ENCICLICA
DIU SATIS
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO VII
Ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi e a tutti i Vescovi aventi grazia e comunione con la Sede Apostolica.
Il Papa Pio VII. Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.
Ci pare di aver taciuto abbastanza a lungo con voi. Sono già passati due mesi, non privi né di preoccupazioni né di impegni, da quando Dio impose alla Nostra fragilità questo gravosissimo peso di metterci a capo di tutta la sua Chiesa. Non tanto per la consuetudine invalsa fin dai più lontani tempi, quanto per l’amore che vi portiamo e che cominciò in passato per motivi di colleganza e che ora sentiamo mirabilmente accresciuto ed ampliato, Noi dobbiamo parlarvi almeno per lettera; e nulla può esserci più gradito e consolante. A far questo Ci sprona con forte impulso la natura del Nostro specifico dovere, contrassegnata ed espressa dalle parole: «Rincuora i tuoi fratelli». Infatti, in questo triste e tempestoso tempo, Satana, più che mai, «cerca noi tutti per vagliarci come frumento». Tuttavia, chi è tanto stolto e animato da spirito tanto avverso a Noi da non capire e non vedere anche le cose che si scorgono a prima vista, e cioè che Cristo, anche in queste circostanze difficili e avverse, è sempre stato presente, poiché aveva promesso di «pregare per Pietro, affinché non venisse meno la sua fede»? (Lc 22,32).
Certamente i posteri saranno meravigliati per la sapienza, la grandezza d’animo e la costanza di Pio VI, al quale Noi siamo subentrati nel potere. Voglia il cielo che Noi gli siamo succeduti anche in quella virtù, che non poté essere sradicata né scossa dall’impeto delle tempeste, né dal cumulo delle sciagure. Egli ha fatto rivivere davanti a Noi quel pontefice Martino dal quale un giorno derivò tanta lode alla Nostra Sede per la sua fede nel professare e difendere la verità, e per il suo tenace coraggio nel sopportare travagli e sofferenze. Infatti, crudelmente cacciato dalla sua città e dalla sua Sede, spogliato di ogni potere, onore e beni di fortuna, costretto a trasferirsi altrove non appena gli pareva di avere trovato un luogo tranquillo; trascinato in terre assai lontane, sebbene fosse vecchio e ammalato da non poter compiere il viaggio a piedi, e per di più sovrastato dal terrore di un esilio più crudele, non avrebbe avuto di che nutrire sé e i pochi che l’avevano seguito se qualcuno compassionevole e generoso non lo avesse soccorso. Nonostante la malattia e la solitudine ogni giorno lo tentassero, egli non venne mai meno a se stesso, non fu tratto in inganno da alcuna frode, né turbato da alcun timore, né lusingato da alcuna speranza, né scosso da disagi e pericoli; i suoi nemici non poterono strappargli né una lettera né una parola che non testimoniasse a tutti che Pietro «era vissuto fino a questo tempo nei suoi successori e rendeva giustizia; il che nessuno dubita ed è più che noto a tutti fin dai più lontani tempi» come disse un autore assai autorevole nel Concilio di Efeso (At 3). Si deve tenere in gran conto, e ricordare con animo grato, il fatto che a Pio VI fu da Dio donata la morte (si deve infatti dire così, piuttosto che parlare di vita rapita) quando nulla ormai era d’impedimento a che si eleggesse il suo successore secondo il rito?
Ricordatevi, Venerabili Fratelli, come eravamo timorosi e trepidanti quando gli stessi Cardinali della Santa Romana Chiesa, cacciati dalle loro sedi, imprigionati in gran numero, alcuni condotti a morte, moltissimi costretti ad attraversare il mare in piena tempesta, spogliati dei loro beni, resi tutti poveri, i più separati fra loro da grandi distanze, con le strade occupate dal nemico, impossibilitati a corrispondere fra loro per lettera, o di andare dove volevano e sarebbe stato opportuno: tutto induceva a credere che in nessun modo avrebbero potuto riunirsi per provvedere secondo le antiche usanze e le antiche regole ad una Chiesa priva del Capo se per caso Pio VI, che si diceva ogni giorno in pericolo di vita, avesse dovuto soccombere. Ebbene, in mezzo a queste afflizioni e in una situazione quasi disperata, chi avrebbe potuto prevedere, basandosi solo sui consigli e le risorse dell’umana saggezza, ciò che sarebbe avvenuto per singolare benevolenza divina, che cioè Pio VI non avrebbe lasciato questa vita prima che fossero stabilite da lui stesso le norme per le assemblee pontificie da tenersi dopo di lui, che quasi tutta l’Italia fosse placata, che tutto il Veneto fosse riordinato, che moltissimi Cardinali si sarebbero trovati presenti a Venezia per votare con il favore e la protezione del carissimo Nostro figlio in Cristo Francesco, apostolico re d’Ungheria, illustre re di Boemia ed eletto imperatore dei Romani?
