DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AI PARTECIPANTI ALLE CELEBRAZIONI PER IL IV CENTENARIO
DEL PONTIFICIO COLLEGIO GRECO
Sabato, 30 aprile 1977
Venerati Fratelli e carissimi Figli!
Ispirato ad intonazione di profonda letizia, dopo i bei canti liturgici e le devote parole del Signor Cardinale Paul Philippe, è l’odierno incontro, il quale, se di per sé si collega ad una ricorrenza quattro volte centenaria - quella della fondazione in Roma del Collegio Greco di S. Atanasio - si apre, peraltro, e si allarga nella visione della Chiesa d’Oriente, che con la Chiesa Latina forma l’unica ed indivisa Chiesa di Cristo. Il Nostro saluto, come alle Autorità religiose qui presenti, si dirige naturalmente a voi, Alunni e Superiori del Collegio, perché siete voi i festeggiati; e si rivolge ancora ai condiscepoli degli altri Istituti eretti nell’Urbe per l’educazione del Clero di rito orientale, perché tutti insieme voi ponete dinanzi ai nostri occhi questa consolante realtà di coesione ecclesiale.
Al saluto facciamo seguire le congratulazioni per il traguardo felicemente raggiunto: son trascorsi quattro secoli, densi di avvenimenti, di cambiamenti culturali e sociali, di mutamenti spirituali ed anche, per conseguenza, di adattamenti nei metodi pastorali, e durante questo lungo periodo il Collegio ha sempre svolto, secondo le varie circostanze, la sua funzione di centro di formazione dottrinale e spirituale. Da esso, come da operosa fucina, è uscita un’ininterrotta schiera di giovani ben preparati per l’apostolato nelle rispettive terre di origine. Il nostro discorso trascende, però, la ricorrenza storica; non avremmo, del resto, il tempo, né sarebbe questa la sede per una pur doverosa commemorazione. Diremo solo che davvero provvida fu la decisione di Papa Gregorio XIII, che con la Bolla «In Apostolicae Sedis Specula», del 13 gennaio 1577, dava il primo avvio all’istituzione, dimostrando una lucida consapevolezza degli accresciuti bisogni delle comunità cattoliche di Grecia e dei territori adiacenti. Come qualche anno prima aveva voluto la «nuova» istituzione del Collegio Germanico (anche questo centenario ci fu dato di celebrare - Cfr. Insegnamenti di Paolo VI, 11 (1973) 977-983 -), così volle egli provvedere alla Chiesa di Grecia con la fondazione di un Collegio, in quo pueri et adolescentes Graeci ex ipsa Graecia et aliis Provinciis et locis, ubi commorantur, conquisiti alantur . . . instituantur (Bullarium Romanum, t. IV, p. III, ed. Romae 1746, p. 328), entrando in tale determinazione da una parte la condizione assai precaria seguita alla caduta di Costantinopoli, dall’altra la ripresa cattolica promossa dal Concilio Tridentino, che si era concluso da poco più di dieci anni!
Fatto questo rapido richiamo all’iniziativa del nostro Predecessore ed alle benemerenze acquisite dal Collegio, che in ordine di tempo fu il primo rispetto agli altri Istituti destinati al Clero di Oriente, ci preme estendere l’elogio, che diremmo «storico-ecclesiale», all’intera Chiesa Orientale. Noi amiamo riguardare alla sua storia plurisecolare, ai maggiori suoi esponenti che furono campioni di fede e luminari di dottrina, alle complesse vicende che in essa e per essa si determinarono, alle prove di fedeltà che seppe offrire in mezzo alle sofferenze ed alle non rare persecuzioni, per additarla ad esempio di perseveranza e di fermezza. In particolare, non possiamo dimenticare l’impareggiabile patrimonio di spiritualità, di religiosità, di cristianesimo incarnato ed irradiante ch’essa reca in sé e mette a disposizione di tutti i fratelli cattolici. Ed è qui che troviamo i suoi elementi caratteristici ed originali, che non è solo doveroso, ma fruttuoso, altresì, e stimolante salvaguardare, esaltare e valorizzare. Mirabile, infatti, e provvidenziale ci sembra l’esistenza di distinte tradizioni, istituzioni, riti, forme disciplinari (sono i termini stessi che ricorrono in apertura del Decreto «Orientalium Ecclesiarum») che, in uso nella Chiesa d’Oriente, si affiancano senza contraddizione alle corrispondenti e pur diverse espressioni che son proprie della Chiesa Latina. Noi riteniamo che sul fondamento - questo, sì, granitico ed immutabile - dell’unità di fede si affermi non solo legittimamente, ma fortunatamente e suggestivamente una serie differente e tuttavia convergente di particolarità rituali ed istituzionali: fenomeno, questo, che è indice di vitalità, che scopre una ricchezza e rivela una crescita «ab intus», per cui vien superata ogni piatta e forse inopportuna uniformità, e si ha il rigoglio della fioritura. Tale diversità - aggiungeremo - riflette la libertà dello Spirito, la molteplicità dei celesti suoi doni, e scaturisce nello stesso tempo dal genio, ossia dall’indole e dall’estro dei popoli che fan parte dell’unico Popolo di Dio.
