DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AI VESCOVI DELLA TOSCANA IN VISITA «AD LIMINA»
Lunedì, 9 maggio 1977
Siate i benvenuti, venerabili Fratelli, nella nostra casa. Nel vostro numeroso gruppo noi sentiamo vibrare la fede genuina e la devozione sincera delle gloriose Chiese toscane, che voi reggete con generosa dedizione e con infaticabile lena apostolica. Il nostro saluto cordiale vuol essere testimonianza di lode, di fiducia, di speranza, oltre che di «comunione» in quella carità, che lo Spirito di Cristo diffonde nei nostri cuori (Rom. 5, 5).
Voi siete qui oggi riuniti per adempiere al dovere canonico della visita «ad limina», che è occasione propizia di incontro, a reciproco incoraggiamento nella quotidiana fatica del ministero apostolico. Fra le varie ragioni della visita «ad limina» una ve n’ha, che si impone come preminente: quella di vagliare insieme le condizioni delle Chiese, affidate alle cure pastorali di ciascuno, mettendo a confronto la situazione attuale con le tradizioni ereditate dal passato, interrogando le norme canoniche che presiedono alla prassi pastorale, lasciandosi al tempo stesso interpellare dai bisogni spirituali emergenti dalla realtà storica del momento. Si tratta, in altre parole, di instaurare un confronto tra la Chiesa reale e quella ideale, tra la comunità con cui il ministero vi mette quotidianamente a contatto e quella comunità verso la quale lo Spirito instancabilmente vi sprona e vi sospinge.
Ebbene, quali impressioni suggerisce istintivamente tale confronto nel caso presente? Abbiamo esaminato la relazione sull’attività collegiale della vostra Conferenza nel corso del quinquennio testé concluso e ci pare di poter affermare che la situazione religiosa generale della Regione Toscana specialmente per merito vostro è tuttora buona. Nonostante comprensibili tensioni e scompensi dovuti sia all’incontro della cultura tradizionale con la società industriale, sia alle trasformazioni apportate alla vita ecclesiale dal provvidenziale evento del Concilio Vaticano II, la popolazione conserva un fondo cristiano ben saldo e una discreta pratica religiosa. Si notano inoltre fermenti di risveglio liturgico, catechetico, pastorale che mobilitano minoranze, specialmente giovanili, ad un impegno apostolico sempre più consapevole e vivo. Se il merito di questi promettenti annunci di una nuova fioritura va al Signore, a Colui «qui incrementum dat» (Cfr. 1 Cor. 3, 6-7), una parola di riconoscimento e di lode va pure tributata a chi ha piantato e irrigato, da volenteroso collaboratore di Dio (Ibid. 3, 9). Continuate, Venerabili Fratelli, a costruire con indomita fiducia, da «architetti sapienti» (Ibid. 3, 10), sul fondamento sicuro, che è Cristo Signore.
La tradizione autentica e viva sia punto di riferimento costante della vostra azione pastorale: in essa cercate il criterio di verifica per «discernere» la validità delle nuove proposte emergenti nella Chiesa. La tradizione, se ascoltata con cuore attento e disponibile, non preclude al nuovo, ma rende anzi particolarmente idonei a percepire i «segni dei tempi», che annunciano l’operante e trascendente presenza di Cristo nella storia. Non è infatti Cristo il contenuto essenziale del dato tradizionale, Lui che è «l’Alfa e l’omega . . . Colui che è, che era e che viene»? (Apoc. 1, 8)
Quale serena fiducia, quale intrepido coraggio, quale ferma volontà di impegno non scaturiscono dalla consapevolezza di questa ineffabile prossimità di Cristo, il quale prima di salire al cielo assicurò i suoi Apostoli, che sarebbe restato con loro sino alla fine del mondo (Cfr. Matth. 28, 20). Certo i tempi, in cui la Provvidenza ci ha posti a vivere e a lottare, sono caratterizzati da fenomeni complessi e contrastanti, che provocano tensioni e squilibri, a volte anche drammatici. Noi vogliamo ripetere, a nostro e vostro conforto, la parola del Maestro agli Apostoli forse sfiduciati e smarriti: «Confidite; ego vici mundum» (Io. 16, 33). La vittoria di Cristo, per altro, si è compiuta sulla croce, attraverso l’amara esperienza dell’umiliazione, dell’abbandono, della morte. Nel momento della Passione ha avuto inizio la sua glorificazione (Cfr. Ibid. 13, 31 ss.). Non ci deve dunque meravigliare che anche la Chiesa, incarnazione di Cristo nella storia, continui a sperimentare il travaglio della sofferenza, dell’amarezza, della persecuzione. Una Chiesa pacifica e sovrana, sempre trionfalmente accolta sulle strade del mondo, è prospettiva fallace, perché estranea al piano provvidenziale di Dio.