Da ciò gli uomini riconoscano che invano si tenta di rovesciare la «Casa di Dio», che è la Chiesa costruita su Pietro e che in verità è pietra non solo di nome; contro essa «le porte dell’inferno non prevarranno (Mt 16,18) perché è fondata sulla pietra (Mt 7,24)». Non esistette mai un nemico della Religione cristiana che nello stesso tempo non abbia condotto una guerra scellerata contro la Cattedra di Pietro: e finché questa resiste, anche la Religione non può né cadere né vacillare. «Per l’ordinazione e la successione dei suoi Pontefici – proclama apertamente a tutti Sant’Ireneo (Contro gli eretici, lib. 3, c. 3) – nella Chiesa è tradizione pervenuta dagli Apostoli fino a noi, predicazione di verità e assoluta attestazione, che unica è la fede vivificante, conservata nella Chiesa dagli Apostoli fino ad ora e trasmessa in spirito di verità».
Sicuramente su questa strada hanno camminato anche coloro che nel nostro tempo tentarono di sostituire non so quale pestifera infezione di falsa filosofia a quella filosofia (così i padri greci definiscono correttamente la dottrina Cristiana) che il figlio di Dio con la sua eterna sapienza calò dal Cielo e insegnò agli uomini. Contro di loro Paolo si scaglia con queste efficaci parole: «Sta scritto: distruggerò la sapienza dei sapienti e condannerò la prudenza dei prudenti; dove un sapiente, dove uno scrittore, dove un ricercatore in questo secolo? Forse che Dio non considerò stolta la sapienza di questo mondo?» (1Cor 1,17). Tanto più volentieri ricordiamo queste parole, Venerabili Fratelli, in quanto lo spirito viene da esse straordinariamente elevato, e infiammato a non evitare nessuna fatica e nessuna lotta per la Chiesa di Cristo, che Egli consegnò e raccomandò a Noi con il compito che non solo non osavamo desiderare, ma neppure pensare (ed anzi eravamo alquanto intimoriti) di governarla, proteggerla, onorarla e ingrandirla; Egli sicuramente «farà sì che Noi siamo idonei ministri del Nuovo Testamento, cosicché l’eccellenza deriverà dalla virtù di Dio e non da Noi». Per la qual cosa «cerco ora di commuovere la vostra mente sincera», o Venerabili Fratelli (ciascuno dei quali sarà certamente sollecito e premuroso per parte propria), affinché siate d’accordo con Noi e dedichiate a tale impegno il vostro zelo e la vostra diligente collaborazione.
Non scompaia mai dal vostro cuore ciò che Cristo implorò dal Padre suo: «Padre Santo, proteggili nel tuo nome, affinché siano una sola cosa, come noi... non solo per loro (cioè per gli Apostoli), ma anche per coloro che attraverso le loro parole crederanno in me, io prego che tutti siano una sola cosa in Noi» (Gv 17). Soprattutto è nostro dovere «mantenere saldamente e difendere tale unità», come ammonisce Cipriano (Sull’unità della Chiesa); guardando e ammirando questa, «il mondo creda che Tu mi hai mandato», così come continua a pregare Cristo. Confidiamo dunque nell’aiuto dello stesso Cristo che Ci assiste, non si allontana mai dal Nostro fianco e Ci fortifica con queste parole: «Non sia turbato il vostro cuore e non tema; come credete in Dio così credete anche in me» (Gv 15); confidando nel suo aiuto, impegniamoci con il nostro zelo e con la nostra alacrità per la comune salute.
Città, castelli, campagne, comunità, province, regni, nazioni, già saccheggiati, tormentati, immiseriti, rovinati per tanti anni, invocano qualche sollievo e qualche rimedio: questo non possiamo sperare di trovarlo altrove, se non nella dottrina di Cristo. Ora possiamo con maggiore fiducia esortare coloro che ne sono ancora lontani, con le parole di Agostino (Libro 83. Quest.): «Forniscano un adeguato esercito coloro che la dottrina di Cristo comandò come propri soldati; forniscano adeguati provinciali, mariti, mogli, genitori, figli, padroni, servi, re, giudici, infine contribuenti del fisco ed esattori come la dottrina di Cristo prescrive che siano». Non potendo ottenere ciò «non esitino a dichiarare che questa sarebbe una sicura salvezza dello Stato, se si obbedisse».
