DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
SUL TEMA PER LA PROSSIMA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
Giovedì, 11 luglio 1974
I. UNA VIA CONTESTATA
La pace è fatta di atti di riconciliazione
Riconciliarsi a titolo individuale è, indubbiamente, una cosa difficile, un atto di grande virtù - si riesca o meno a compierlo - e costituisce certo un valore specifico della religione cristiana.
A questo livello personale, il problema, pur comportando difficoltà di ordine pratico, non presenta difficoltà di principio: il perdono delle offese è, quotidianamente, domandato e vissuto nel «Pater Noster».
Non si può negare che molte discordie e dispute possono esser chiuse con un semplice sforzo di buona volontà, e questi atti di riconciliazione hanno un grande valore educativo e morale per coloro che ne sono gli autori, i beneficiari o i testimoni. Pertanto lungi dal trascurare queste piccole forme di riconciliazione quotidiana, bisogna moltiplicarle; esse formano come la trama del tessuto della vita associata. La vita in comune, tra coniugi, tra fratelli, nello stabile in cui si abita, nella fabbrica in cui si lavora, nella città e nella nazione, non è forse una serie ininterrotta di litigi e di scontri, superati ed anche perdonati «fino a settanta volte sette»? (Cfr. Matth. 18, 22) Meno spettacolari delle rotture e dei drammi, esse interessano scarsamente la stampa e la letteratura, ma pure contano molto di più, per valore intrinseco ed in senso statistico.
Si ha il diritto di riconciliarsi?
Quando, però, si passa ad altri tipi di conflitti, ai conflitti collettivi, il problema della riconciliazione, a giudizio di molti, cambierebbe di natura, in quanto porrebbe un problema di coscienza.
Ci si domanda: si ha il diritto di riconciliarsi?
A prima vista, metter questo in discussione può apparire scandaloso. Non si oppone forse direttamente il Vangelo: «Se stai presentando la tua offerta all’altare ed ivi ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia li la tua offerta dinanzi all’altare e va prima a riconciliarti con tuo fratello; poi ritorna e presenta la tua offerta»? (Matth. 5, 23-24)
Riguardando, però, le cose da vicino, i conflitti sociali, civili o internazionali, non si rivelano forse, nella maggior parte dei casi, «conflitti di solidarietà» e, quindi, conflitti di doveri? Per restare solidale con i diversi gruppi ai quali appartengo ed ai quali debbo tutto quello che ho (la mia famiglia, il mio ambiente di vita e di lavoro, la mia classe sociale, e la religione, il partito, la razza, il paese, il colore) non sarei spesso obbligato, senza volerlo ed a malincuore, a combattere gli altri gruppi? Gruppi, questi, verso i quali io sono solidale per altri titoli e nei quali conto, talora, anche degli amici, ma che, per la loro azione o per il semplice fatto che esistono, sembrano opporsi ai diritti, talora a quelli più elementari, della mia propria comunità.
Le risposte, che oggi son date a simili quesiti, possono essere raggruppate in tre categorie: alcuni concepiscono la pace come un intermezzo tra due guerre, privo di conflitti, intendendo questi ultimi come un vero male o, per lo meno, come accidenti anormali da iscriversi nell’àmbito dell’errore o del peccato; al contrario, molti dei nostri contemporanei, tra i quali un certo numero di cristiani, valorizzano i conflitti e la violenza vedendo in essi la causa unica dei progressi avvenuti nella storia, dunque, come un vero bene, e considerando la riconciliazione come un’utopia disfattista o come una forma d’alienazione disonesta e malefica; molti altri, infine, facendo proprie le posizioni del Concilio Vaticano II e del Magistero pontificio ed episcopale di questi ultimi anni, hanno una concezione più ampia e più realistica del problema. Eccone alcuni punti fondamentali.
II. VERE E FALSE FORME DI RICONCILIAZIONE
1. Il conflitto è un dato di fatto, perciò non deve essere distaccato dalla problematica della pace. La società si presenta, sotto un certo aspetto, come conflittuale: in essa pullulano lotte ed opposizioni, dappertutto ed a tutti i livelli. Come la zizzania e il buon grano, la guerra e la pace non sono separabili in questo mondo. La pace non esiste e non si crea di continuo, se non superando gli scontri che incessantemente rinascono. E questi scontri sono spiegabili: il numero delle libertà umane in azione sotto lo stesso pianeta pone inevitabilmente a ciascun uomo, come a ciascuna collettività, il problema dell’«altro», sotto il duplice aspetto della difesa o dell’aggressione. Ad ogni modo, dunque, il conflitto è un fatto; se così non fosse, la riconciliazione non sarebbe un fatto ed un dovere permanente.