Guardiamo, dunque, con ottimismo evangelico davanti a noi e lasciamoci guidare dallo Spirito, che parla alle Chiese (Cfr. Apoc. 2, 7; etc.) anche attraverso le vicende della storia. Sono doveri vecchi e bisogni nuovi, che si impongono alla nostra responsabilità di Pastori. Le gravi ed urgenti necessità dell’ora sollecitano da noi una psicologia più attiva e vigilante, un animo più intraprendente ed aperto, un cuore più ardito e deciso. Non mai forse come ora è stato vero che «il regno dei cieli si acquista con la forza e sono i violenti che se ne impadroniscono» (Matth. 11, 12).
Dove cominciare, dunque? Ci pare di dover incoraggiare innanzitutto la forma comunitaria di azione, anche a livello regionale. Nella vostra Relazione è messo in opportuna evidenza il coordinamento già realizzato nei singoli settori pastorali. È necessario continuare in questa linea. Forse vi sono altri servizi, che possono ancora essere utilmente unificati, o coordinati. Una generosa collaborazione, una lungimirante programmazione e una saggia distribuzione delle energie disponibili costituiscono il segreto di una sempre più efficace incidenza pastorale.
La vostra attenzione vada, poi, con cura particolarissima, agli «operai» della messe: i sacerdoti, con i quali vi studierete di intrattenere rapporti di costante, paterna cordialità; i religiosi e le religiose, il cui inserimento responsabile nell’attività pastorale non vi stancherete di sollecitare; i nuovi organismi diocesani voluti dal Concilio, alla cui collaborazione farete appello con sempre rinnovata fiducia; le vocazioni, sia maschili che femminili, per la cui fioritura predisporrete ogni possibile aiuto e tutela.
E per i laici? Cercherete di tributare ad essi rispetto e stima, ascoltandone i suggerimenti, stimolandone l’iniziativa, favorendone l’impegno per una coerente testimonianza cristiana nell’ambiente di vita e di lavoro. Sarà vostra preoccupazione quella di non soffocare lo Spirito, che può parlare lingue diverse, a tutti però ricordando sempre che ogni autentico carisma si qualifica per il contributo che reca all’edificazione, di cui voi siete promotori e maestri, della Chiesa nell’unità (Cfr. 1 Cor. 12-14).
Poi: vari campi! La cultura, la scuola, la stampa, la carità, la gioventù, la sofferenza . . . È un lavoro immenso! C’è posto per tutti (veramente «in domo Patris mei mansiones multae sunt» - Io. 14, 2), c’è possibilità di merito e di gioia per ciascuno, se la carità muoverà gli animi verso pensieri di efficacia, di solidarietà e di intesa.
Resti comunque sempre viva la consapevolezza che compito primario della vostra azione pastorale è quello della preghiera, dell’insegnamento, della liturgia, del canto sacro . . . . in una parola, tutto ciò da cui l’anima trae energia per darsi con rinnovato slancio all’azione, nel servizio di Dio e dei fratelli. «Age quod agis»: fare bene ogni cosa religiosa, questa è la consegna.
Fratelli, coraggio! Alla fatica del servizio apostolico succederà la gioia. Non fu proprio ai suoi Apostoli che il Signore Gesù rivolse quella parola bellissima: «La donna, quando dà alla luce, è nel dolore perché è giunta la sua ora; ma quando il bambino è nato, non ricorda più l’angoscia, per la gioia che è venuto al mondo un uomo» ? (Io. 16, 21) Questa sarà anche la nostra gioia, quando, dopo le trepidazioni e le sofferenze di un logorante ministero, potremo andare incontro a Cristo attorniati dai figli, che il nostro zelo avrà generato alla vita divina, e sarà una gioia che nessuno potrà toglierci mai più (Cfr. Ibid. 16, 22).
Con questi voti impartiamo a ciascuno di voi l’Apostolica Benedizione, che intendiamo estendere anche alle popolazioni delle vostre diocesi, a noi profondamente care.
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