È dunque Nostro dovere e Nostro compito, Venerabili Fratelli, soccorrere gli uomini e le popolazioni in angustie e scacciare dalle teste di tutte le persone i mali che incalzano, e il pensiero dei quali spinge alle lacrime. Infatti «Cristo diede pastori e dottori per il perfezionamento dei Santi, per le esigenze del ministero, per l’edificazione del corpo di Cristo: fino a che tutti siamo giunti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio» (Ef 4,12). E se per caso qualcosa distogliesse o impedisse o ritardasse qualcuno di noi dal diligente compimento di tale opera, di quale obbrobrio, di quale delitto si renderebbe egli colpevole! Pertanto, Venerabili Fratelli, prima di tutto vi preghiamo, scongiuriamo, esortiamo, ammoniamo e inoltre vi ordiniamo di non omettere nessun atto di vigilanza, di diligenza, di sollecitudine per «custodire il deposito» della dottrina di Cristo, per disperdere il quale voi ben sapete quali cospirazioni, e da chi, siano state ordite.
Non accettate nel clero nessuno, non affidate a nessuno «l’amministrazione dei misteri di Dio», non tollerate che qualcuno riceva le confessioni o parli in pubblico, non date ad alcuno qualunque compito o incarico prima di avere scrupolosamente esaminato, indagato e pazientemente «accertato che la sua anima sia conforme a Dio». Volesse il cielo che non avessimo imparato per esperienza che in quest’epoca si è diffuso un gran numero di «pseudo-apostoli che sono subdoli lavoratori i quali si travestono in Apostoli di Cristo». Se non ci guardiamo da essi, certamente «saranno corrotti i fedeli, come Eva fu sedotta dal serpente con l’astuzia, e decadranno dalla semplicità che è in Cristo» (2Cor 11,3). Bisogna che voi «badiate a tutto il gregge nel quale lo Spirito Santo vi pose come Vescovi»; ma soprattutto i fanciulli e gli adolescenti invocano la vigilanza, lo zelo, l’opera attiva del vostro paterno amore e della vostra benevolenza: quei fanciulli e quegli adolescenti che Gesù Cristo così caldamente raccomandò a Noi sia con l’esempio, sia con le parole (Mt 19; Mc 10; Lc 18); quei fanciulli e quegli adolescenti, per avvelenare e corrompere le tenere anime dei quali molti hanno macchinato, sforzandosi di rovesciare le istituzioni pubbliche e private, e di sovvertire tutti i diritti divini e umani: in tale nefasta impresa hanno riposto le loro maggiori speranze. Né Ci sfugge il fatto che i fanciulli e gli adolescenti sono simili a cera molle e possono essere facilmente plasmati e orientati in tutte le parti; una volta assunta una forma, crescendo induriscono in questa e la mantengono molto tenacemente, respingendone ogni altra; da qui quel proverbio (ricavato dal testo sacro) frequente nei discorsi di tutti: «L’adolescente che segue una certa via, anche invecchiando non l’abbandonerà» (Pro 22). Non vogliate dunque, Venerabili Fratelli, consentire che «i figli di questo secolo siano più saggi dei figli della luce». Vigilate attentamente sugli uomini ai quali vengono affidati i fanciulli e gli adolescenti nei seminari e nei collegi; in quali discipline vengono istruiti; quali maestri sono scelti nei licei; quali lezioni vi si tengono; sorvegliate assiduamente; indagate; esplorate ogni cosa; respingete e allontanate «i lupi rapaci che non perdonano» dal gregge degli innocenti agnelli; e se per caso si sono introdotti in qualche luogo, cacciateli fuori e sterminateli immediatamente, «secondo il potere che Dio vi diede per l’edificazione» (2Cor 13).