Spetta al discernimento cristiano valutare, in ciascuna circostanza, ciò che trae origine da una giusta regolazione della vita in società o, viceversa, deriva dal peccato: odio, orgoglio, egoismo.
2. Il riconoscimento dell’esistenza del conflitto non implica il passaggio automatico dal fatto al diritto e, tanto meno, al dovere di mantenere e di radicalizzare le lotte in corso, o di crearne sistematicamente altre ancora. Il conflitto, infatti, non è un fine, ma un mezzo, e vi sono precisi limiti e criteri per la sua legittimità.
3. Il primo compito della riconciliazione è di adoperarsi con impegno a risolvere i problemi posti da questi scontri, battendosi non tanto contro i loro effetti, quanto contro le loro cause, immediate e specifiche, o lontane e generali.
4. Di conseguenza, la riconciliazione trova i suoi limiti nelle contraffazioni, alle quali qui possiamo solo accennare: esse spiegano perché un certo numero di conflitti, in parte e per un certo tempo, sfuggono alla riconciliazione.
Due contraffazioni
La prima contraffazione è l’ingiustizia. Ecco come questa, tra altri testi e interventi, è denunciata da Paolo VI: «La pace potrà arrivare anche a gravi rinunce (...); arriverà per-fino alla generosità del perdono e della riconciliazione; ma non mai per servile mercato dell’umana dignità (...); non mai per viltà. Essa non sarà mai senza la fame e la sete della giustizia (...); essa non tradirà mai per vivere le ragioni superiori della vita» (Messaggio di Paolo VI per la Giornata Mondiale della Pace 1974).
La seconda contraffazione è la riconciliazione senza la verità o contro la verità. Per riconciliarsi, non si ha il diritto di perdere la propria consistenza, la propria identità, la propria coscienza. Non si ha riconciliazione, se questa impedisce di restare se stessi, se porta a sminuire la propria personalità nel gruppo sociale, a «perdersi» in esso ed a perdere, nello stesso tempo, la propria libertà, la propria coerenza e la propria fede. A questo riguardo Paolo VI richiama il monito di S. Paolo: «Non vogliate conformarvi al mondo presente» (Rom. 12, 2). La riconciliazione non s’identifica con l’indifferentismo, morale o religioso. Su ciò insiste molto Papa Giovanni XXIII nelI’Enciclica Pacem in terris (N. 157).
La riconciliazione ecumenica, quale essa è sviluppata e vissuta nel Post-Concilio, ha saputo evitare questo rischio, prendendo come regola quella di perseguire in comune la massima conformità al Cristo-Verità. Altrettanto avviene nel dialogo fraterno con le altre religioni.
5. In tutti i casi, anche quando il rispetto delle «esigenze della dottrina della fede» obbliga ad «attendere con confidenza» l’ora della totale riconciliazione collettiva in questo settore (Cfr. PAOLO VI, Udienza generale del 10 aprile 1974), ciò non deve né sopprimere né ritardare il dialogo, l’amicizia, la collaborazione, al livello delle persone che vi sono interessate (Cfr. Enc. Pacem in Terris, 157-160).
Una tale distinzione, così come il dovere di mantenere la coerenza cristiana, si applica, altresì, con ben maggiore pertinenza alla collaborazione con gli uomini di buona volontà, i quali professano «false teorie filosofiche» e, dunque, ad una riconciliazione con loro a livello personale.
III. LA RICONCILIAZIONE: UN DOVERE, UNA SOLUZIONE
La riconciliazione, rettamente intesa e distinta dalle sue caricature, non è solo un diritto, ma è anche un dovere.
Un dovere che trova la sua conferma nella storia, verificata e vissuta dalla saggezza dei popoli. Da tempo immemorabile, la politica interna ed estera degli Stati si avvale, per comporre le controversie tra loro esistenti, del negoziato, della conciliazione, del compromesso.
Essa prepara il risultato finale (ad es. un’alleanza, un trattato di pace) con una serie di tappe progressive: abboccamenti; tregue; armistizio. Sarebbe impossibile la vita civile ed internazionale se non ci fossero tali accordi, che s’inscrivono in seguito, più o meno rapidamente, nel corso storico delle civiltà. Ne abbiamo, in ogni caso, la testimonianza in due fatti contemporanei: la riconciliazione tra i popoli belligeranti, subito dopo gli orrori della II guerra mondiale, e la riconciliazione ecumenica. Chi avrebbe potuto prevedere, appena trent’anni fa, questi due risultati che sono indiscutibili? E quanti altri esempi non si dovrebbero ricordare nel medesimo senso?