Da questo quadro ricaviamo poi, una seconda considerazione: è necessario alimentare il senso dell’unità della Chiesa nella specifica diversità delle varie espressioni ecclesiali. Questo senso vuol dire aver chiara coscienza del tutto che sussiste nelle parti, e della giusta collocazione delle parti nel tutto; vuol dire comprendere che cosa sia l’integrazione e quali siano le leggi che la regolano; vuol dire, dunque, impegno di reciproca solidarietà; vuol dire scambio incessante di aiuti, come vuol dire, evidentemente, leale rispetto e debita tutela delle legittime diversità. Occorre, dunque, vedere e capire come l’essenziale e costituzionale unità della Chiesa si componga armonicamente con le accennate espressioni ecclesiali, sforzandosi di penetrare addentro nel vivo del mistero della Chiesa.
Per alimentare questo senso è, insomma, necessario possedere una mentalità autenticamente cattolica, che abiliti a pensare in termini universalistici: come vasto ed onnicomprensivo è il disegno salvifico di Dio, così la Chiesa che di questo disegno è strumento e sacramento (Cfr. Lumen Gentium, 48; Ad Gentes, 1), accoglie un tale pluralismo come articolazione della sua stessa unità. E proprio nelle Chiese Orientali si ritrova storicamente anticipato e esaurientemente dimostrato nella sua validità lo schema pluralistico, sicché le moderne ricerche intese a verificare i rapporti tra annunzio evangelico e civiltà umane, tra fede e cultura, hanno già nella storia di queste Chiese venerande, significative anticipazioni di elaborazioni concettuali e di forme concrete in ordine a detto binomio di unità e diversità.
Anche limitandoci ai dati statistici, a cui accennava il Signor Cardinale, chi oserebbe dire che il quadro vario, che in essi si riflette, sia segno di frammentarietà e divisione? E chi negherebbe alle diverse Chiese, a cui i vostri Istituti appartengono, la pienezza di adesione alla roccia di Pietro e la sincerità nella professione di fedeltà, di obbedienza e di amore ai Romani Pontefici, suoi successori? Sono queste ragioni intraecclesiali che spiegano l’alta parola che il Concilio Vaticano II ha dedicato alle Chiese Orientali Cattoliche, per esse elaborando uno speciale Decreto, che come sottintende o richiama quel che ora abbiamo detto (Cfr. Orientalium Ecclesiarum, 2-5), così invita al rispetto ed alla promozione dei valori preziosi di cui le Chiese Orientali son portatrici (Ibid. 2).
Cari giovani che qui ci ascoltate, e voi soprattutto studenti di teologia! Ci rivolgiamo a voi, non tanto per ragioni anagrafiche o di semplice convenienza, quanto per la grande fiducia che riponiamo nella generosità che voi dimostrate. Grande è la vostra vocazione ed assai importante per la Chiesa di oggi. Voi siete chiamati a predicare Cristo agli uomini del nostro tempo, che avvertono sempre più, anche se le apparenze potrebbero far pensare il contrario, il richiamo e l’esigenza dell’Assoluto. Voi avete a disposizione una eredità dottrinale, spirituale e ascetica che, anche sul piano dell’umana cultura, è fra le più ricche: intendiamo in special modo la vostra speculazione teologica e la vostra tradizione liturgica. Non vi preparate forse a celebrare la divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo, che è ricordato come «bocca d’oro» per la forza della sua parola annunciante la buona novella? Non userete un giorno la Liturgia di San Basilio il Grande? E non cantate già quotidianamente i carmi sacri di grandi innografi, quali San Giovanni Damasceno e Andrea di Creta, che hanno rivestito la celebrazione del mistero cristiano con le forme ispirate dalla poesia, atta a commuovere il cuore e ad aprirlo alla contemplazione divina? Se studiate questa vostra eredità con intelletto d’amore, avete già pronto uno strumento elettissimo di azione catechetica e pastorale che darà, come ha dato, frutti di carità in abbondanza.