La stessa salute della Chiesa, dello Stato, dei Principi, di tutti i mortali, che dobbiamo avere molto più cara e importante della nostra vita, richiede che tale potere sia da Noi esercitato senza riserve per annientare la peste pericolosissima dei libri. Questo argomento trattò largamente e accuratamente con voi il Nostro Predecessore Clemente XIII di felice memoria in una sua lettera apostolica in forma di breve, a voi diretta il 25 novembre 1766. Non diciamo soltanto di strappare dalle mani degli uomini, di distruggere completamente e di bruciare i libri nei quali si avversa apertamente la dottrina di Cristo; ma anche, e soprattutto, bisogna impedire che arrivino alle menti ed agli occhi di tutti quei libri che operano più subdolamente e pericolosamente. Per riconoscerli «non c’è bisogno», dice Cipriano (Sull’unità della Chiesa), «di un lungo trattato e di argomentazioni; in breve, esiste una facile prova che porta alla certezza della verità: il Signore dice a Pietro... pascola le mie pecore». Dunque, le pecore di Cristo debbono ritenere salutare, tenersi caro ed in esso nutrirsi quel pascolo nel quale la voce e l’autorità di Pietro le hanno collocate: pertanto devono stimare pestifero e decisamente da respingere quanto le distoglie da tale voce e da tale autorità, né devono lasciarsi adescare da alcuna apparenza, né travolgere da alcuna seduzione. Coloro che non si mostrano così obbedienti, non si possono certo annoverare fra le pecore di Cristo. Su questa materia, Venerabili Fratelli, non possiamo né chiudere gli occhi, né tacere, né comportarci in modo troppo remissivo: se infatti non si blocca e non si reprime questa enorme licenza di pensiero, di parola, di scrivere e di leggere, risulterà che per un lungo periodo siamo stati sollevati da questo male che da tanto tempo Ci affligge grazie al senno e alle milizie di sapientissimi e potentissimi re e condottieri. Ma, scomparsa ed estinta la loro stirpe (inorridisco nel dirlo, pure bisogna dirlo) quel male dilagherà di più e si rafforzerà abbracciando tutta la terra, né per il futuro basteranno a distruggerlo o ad allontanarlo legioni di soldati, guardie, sentinelle, mura di città e bastioni di imperi.
Ognuno di noi, Venerabili Fratelli, si sente commosso ed eccitato da quanto Dio ci disse tramite il profeta Ezechiele : «O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella nella casa di Israele, affinché udendo dalla mia bocca la mia parola tu possa annunciarla ad essi. Se quando io dico all’empio: “Morirai di morte”, e tu glielo avrai annunciato l’empio morirà nella sua malvagità, ma io esigerò dalla tua mano il suo sangue» (Ez 3,17-18). Questa sentenza, lo confesso, mi stimola e mi punge giorno e notte, e non mi permetterà mai di essere negligente o esitante nell’adempimento del mio dovere. Vi prometto e vi garantisco che non solo sarò il vostro collaboratore e fautore, ma anche il capo e il conduttore.
Ma, Venerabili Fratelli, vi è anche un altro «deposito da custodire» e da proteggere con grande fermezza d’animo e costanza, quello cioè delle Santissime leggi della Chiesa, sulle quali essa stessa ha stabilito la propria disciplina, sulla quale sta il suo potere. In forza di esse fioriscono la pietà e la virtù, e per esse la sposa di Cristo «è forte come un esercito schierato in campo». La maggior parte di quelle leggi «sono gettate come fondamenta a sostenere il peso della fede», per usare le parole di San Zosimo Nostro Predecessore (Epistola 7).
