LETTERA ENCICLICA
PIENI L'ANIMO*
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO X
Pieni l'animo di salutare timore per la ragione severissima, Che dovremo rendere un giorno al Principe dei pastori Gesù Cristo a riguardo del gregge da Lui affidatoCi, passiamo i dì Nostri in una Continua sollecitudine, a preservare, quanto è possibile, i fedeli dai mali perniciosissimi, onde è afflitta di presente l'umana società. Teniamo perciò come detta a Noi la parola del profeta «Parla senza mai stancarti, fa' che la tua voce sia forte come una tromba» (Is. LVIII, 1); e non manchiamo, ora di viva voce ed ora per lettere, di avvertire, di pregare, di riprendere, eccitando sopra tutto lo zelo dei Nostri fratelli nell'episcopato, onde spieghi Ciascuno la più sollecita vigilanza sulla porzione dell'ovile, a cui lo Spirito Santo lo ebbe preposto.
Il motivo, che Ci spinge a levare di nuovo la voce, è del più grave momento, Trattasi di richiamare tutta l'attenzione del vostro spirito e tutta l'energia del Nostro pastorale ministero contro un disordine, di cui già si provano i funesti effetti: e, se con mano forte non si svelle dalle più ime radici, Conseguenze ancor più fatali si proveranno con l'andar degli anni. - Abbiamo infatti sott'occhi le lettere di non pochi fra voi, o Venerabili Fratelli, lettere piene di tristezze e di lacrime, le quali deplorano lo spirito d'insubordinazione e d'indipendenza, che si manifesta qua e là in mezzo al clero. - Purtroppo un'atmosfera di veleno corrompe largamente gli animi ai nostri giorni; gli effetti mortiferi sono quelli che già descrisse l'apostolo San Giuda: «Macchiano perfino la carne, disprezzano ogni dominio e bestemmiano la maestà» (Iud. 8); oltre cioè alla più degradante corruzione dei costumi, il disprezzo aperto di ogni autorità e di coloro che la esercitano. Ma che tale spirito penetri comecchessia fino nel santuario e infetti coloro, ai quali più propriamente convenir dovrebbe la parola dell'Ecclesiastico: «Loro nazione è l'obbedienza e il diletto» (III, 1); è cosa questa che Ci ricolma l'animo d'immenso dolore. - Ed è soprattutto fra i giovani sacerdoti che si funesto spirito va menando guasto, spargendosi in mezzo ad essi nuove e riprovevoli teorie intorno alla natura stessa dell'obbedienza. E, ciò ch'è più grave, quasi ad acquistar per tempo nuove reclute al nascente stuolo dei ribelli, di tali massime si va facendo propaganda più o meno occulta tra i giovani, che nei recinti dei seminari si preparano al sacerdozio.
Pertanto, o Venerabili Fratelli, sentiamo il dovere di fare appello alla vostra coscienza, perché, deposta ogni esitazione, con animo vigoroso e con pari costanza diate opera a distruggere questo mal seme, fecondo di esizialissime conseguenze. Rammentate ognora che lo Spirito Santo vi ha posti a reggere. Rammentate il precetto di San Paolo a Tito: «Rimprovera con tutta autorità. Nessuno ti disprezzerà» (II, 15). Esigete severamente dai sacerdoti e dai chierici quella obbedienza che, se per tutti i fedeli è assolutamente obbligatoria, pei sacerdoti costituisce parte precipua del loro sacro dovere.
A prevenire però di lunga mano il moltiplicarsi di questi animi riottosi, gioverà moltissimo, Venerabili Fratelli, l'aver sempre presente l'alto ammonimento dell'Apostolo a Timoteo: «Non imporre ad alcuno troppo facilmente le mani» (I Tim. V, 22). È la facilità infatti nell'ammettere alle sacre Ordinazioni, quella che apre naturalmente la via ad un moltiplicarsi di gente nel santuario, che poi non accresce letizia. - Sappiamo esservi città e diocesi, ove, lungi dal potersi lamentare scarsità nel clero, il numero dei sacerdoti è di gran lunga superiore alla necessità dei fedeli. Deh! qual motivo, o Venerabili Fratelli, di rendere così frequente la imposizione delle mani? Se la scarsità del clero non può essere ragione bastevole a precipitare in negozio di tanta gravità, là dove il clero sovrabbonda al bisogno nulla è che scusi dalle più sottili cautele e da
somma severità nella scelta di coloro, che debbono assumersi all'onore sacerdotale. Né l'insistenza degli aspiranti può menomare la colpa di siffatta facilità. Il sacerdozio, istituito da Gesù Cristo per la salvezza eterna delle anime, non è per fermo un mestiere od un uffizio umano qualsiasi, al quale ognun che lo voglia e per qualunque ragione abbia diritto di liberamente dedicarsi. Promuovano adunque i Vescovi, non secondo le brame o le pretese di chi aspira, ma come prescrive il Tridentino, secondo la necessità delle diocesi; e nel promuovere in tal guisa, potranno scegliere solamente coloro che sono veramente idonei, rimandando quelli che mostrassero inclinazioni contrarie alla vocazione sacerdotale, precipua tra esse la indisciplinatezza e ciò che la genera, l'orgoglio della mente.
Perché poi non manchino i giovani che porgano in sé attitudine per essere assunti al sacro ministero, torniamo, Venerabili Fratelli, ad insistere con più premura su ciò che già più volte raccomandammo, sull'obbligo cioè che vi corre, gravissimo dinanzi a Dio, di vigilare e promuovere con ogni sollecitudine il retto andamento dei vostri seminari. Tali avrete i sacerdoti, quali voi li avete educati.
Gravissima è su ciò la lettera che vi diresse, in data 8 dicembre 1902, il Nostro sapientissimo Predecessore, quasi testamento del suo diuturno Pontificato. Nulla Noi vogliamo aggiungervi di nuovo: richiamiamo solo alla vostra memoria le prescrizioni in essa contenute; e raccomandiamo vivamente che al più presto sieno messi in esecuzione i Nostri ordini, emanati per organo della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, sulla concentrazione dei seminari specialmente per gli studi della filosofia e della teologia, a fine di ottenere cosi il grande vantaggio derivante dalla separazione dei seminari piccoli dai seminari maggiori, e l'altro non meno rilevante della necessaria istruzione del clero.
I seminari siano gelosamente mantenuti nello spirito proprio, e rimangano esclusivamente destinati a preparare i giovani, non a civili carriere, ma all'alta missione di ministri di Cristo. - Gli studi di filosofia, di teologia e delle scienze affini, specialmente della Sacra Scrittura, si compiano, tenendosi alle Pontificie prescrizioni, e allo studio di San Tommaso, tante volte raccomandato dal venerato Nostro Predecessore e da Noi nelle Lettere Apostoliche del 23 gennaio 1904. I Vescovi poi esercitino la più scrupolosa vigilanza sui maestri e sulle loro dottrine, richiamando al dovere coloro, che corressero dietro a certe novità pericolose, ed allontanino senza riguardo dall'insegnamento quanti non approfittassero delle ricevute ammonizioni. Il frequentare le pubbliche università non sia permesso ai giovani chierici se non per molto gravi ragioni e con le maggiori cautele per parte dei Vescovi. - Sia onninamente impedito che dagli alunni dei seminari si prenda parte comecchessia ad agitazioni esterne; e perciò interdiciamo loro la lettura di giornali e di periodici, salvo per questi ultimi, e per eccezione, qualcuno di sodi principi, stimato dal Vescovo opportuno allo studio degli alunni. - Si mantenga con sempre maggior vigore e vigilanza l'ordinamento disciplinare. - Non manchi da ultimo in verun seminario il direttore spirituale, uomo di prudenza non ordinaria ed esperto nelle vie della perfezione cristiana, il quale, con cure indefesse, coltivi i giovani in quella soda pietà, che è il primo fondamento della vita sacerdotale. Queste forme, o Venerabili Fratelli, ove siano da voi coscienziosamente e costantemente seguite, vi porgono sicuro affidamento di vedervi crescere intorno un clero, il quale sia vostro gaudio e corona vostra.
Se non che il disordine d'insubordinazione e d'indipendenza, finora da Noi lamentato, in taluni del giovane clero va assai più oltre, con danni di gran lunga maggiori. Imperocché non mancano coloro, i quali sono talmente invasi da sì reprobo spirito, che, abusando del sacro ministero della predicazione, se ne fanno apertamente, con rovina e scandalo dei fedeli, propugnatori ed apostoli.
Fin dal 31 luglio 1894, il Nostro Antecessore, per mezzo della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, richiamò l'attenzione degli Ordinari su questa grave materia. Le disposizioni e le norme date in quel Pontificio documento Noi le manteniamo e rinnoviamo, onerando su di esse
la coscienza dei Vescovi, perché non abbiano ad avverarsi mai in veruno di loro le parole di Nahum profeta: «I tuoi pastori hanno dormito» (III, 18). - Nessuno può avere la facoltà di predicare, «se prima non sia stato provato nella vita e nei costumi» (Conc. Trid., Sess. V, cap. 2, De Reform.). I sacerdoti in altre diocesi non debbono ammettersi a predicare senza le lettere testimoniali del proprio Vescovo. - La materia della predicazione sia quella indicata dal divin Redentore, là dove disse: «Predicate il vangelo» (Marc. XVI, 15), «insegnando loro di conservare tutte le cose che vi ho affidate» (Matth. XXVIII, 20). Ossia, come commenta il Concilio di Trento, «annunciando loro i difetti clic devono abbandonare e le virtù che devono seguire per poter sfuggire alla pena eterna e conquistare la gloria Celeste» (Loc. cit.). - Quindi si bandiscano del tutto dal pulpito gli argomenti più acconci alla palestra giornalistica ed alle aule accademiche che al luogo santo; si antepongano le prediche morali a conferenze, il men che possa dirsi infruttifere; si parli «non con le parole persuasive della sapienza umana, ma mostrando lo spirito e la virtù» (I Cor. II, 4). Perciò la fonte precipua della predicazione devono essere le Sacre Scritture, intese, non già secondo i privati giudizi di menti il più delle volte offuscate dalle passioni, ma secondo la tradizione della Chiesa, le interpretazioni dei Santi Padri e dei Concili.
Conformemente a queste norme, Venerabili Fratelli, egli è d'uopo che voi giudichiate coloro, ai quali vien da voi commesso il ministero della divina parola. E qualora troviate che talun di essi, più cupido degli interessi propri che di quelli di Gesù Cristo, più sollecito di plauso mondano che del bene delle anime, se ne allontani; e voi ammonitelo, correggetelo; se ciò non basti, rimovetelo inesorabilmente da un ufficio di cui si manifesta affatto indegno. - La quale vigilanza e severità tanto più dovete adoperare, perché il ministero della predicazione è tutto proprio di voi ed è parte precipua dell'ufficio episcopale; e chiunque oltre di voi lo esercita, lo esercita in nome vostro ed in vostro luogo; ond'è che resta sempre a voi di rispondere innanzi a Dio del modo col quale viene dispensato ai fedeli il pane della parola divina. - Noi, per declinare da parte Nostra ogni responsabilità, intimiamo ed ingiungiamo a tutti gli Ordinari di rifiutare e di sospendere, dopo le caritatevoli ammonizioni, anche durante la predicazione, qualsivoglia predicatore, sia del clero secolare sia del regolare, il quale non ottemperi pienamente alle ingiunzioni della precitata istruzione emanata dalla Congregazione dei Vescovi e Regolari. Meglio è che i fedeli si contentino della semplice omelia e della spiegazione del catechismo fatta dai loro parroci, anziché dover assistere a predicazioni che producono più male che bene.
Un altro Campo, dove tra il giovane Clero si va trovando pur troppo ansia ed eccitamento a professare e propugnare la esenzione da ogni giogo di legittima autorità, è quello della cosi detta azione popolare cristiana. Non già, o Venerabili Fratelli, perché questa azione sia in sé riprovevole o porti di sua natura al disprezzo dell'autorità; ma perché non pochi, fraintendendone la natura, si sono volontariamente allontanati dalle norme che a rettamente promuoverla furono prescritte dal Predecessore Nostro d'immortale memoria.
Parliamo, ben l'intendete, della istruzione che circa l'azione popolare cristiana emanò, per ordine di Leone XIII, la Sacra Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari, il 7 gennaio 1902, e che fu trasmessa a ciascun di voi, perché nella rispettiva diocesi ne curasse l'esecuzione. - Questa istituzione altresì Noi manteniamo, e colla pienezza di Nostra podestà ne rinnoviamo tutte e singole le prescrizioni, come pure confermiamo e rinnoviamo tutte le altre da Noi stessi all'uopo emanate nel Motu proprio del 18 dicembre 1903 «De populari actione christiana moderanda», e nella lettera circolare del diletto figlio Nostro il Cardinale segretario di Stato, in data 28 luglio 1904.
In ordine alla fondazione e direzione di fogli e periodici, il clero deve fedelmente osservare quanto è prescritto nell'art. 42 della Costituzione Apost. «Officiorum» (25 gennaio 1897): «Agli uomini del clero... è vietato, salvo il permesso degli Ordinari, assumere l'incarico di dirigere giornali o fogli periodici». Parimente, senza il previo assenso dell'Ordinario, niuno del clero può pubblicare scritto di sorta sia di argomento religioso o morale, sia di carattere meramente tecnico. Nelle fondazioni di circoli e società gli statuti e regolamenti debbono previamente esaminarsi ed approvarsi dall'Ordinario. - Le conferenze sull'azione popolare cristiana o intorno a qualunque altro argomento, da nessun sacerdote o chierico potranno essere tenute senza il permesso dell'Ordinario del luogo. - Ogni linguaggio, che possa ispirare nel popolo avversione alle classi superiori, è e deve ritenersi affatto contrario al vero spirito di carità cristiana. - Il similmente da riprovare nelle pubblicazioni cattoliche ogni parlare, che ispirandosi a novità malsana, derida la pietà dei fedeli ed accenni a nuovi orientamenti della Chiesa, nuove aspirazioni dell'anima moderna, nuova vocazione sociale del clero, nuova civiltà cristiana, e simili. I sacerdoti, specialmente i giovani, benché sia lodevole che vadano al popolo, debbono nondimeno procedere in ciò col dovuto ossequio all'autorità e ai comandi dei superiori ecclesiastici. E pure occupandosi, con la detta subordinazione, dell'azione popolare cristiana, deve essere loro nobile còmpito «di togliere i figli del popolo alla ignoranza delle cose spirituali ed eterne, e con industriosa amorevolezza avviarli ad un vivere onesto e virtuoso; riaffermare gli adulti nello fede dissipandone i contrari pregiudizi, e confortarli alla pratica della vita cristiana; promuovere tra il laicato cattolico quelle istituzioni che si riconoscono veramente efficaci al miglioramento morale e materiale delle moltitudini; propugnar sopra tutto i principi di giustizia e carità evangelica, ne' quali trovano equo temperamento tutti i diritti e i doveri della civil convivenza.. Ma abbiano sempre presente, che anche in mezzo al popolo il sacerdote deve serbare integro il suo augusto carattere di ministro di Dio, essendo egli posto a capo dei fratelli animarum causa (San Greg. M., Regul. Past. Pars. II, c. VII); qualsivoglia maniera di occuparsi del popolo a scapito della dignità sacerdotale, con danno dei doveri e della disciplina ecclesiastica, non potrebbe essere che altamente riprovata» (Ep. Encicl., 8 dicembre 1902).
Del resto, Venerabili Fratelli, a porre un argine efficace a questo fuorviare di idee ed a questo dilatarsi di spirito di indipendenza, colla Nostra autorità proibiamo d'oggi innanzi assolutamente a tutti i chierici e sacerdoti di dare il nome a qualsiasi società che non dipenda dai Vescovi. In modo più speciale, nominatamente, proibiamo ai medesimi, sotto pena pei chierici di inabilità agli Ordini sacri e pei sacerdoti di sospensione ipso facto a divinis, di iscriversi alla Lega democratica nazionale, il cui programma fu dato da Roma-Torrette il 20 ottobre 1905, e lo Statuto, pur senza nome dell'autore, fu nell'anno stesso stampato a Bologna presso la Commissione provvisoria.
Sono queste le prescrizioni, che avuto riguardo alle condizioni presenti del clero d'Italia, ed in materia di tanta importanza, esigeva da Noi la sollecitudine dell'Apostolico ufficio. - Ora altro non ci resta, che aggiungere nuovi stimoli al vostro zelo, Venerabili Fratelli, affinché tali disposizioni e prescrizioni Nostre abbiano pronta e piena esecuzione nelle vostre diocesi. Prevenite il male dove fortunatamente ancor non si mostra; estinguetelo con prontezza dov'è sul nascere; e dove per sventura sia già adulto, estirpatelo con mano energica e risoluta. Di ciò gravando la vostra coscienza, vi imploriamo da Dio lo spirito di presenza e fortezza necessaria. E a tal fine vi impartiamo dall'intimo del cuore l'Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 28 luglio 1906, anno III del Nostro Pontificato.
PIO PP. X
*AAS, vol. XXXIX (1906), pp. 321-330.
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