cose antiche e cose nuove (Cfr. Matth. 13, 52). Ma tutti ricordate, carissimi, che Cristo vi impegna per sé e che la Chiesa e la società hanno nuovo e perenne bisogno della vostra testimonianza e del vostro amoroso servizio. Così auguriamo, con la Nostra Apostolica Benedizione.
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