Ma poi c’è un’altra ed altrettanto impellente ragione per parlare a voi, e la desumiamo dal Decreto «Unitatis Redintegratio», il documento sull’ecumenismo, che non a caso fu pubblicato il giorno stesso del Decreto concernente le vostre Chiese, insieme con il testobase della «Lumen Gentium» (21 novembre 1964). Se l’ecumenismo richiede - come l’esperienza sta dimostrando – tempi lunghi, perché si possano debitamente studiare ed approfondire le delicate questioni di ordine dottrinale e pratico che vi sono implicate, chi più di voi deve essere aperto a raccogliere, ad interpretare, ad applicare, a sviluppare i sapienti indirizzi conciliari? L’ideale ecumenico tocca da vicino e toccherà ancor più in futuro ciascuno di voi. La sollecitudine che per i Fratelli Ortodossi ebbero già gli antichi alunni del Collegio Greco, deve essere anche la vostra, con un supplemento - diremo - di disponibilità, di amore, di apertura al dialogo fraterno, come dettano i segni dei tempi. Se Noi, confortati dal Concilio e dalla collaborazione dell’Episcopato, vogliamo continuare l’ecumenismo «ante litteram» del Fondatore del vostro Collegio e l’azione diretta di altri nostri Predecessori, anche voi dovete impegnarvi secondo le concrete possibilità ed in vista delle responsabilità future. È questo un compito particolare, a cui siete chiamati. Una volta completata la vostra formazione teologica e ricevuti i sacri Ordini, tornando nei vostri Paesi, vi troverete accanto ai Fratelli delle Chiese Ortodosse. Siete quindi immediatamente sollecitati a farvi artefici di unità. Certo, ogni battezzato è tenuto a cooperare alla ricomposizione dell’unità tra quanti credono in Cristo, cioè dell’unità della Chiesa che professiamo nel «Credo», essendo la divisione uno scandalo che pregiudica l’opera stessa dell’evangelizzazione. Ma voi che siete a contatto diretto con i Fratelli ortodossi, voi che vivete in una stessa regione insieme con loro, presi forse dagli stessi problemi pastorali e dalle stesse preoccupazioni sociali, voi che usate la stessa liturgia, non siete forse chiamati ad un titolo specialissimo a lavorare per la causa dell’unità dei cristiani? Ci soccorre anche qui un passo del Concilio: «Alle Chiese Orientali spetta il peculiare ufficio di promuovere l’unità di tutti i cristiani, specialmente degli orientali, secondo i principii del Decreto sull’Ecumenismo, promulgato da questo Concilio: in primo luogo con la preghiera, poi con l’esempio della vita, la scrupolosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali, e la mutua e migliore conoscenza, collaborazione e fraterna stima delle cose e delle persone» (Orientalium Ecclesiarum, 24). Vedete, dunque, che il Concilio non solo ha fissato un compito, ma ha anche indicato la via per attuarlo: è la vita spirituale, fatta di preghiera, di esempio, di testimonianza. «Non si dà ecumenismo autentico senza interiore conversione; poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stesso e dal pieno esercizio della carità» (Unitatis Redintegratio, 7).
Mentre per il vostro Collegio si apre un nuovo secolo di vita, ci piace ancora assicurare che, nel duplice sforzo di edificare in fide et caritate le vostre Chiese e di svolgere una parallela azione ecumenica, Roma è con voi, per assistervi, per confortarvi, per offrire l’operante solidarietà della ‘Chiesa Latina, anzi di tutta la Chiesa. Il saluto che vi rivolgevamo all’inizio è così divenuto paterna esortazione, e si traduce ora in espressione di fervidi voti.
La Madonna, che in Oriente fu per prima salutata e solennemente proclamata Theotòkos, sempre vi sorregga col suo affetto materno; gli Apostoli Pietro e Paolo, che per predicare il Vangelo percorsero ripetutamente le vie dell’Oriente prima ancora dell’approdo romano, ritemprino le vostre energie perché possiate continuare la loro opera; i Santi e Dottori della grande Patristica, che fiorì nelle vostre Terre, vi illuminino con la loro ispirata sapienza nel periodo della preparazione e domani, poi, nell’assolvimento dei doveri pastorali. Da parte nostra, confermiamo volentieri questi auguri con un’effusa Benedizione Apostolica non solo per voi, alunni del Collegio Greco, ma per quanti qui rappresentate le Chiese d’Oriente, come per i Dirigenti e gli Officiali del Sacro Dicastero che alle medesime Chiese dedica il suo assiduo servizio. Così sia!
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