Nulla può essere più vantaggioso e glorioso per i Capi delle comunità e per i Re che conformarsi a quanto l’altro valorosissimo e sapientissimo Predecessore Nostro San Felice prescriveva all’imperatore Zenone: «lasciare... che la Chiesa Cattolica si serva delle sue leggi, e non permettere che alcuno si opponga alla sua libertà... infatti è certamente salutare per i loro interessi che, trattandosi delle cose di Dio, secondo la sua legge cerchino di subordinare la loro regia volontà ai sacerdoti di Cristo non di anteporla». Per quel che riguarda «il deposito» dei beni della Chiesa, «le cui ricchezze sono i voti, il sacro denaro, la realtà dei Santi, le cose di Dio», come spiegano e dichiarano i Padri, i Concili e le Sacre Scritture, che cosa mai, Venerabili Fratelli, potremmo ordinarvi, ora che la Chiesa è miseramente spoglia e priva di essi? Una cosa sola: di adoperarvi e di sforzarvi affinché tutti comprendano e si imprimano nell’anima ciò che un tempo il Concilio di Aquisgrana racchiuse in questa breve, chiara e meditata sentenza: «Chiunque abbia portato via o abbia tentato di portar via le cose che altri fedeli, prelevandole dai loro beni, hanno offerto per la salvezza delle loro anime, per onorare Dio, per ornare la Chiesa e per uso dei ministri di questa, senza dubbio ha trasformato in pericolo per la propria anima le cose che gli altri hanno dato» (Cap. 37, tomo IV, Conc. Harduin, col. 1423). Non certamente «per amore di spilorceria o per la ricerca di vantaggi materiali» (e a pieno titolo possiamo affermare ciò non meno del Nostro Predecessore Sant’Agapito) «ma tenuto conto del giudizio divino (Ep. 4 ad Caesar ep. Arelat) siamo indotti a domandare nuovamente quelle cose che siamo chiamati ad amministrare con onestà e prudenza». Tuttavia, senza dubbio, i Re Cristiani e i Capi delle Comunità non lasceranno cadere le Nostre preghiere, le esortazioni, gli ammonimenti e i Nostri interventi: essi furono giustamente chiamati da Isaia «balii» della Chiesa (Is 49,23), e se ne vantano. La loro fede, la loro devozione, la loro giustizia, la loro sapienza e il loro scrupolo Ci infondono tanta speranza e destano in Noi una così fiduciosa aspettativa che riteniamo cosa sicura che essi faranno in modo che siano restituite immediatamente «a Dio le cose di Dio», e che non correranno il rischio di sentir risonare alle loro orecchie le parole e il lamento dello stesso Dio: «Avete preso il mio argento e il mio oro, e le cose mie più desiderabili e più belle» (Gl 3,5). E non saranno diversi dai grandi Costantino e Carlo, dei quali furono soprattutto insigni la generosità e l’equità verso la Chiesa; uno dei due confessò «di aver conosciuto molti regni e di aver visto i loro re cadere per aver spogliata la Chiesa»; conseguentemente insegna e imprime nell’anima dei suoi figli e di coloro che in seguito reggeranno lo Stato: «Per quanto è in nostro potere, in nome di Dio e per tutti i meriti dei Santi, proibiamo e impediamo che essi facciano tali cose, e che diano il loro consenso a coloro che le vogliono fare, ma siano con tutte le loro forze collaboratori e difensori delle Chiese e dei sacerdoti di Dio» (Ap. Balut, cap. lib., I, c. 3).
A conclusione di questa lettera, non si può nascondere, Venerabili Fratelli, «che grande è la mia tristezza e un dolore continuo preme sul mio cuore», per i figli miei che sono i popoli di Francia e tutti gli altri presso i quali non è ancora placato lo stesso furore. Che cosa potrei desiderare di più che dare la vita per loro, se la loro salvezza potesse essere pagata con la mia morte? Non neghiamo, anzi teniamo sempre presente, che a diminuire e ad alleviare il Nostro acerbo dolore molto valgono l’invitta forza d’animo e la costanza che molti di voi hanno dimostrato: ogni giorno le abbiamo presenti alla Nostra mente, e così pure gli uomini di ogni genere, età, classe sociale che le hanno mirabilmente seguite: uomini che hanno preferito patire ogni genere d’ingiurie, di pericoli, di iatture, di supplizi, perfino incontrare la morte, e hanno ritenuto che tutto ciò fosse per loro più nobile che lasciarsi contaminare da illeciti e delittuosi Sacramenti, vincolarsi al delitto e disobbedire ai decreti e ai precetti della Sede Apostolica. Nella Nostra memoria si sono rinnovate tanto la virtù quanto la crudeltà dei primi tempi. E non vi è nessun popolo che il mio pensiero, il mio paterno amore e il mio impegno non abbraccino; nessuno per il quale non mi rattristi e non mi affligga duramente a causa del suo dissidio da Noi e dalla verità, e al quale non andrei in aiuto.
Con Noi dunque formate una comunità di preghiera affinché dopo questa lunga fase di violenza «la Chiesa abbia la pace, in modo che sia edificata e cammini nel timore di Dio e nella consolazione dello Spirito Santo», e nulla ormai impedisca che di tutte le nazioni «si faccia un solo ovile e un solo pastore».
Frattanto, a voi che siete così ben disposti e preparati, e al gregge che governate, impartiamo con la più benevola volontà l’Apostolica Benedizione.
Dato a Venezia, dal Monastero di San Giorgio Maggiore, il 15 maggio 1800, anno primo del Nostro Pontificato.
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana