DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AI VESCOVI DELLA LIGURIA E DEL PIEMONTE
IN VISITA «AD LIMINA»
Giovedì, 3 febbraio 1977
Fratelli venerati e diletti!
Con sentimenti di sincera carità noi vi accogliamo oggi per questa visita «ad limina», che ci permette di rinnovare la gioia di precedenti incontri con molti di voi, mentre ci offre l’opportunità di avviare la conoscenza di altri, che non avevamo ancora avuto il piacere di avvicinare personalmente. Noi salutiamo cordialmente tutti e ciascuno.
Lo scopo precipuo di un incontro come questo è, com’è ovvio, quello di conoscersi, per alimentare ed approfondire quel vincolo di comunione che lega ogni membro del Collegio episcopale al Successore di Pietro, «visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi, sia della moltitudine dei fedeli» (Lumen Gentium, 21). Per facilitare a noi una conoscenza approfondita non solo della vostra personalità, ma anche dell’attività ministeriale, che impegna le vostre energie tra gioie, sofferenze e speranze, voi avete presentato alla S. Congregazione competente una relazione particolareggiata della situazione pastorale delle diocesi a voi affidate. Nel ringraziarvi per questo attestato di diligente premura, noi desideriamo assicurarvi che faremo oggetto di attenta considerazione le risultanze delle vostre analisi, dalle quali potremo desumere un quadro aggiornato della realtà viva delle vostre Chiese locali.
Intanto ci sia permesso di avvalerci di questo incontro per adempiere, anche in questa circostanza, il mandato affidato a Pietro dal Maestro Divino: «Confirma fratres tuos» (Luc. 22, 32). Non ci vogliamo attardare a rilevare aspetti negativi, motivi di inquietudine o elementi deludenti. Preferiamo invece sottolineare la pietà ammirevole, lo zelo ardente, la generosità costante, la prudenza lungimirante, la decisione intrepida, che caratterizzano variamente l’azione di ciascuno e vi offrono, nel vicendevole confronto a livello regionale, la possibilità di una armoniosa integrazione, atta ad assicurare a ciascuno una più efficace incidenza pastorale nella propria diocesi. La nostra vuol essere dunque soprattutto una parola di elogio sincero ed insieme di viva esortazione a proseguire nell’esercizio di un ministero, del quale conosciamo la fatica e per il quale vi siamo grati a nome di Cristo.
Il nostro sguardo raggiunge attraverso le vostre Persone, le popolazioni credenti, che «col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà» (Lumen Gentium, 27) che vi viene dal Signore, voi vi sforzate di condurre alla salvezza. Nessuno meglio di voi ne conosce le condizioni religiose; nessuno meglio di voi è quindi in grado di valutare le diversità che, sul sottofondo comune, ne distinguono il modo concreto di vivere la medesima fede cristiana.
Noi vorremmo qui riaffermare l’importanza di apprezzare le diverse tradizioni locali, di curarle, di difenderle. Esse costituiscono un prezioso patrimonio culturale, oltre che religioso, ed offrono alla fede un radicamento sociale, che ne facilita la permanenza e la trasmissione.
Certo, sono tradizioni che abbisognano di essere continuamente vivificate dall’interno mediante una catechesi assidua ed aggiornata. Lo sforzo attuale di rinnovamento della catechesi e le varie iniziative, che vanno sperimentandosi per un rilancio della pastorale sacramentale in sintonia con le mutate condizioni socio-culturali, sono altrettanti motivi di speranza per il futuro. Noi vorremmo insistere sull’importanza, anche da questo punto di vista, di una intensa vita liturgica secondo le direttive conciliari e postconciliari. L’impegno di favorire nei modi dovuti la partecipazione liturgica, curando in particolare il canto sacro, che così potentemente aiuta l’elevazione in Dio della mente e del cuore, è forma efficacissima di educazione ad una fede matura, capace di esprimersi in operante carità. Vi è poi da rilevare il ruolo indispensabile che possono svolgere, sempre ai fini di offrire sostegno e alimento alle sane tradizioni cristiane, le varie forme di vita associativa, tra le quali non ci stancheremo mai di raccomandare quella rappresentata dall’Azione Cattolica. L’iniziativa apostolica individuale, ma più quella associata, quando si muovano nella direzione responsabilmente indicata dai piani elaborati per ogni Chiesa locale dal Consiglio Pastorale, non mancheranno di seminare germi fecondi di bene in un mondo che appare spesso così profondamente turbato.
Condividiamo con ciascuno di voi la consapevolezza sofferta delle grandi difficoltà che incontra oggi l’azione evangelizzatrice. Se dovessimo indicare la maggiore, quella che in qualche modo riassume tutte le altre, la individueremmo nell’evoluzione materialista della società. Emerge di fronte ad essa il compito primario del Vescovo, quello cioè di insegnare e di salvaguardare nella sua purezza la fede ricevuta dagli Apostoli. Quindi, quando occorra, sarà vostra cura intervenire con chiarezza di principii, per ribadire, tra il frastuono di voci contrastanti, gli immutabili principii del Vangelo.
La testimonianza, resa con franchezza alla verità evangelica, è il primo servizio di carità che il Vescovo deve al suo popolo.
Ci piace concludere queste nostre brevi parole con alcuni consigli, per voi forse superflui, ma in se stessi sempre buoni: amate il Clero, che divide con voi la quotidiana fatica dell’annuncio evangelico; avvicinate il popolo, che deve poter riconoscere in voi il Buon Pastore, il quale «proprias oves vocat nominatim et educit eas» (Io. 10, 3); parlate di Cristo con semplicità di termini, ma con la forza convincente dell’amore e dell’esempio.
Noi vi siamo vicini per comprendervi, per sostenervi, per incitarvi a «combattere la buona battaglia della fede» (1 Tim. 6, 12), mentre vi scongiuriamo «di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo» (Ibid. 6, 14). Sia pegno della nostra costante comunione con ciascuno di voi e con tutti la fraterna Apostolica Benedizione, che vi impartiamo di cuore e che intendiamo estendere anche ai diletti figli delle vostre diocesi.
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