Una soluzione che è offerta da Dio: il tema della riconciliazione si comprende meglio, quando, trascendendo il livello della ragione e dell’esperienza, si risale alle sorgenti della fede. Si vede allora che essa, prima che un dovere, è una soluzione. È la soluzione fondamentale, la via verso la pace.
La riconciliazione degli uomini tra di loro deriva direttamente dalla riconciliazione di Dio con l’uomo, dalla riconciliazione di cui egli ci ha fatto dono nel suo Figlio. Pur essendo gratuita, non per questo è concessa automaticamente; tale dono non è né imposto né al tutto compiuto, non è un’amnistia magica. Ciascun uomo, ciascuna comunità umana sono chiamati a realizzare, in se stessi e in concreto, questa Pace in tal modo acquistata e promessa. Il Cristo risorto continua, mediante il suo Santo Spirito, a renderla attuale nel corso dei secoli.
In S. Paolo, la parola riconciliazione è sinonimo di redenzione, liberazione, santificazione: essa evoca, dunque (l’etimologia lo conferma) l’idea di cambiamento, di progresso e di rafforzamento.
Ben lungi dall’essere un ritorno o un arretramento, un immobilismo di stampo conservatore e disfattista, un’apologia dello «statu quo», la riconciliazione cristiana, nella sua intima essenza, è un reale miglioramento in rapporto alla situazione esistente prima della controversia: è un’opzione ed una garanzia per l’avvenire. Essa apporta idee nuove, indica vie e possibilità a cui gli amici di ieri, diventati più tardi nemici, non avevano ancora pensato. È per questo che mette fine ai loro conflitti, appunto aprendo loro una via nuova che cambia i dati stessi del problema. La riconciliazione non mobilita, dunque, soltanto il cuore e l’umiltà, ma l’immaginazione e le forze vive degli avversari di un tempo e li fa agire e collaborare per una costruzione comune ed inedita: in breve, per una pace diversa ed originale.
Per la pace, per l’avvenire
Quando Paolo VI insiste, con forte accento, sul binomio congiunto di «Rinnovamento - Riconciliazione», non enuncia soltanto le finalità dell’Anno Santo, ma le stesse strutture portanti della Pace.
In effetti, ambedue i termini mettono in moto una realtà fondamentale, che si rischia di dimenticare nel momento in cui ferve la lotta per la giustizia: la Società non è soltanto conflittuale, ma è anche e, prima di tutto, comunione. Quel che unisce gli uomini, in forza della natura e della grazia, è più forte di quel che li divide.
La spinta «comunitaria» è universale ed è l’elemento che costruisce la pace e la civiltà. L’aiuto reciproco, la mutua solidarietà, l’amicizia e l’amore fanno e sono la società, la « famiglia umana ». Tanti i fatti che si rilevano da un esame scientifico della sociologia e della storia.
A questa constatazione sperimentale, la Rivelazione aggiunge la spiegazione e la nuova dimensione della Parola divina, dell’esempio e della resurrezione di Cristo. Lo Spirito di Dio agisce nel corso della storia: l’amore, che da lui è nato, è più forte dell’odio e della morte. Riconciliarsi nel nome di questo Amore, che non può adattarsi all’ingiustizia o alla menzogna, non significa né tradire né sognare: significa, piuttosto, rendere l’amore umano coefficiente attivo della storia e del suo sviluppo.
Per ma pastorale della Pace mediante la Riconciliazione
È a questo punto che s’inserisce tutta una linea pastorale e possono trovar posto un’educazione ed una spiritualità della riconciliazione, perché la Chiesa ha ricevuto ed affida a ciascuno dei suoi membri il «mistero della riconciliazione» (2 Cor. 5, 16-20).
Al presente, offrono essi la testimonianza di questo ministero? La offrono nella vita civile ed all’interno della Chiesa? Che cosa significano certe contestazioni, verticali o orizzontali, che si ravvisano in seno al Popolo di Dio? Il Santo Padre ha più volte affrontato e chiarito questo problema, assegnandogli come criterio risolutivo quello del Rinnovamento: «È solo da questa operazione interiore che può parimenti scaturire la riconciliazione degli uomini . . . . la Pentecoste della grazia potrebbe così diventare la Pentecoste della nuova fratellanza» (PAOLO VI, Lettera al Card. M. de Furstenberg, Presidente del Comitato Centrale dell’anno Santo, in data 31 maggio 1973).
La soluzione non consiste, dunque, nel chiudersi nell’intolleranza e nell’isolamento, ma collocandosi all’interno degli stessi conflitti esistenti nel superarne le implicazioni e ricercarne le soluzioni secondo vie e modalità nuove. La riconciliazione non è né un arresto né un ritorno all’indietro: è una marcia in avanti verso l’avvenire è la via verso la pace.
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